Nella prima stanza non trovai nessuno. Ronzavano i ventilatori del server, sbuffavano i condizionatori inseriti a muro, ma faceva lo stesso molto caldo. E la primavera era appena cominciata…
Non andai nel laboratorio dei sistemisti, ma raggiunsi subito il mio ufficio. Be', non solo mio. Anche Tolja, il mio vice, risiedeva là. E nel senso più letterale della parola, visto che spesso si fermava a dormire sul vecchio divano di pelle.
Era seduto al tavolo ed esaminava con aria meditabonda una vecchia scheda madre.
— Ciao — dissi, sedendomi sul divano. Il dischetto mi bruciava tra le dita.
— È morta — disse Tolja cupo.
— E buttala, allora.
— Adesso, provo solo… — Tolja si distingueva per l'estrema parsimoniosità, sviluppata in lunghi anni di lavoro negli istituti finanziari. Noi non avevamo problemi di finanziamenti, ma lui conservava accuratamente tutti i vecchi aggeggi ormai inutili. — Senti, ci sono stato mezz'ora, e lo stesso non ne vuole sapere…
— Ma è vecchia, perché continui a insistere? In ragioneria hanno macchine più nuove.
— La potevo dare a qualcuno. Magari ci ricavavo qualcosa…
— Tolja, abbiamo un lavoro urgente — gli dissi.
— Sì?
— Sì. Eccolo… — sollevai il dischetto. — Qui c'è un dossier… un dossier completo su quattro membri della Guardia. Compreso il Capo.
Tolja aprì il cassetto del suo tavolo, ci buttò la scheda madre e guardò il disco.
— Proprio così. Io ne controllerò tre. E tu il quarto… che sono io.
— E che cosa bisogna controllare?
— Ecco. — Presi i fogli che ci avevano consegnato alla riunione. — È possibile che qualcuno dei sospettati abbia ucciso alcuni maghi delle Tenebre. Senza essere stato punito. Qui sono indicati tutti i casi di cui siamo al corrente. Dobbiamo escludere questa possibilità, o…
— Li uccidi davvero? — mi interruppe Tolja. — Scusa la malignità…
— No. Però tu non credermi. Mettiamoci al lavoro.
Le informazioni che mi riguardavano non provai nemmeno a guardarle. Trasferii tutti gli ottocento megabyte sul computer di Tolja e presi il disco.
— Se mi capita sotto gli occhi qualcosa di interessante te lo devo raccontare? — mi chiese Tolja.
Gli lanciai un'occhiata di sbieco, mentre lui dava una prima scorsa ai file di testo, tormentandosi l'orecchio sinistro e cliccando ritmicamente con il mouse.
— Come vuoi.
— D'accordo.
Cominciai dal dossier con il materiale sul Capo. All'inizio c'era un cappello di informazioni generali. A mano a mano che leggevo mi immergevo sempre più profondamente in un bagno di sudore.
Il vero nome e l'origine del Capo, naturalmente, non erano indicati nemmeno in quel fascicolo: per Altri di quel livello in genere non si documentano queste informazioni. Ma facevo lo stesso una scoperta a ogni secondo. A cominciare dal fatto che il Capo era più vecchio di quanto supponessi. Come minimo di centocinquant'anni. E questo significava che aveva preso parte personalmente alla stesura del Patto tra la Luce e le Tenebre. Era una cosa un po' strana, perché tutti i maghi superstiti di quell'epoca adesso occupavano cariche importanti alla direzione centrale, e non si stancavano in posti noiosi e pesanti come quello di direttore regionale.
Inoltre scoprii alcuni dei nomi con cui il Capo aveva partecipato alle varie fasi della storia delle Guardie, e dove era nato. Di questo qualche volta avevamo discusso, arrivando anche alle scommesse, e ciascuno di noi aveva trovato prove "inconfutabili". Ma chissà perché nessuno aveva mai immaginato che Boris Ignat'evič venisse dal Tibet.
Immaginare poi di chi era stato istruttore sarebbe stata un'impresa superiore alle nostre più audaci fantasie!
Il Capo lavorava in Europa già dal XV secolo. Da segnali indiretti capii che la causa di quel brusco cambio di residenza era stata una donna. E intuii anche quale.
Mentre chiudevo la finestra delle informazioni generali, diedi un'occhiata a Tolja. Guardava un video-frammento, la mia biografia, che ovviamente non doveva risultare avvincente come quella del Capo. Osservai più attentamente la scenetta… e arrossii.
— Per il primo episodio hai un alibi di ferro — disse Tolja senza voltarsi.
— Senti un po'…
— Va bene. Non importa. Adesso lo faccio passare più veloce, così lo controllo tutto questa notte…
Mi immaginai come doveva risultare il film a velocità doppia, e mi girai. No, certo, avevo idea che la direzione controllasse i suoi collaboratori, soprattutto i più giovani, ma non così cinicamente!
— Non ce l'ho l'alibi di ferro — dissi. — Adesso mi vesto e me ne vado.
— Vedo — confermò Tolja.
— E non ci sono più per quasi mezz'ora. Quella volta… cercavo dello champagne… e intanto, all'aria aperta, mi sono un po' ripreso. E mi sono chiesto se valesse la pena tornare.
— Non ci pensare più — disse Tolja. — Meglio che ti dedichi alla vita intima del Capo.
Dopo una mezz'ora di lavoro mi resi conto che Tolja aveva ragione. Forse avevo davvero qualche motivo per offendermi per l'invadenza dei miei controllori. Ma certamente Boris Ignat'evič non era stato trattato meglio di me.
— Il Capo ha un alibi — dissi. — Inattaccabile. Per due casi ci sono quattro testimoni. E per l'altro praticamente tutta la Guardia.
— La volta della caccia all'agente delle Tenebre impazzito?
— Sì.
— Tu non hai un alibi nemmeno per quella volta. Ti hanno chiamato solo verso mattina, e il cronometraggio è molto approssimativo. C'è una foto di quando entri in ufficio e basta.
— Perciò…
— Teoricamente potevi ammazzare chiunque. Senza problemi. E per di più, scusami, Anton, ma ogni omicidio coincide con un aumento del tuo livello di eccitazione. Come se non ti controllassi perfettamente.
— Non sono stato io.
— Ci credo. Cosa devo fare con questo file?
— Eliminalo.
Tolja ci pensò su per un po'.
— Non ho niente di prezioso qui. Farò una formattazione veloce. È da un bel po' che devo ripulire l'hard disk.
— Grazie. — Chiusi il dossier sul Capo. — Basta, con gli altri me la vedo da solo.
— Capito. — Tolja superò la comprensibile indignazione del computer, e quello cominciò ad autodigerirsi.
— Vai a dare un'occhiata alle bambine — gli suggerii. — Fai la faccia severa. Avranno già tirato fuori le carte, ci scommetto.
— Tanto per cambiare — convenne subito Tolja. — Quando ti liberi?
— Tra due ore.
— Allora passo.
Se ne andò a controllare le nostre "bambine", due giovani programmatrici che in generale seguivano l'attività ufficiale di base dei Guardiani. Io continuai il mio lavoro. Adesso era il turno di Semën.
Due ore e mezzo dopo mi allontanai dal computer, massaggiandomi la nuca con le mani aperte — mi si intorpidisce sempre, quando me ne sto lì inchiodato allo schermo — e accesi la macchina del caffè.
Né il Capo, né ll'ja o Semën potevano occupare il ruolo del killer degli agenti delle Tenebre. Avevano tutti un alibi, e spesso assolutamente inattaccabile. Semën. per esempio. aveva avuto la buona idea di trascorrere tutta la notte di uno degli omicidi in trattative con la direzione della Guardia del Giorno. Il'ja era in missione a Sachalin: da quelle parti era scoppiato un tale casino da richiedere un intervento della direzione centrale…
Ero io l'unico sospettabile.
Non che non mi fidassi di Tolja. Ma controllai lo stesso una seconda volta i dati che mi riguardavano. Tutto giusto: non avevo alibi.
Il caffè era cattivo, acido, evidentemente non cambiavano il filtro da un bei po'. Inghiottii quella brodaglia bollente controllando lo schermo, poi presi il cellulare e feci il numero del Capo.
— Dimmi, Anton.
Sapeva sempre chi lo chiamava.
— Boris Ignat'evič, soltanto uno è senza alibi.
— E chi precisamente?
La sua voce era secca, ufficiale. Ma avevo lo stesso l'impressione che fosse seduto seminudo sul suo divano, con una coppa di champagne in una mano e la mano di Ol'ga nell'altra, e che tenesse la cornetta con la spalla, o che magari il telefono levitasse a mezz'aria…