— Ehi, ehi… — mi richiamò all'ordine lui. — Veggente o guardone? Chi è il sospettato?
— Io.
— Chiaro.
— Lei lo sapeva già — dissi.
— Perché lo pensi?
— Non c'era nessun bisogno di coinvolgermi nel lavoro sui dossier. Se la sarebbe potuta benissimo cavare da solo. Voleva che mi rendessi conto del pericolo personalmente.
— Ammettiamolo pure. — Il Capo sospirò. — Che cosa farai, Anton?
— È meglio essere pronti alla guerra…
— Vieni nel mio ufficio. Tra… ehm… tra dieci minuti.
— Va bene. — Chiusi la telefonata.
Prima passai dalle bambine. Tolja era lì e lavoravano tutti con impegno.
In effetti la Guardia non aveva nessun bisogno di due programmatrici tutt'altro che dotate. Il loro livello di accesso ai materiali segreti era basso, e dovevamo fare quasi tutto noi. Ma dove avremmo potuto sistemare due maghe molto molto deboli? Almeno avessero accettato di passare alla vita normale… No, avevano aspirazioni romantiche, volevano lavorare per la Guardia… E così erano finite da noi.
Di solito ammazzavano il tempo navigando e giocando; anche i solitari di tutti i tipi erano tornati di gran moda.
A una delle macchine libere c'era Tolja. Sulle sue ginocchia c'era Julja, che muoveva il mouse sul tappetino con grande concentrazione.
— È questa la famosa alfabetizzazione informatica? — chiesi, osservando i mostri che attraversavano fulminei lo schermo.
— Non c'è niente che sviluppi la capacità di utilizzare il mouse come i giochini elettronici — si giustificò Tolja.
— Be'… — Lasciai perdere, non trovando al momento una risposta adeguata.
Io i giochini li avevo abbandonati da tantissimo tempo. Come la maggioranza degli agenti della Guardia della Notte. Eliminare le forze del male dalla realtà virtuale è divertente finché non le incontri davvero. A meno di sopravvivere ancora per un altro secolo e farsi una bella scorta di cinismo, come Ol'ga…
— Tolja, probabilmente oggi non rientro — dissi.
— Aha. — Annuì senza nessuna meraviglia. Non abbiamo grandi capacità di prevedere il futuro, ma questi particolari li avvertiamo subito.
— Galja, Lena, ciao — salutai le bambine.
Galja mormorò qualcosa di gentile, esibendo contemporaneamente una gran concentrazione nel lavoro. Lena mi chiese: — Posso uscire prima?
— Certo.
Non ci mentiamo tra noi. Se Lena chiede un permesso è perché ha davvero bisogno di uscire prima. Non mentiamo. Solo, qualche volta, facciamo i furbi e non raccontiamo proprio tutto…
Sul tavolo del Capo regnava un tremendo disordine. C'erano penne, matite, fogli di carta, bollettini stampati, cristalli magici offuscati ormai esauriti.
Il colmo della sconcezza, però, era un fornello a spirito acceso su cui, in un crogiolo, si scaldava una polverina bianca. Il Capo la mescolava con espressione assorta con la punta di una preziosa Parker, evidentemente in attesa di qualche effetto. La polverina però ignorava sia il calore sia il rimescolamento.
— Ecco. — Depositai il dischetto davanti al Capo.
— Che cosa facciamo? — mi chiese senza sollevare gli occhi. Non aveva la giacca, la camicia era spiegazzata e la cravatta di traverso.
Lanciai di nascosto un'occhiata al divano. Ol'ga non c'era, ma sul pavimento c'erano una bottiglia vuota di champagne e due coppe.
— Non so. Non ho ucciso io gli agenti delle Tenebre… quegli agenti delle Tenebre. Lo sa anche lei.
— Lo so.
— Ma non posso dimostrarlo.
— Secondo i miei calcoli, abbiamo due-tre giorni — disse il Capo. — Poi la Guardia del Giorno presenterà un atto d'accusa contro di te.
— Organizzarmi un falso alibi non è difficile.
— E tu acconsentiresti? — mi chiese Boris Ignat'evič incuriosito.
— No, naturalmente. Posso farle una domanda?
— Prego.
— Da dove vengono tutti questi dati? Le fotografie e le videoregistrazioni?
Il Capo rimase un istante in silenzio. — Me lo immaginavo. Eppure tu hai visto anche il mio dossier, Anton. Ti è sembrato meno disinvolto?
— No, è vero. È anche per questo che lo chiedo. Perché permette che si raccolga questo genere di informazioni?
— Io non posso vietarlo. Il controllo è gestito dall'Inquisizione.
La stupida domanda: "Ma esiste davvero l'Inquisizione?" riuscii a non formularla esplicitamente. Probabilmente, però, la mia faccia era abbastanza espressiva.
Il Capo mi guardò ancora per un attimo, forse aspettandosi altre domande, poi proseguì: — Allora, Anton. Da questo momento non devi più rimanere solo. Diciamo che puoi andare da solo in bagno, ma in tutti gli altri casi devi sempre avere accanto due o tre testimoni. Possiamo sperare che si verifichi un altro omicidio.
— Se davvero vogliono incastrarmi, non ci saranno più omicidi finché non resterò senza alibi.
— E prima o poi capiterà. — Il Capo sogghignò. — Non prendermi per un vecchio scemo.
Annuii un po' incerto, senza capire del tutto. — Ol'ga…
Quasi subito una porta a metà parete, che mi era sempre sembrata quella di un armadio, si aprì ed entrò Ol'ga, sorridente, aggiustandosi i capelli. I jeans e la camicia le stavano estremamente aderenti, come capita soltanto dopo una doccia calda. Dietro di lei riuscii a intravedere un bagno enorme, con una vasca idromassaggio e una immensa finestra panoramica probabilmente trasparente solo dall'interno.
— Ol'ga, ce la farai? — le chiese il Capo. Si riferiva a qualcosa di cui avevano già parlato.
— Da sola? No.
— Intendevo quell'altra cosa.
— Certo che ce la farò.
— Mettetevi schiena contro schiena — ordinò il Capo.
Non avevo voglia di discutere. Anche se avevo avuto un tuffo al cuore: capivo che stava per accadere qualcosa di molto serio.
— E lasciatevi andare tutti e due — continuò Boris Ignat'evič.
Chiusi gli occhi, mi rilassai. La schiena di Ol'ga era calda e umida anche attraverso la camicia. Che strana sensazione: toccare una donna che ha appena fatto l'amore… ma non con te.
No, non ero innamorato di lei. Forse perché mi ricordavo il suo aspetto non umano, forse perché eravamo subito passati al tipo di rapporti che ci sono tra compagni di lavoro. Forse anche per tutti gli anni che separavano le nostre date di nascita: che cosa significa un corpo giovane, quando negli occhi dell'altro vedi la polvere dei secoli? Eravamo rimasti amici, niente di più.
Ma stare così vicino a una donna il cui corpo ricorda ancora le carezze di un altro uomo è comunque una strana sensazione…
— Cominciamo… — disse il Capo, forse un po' troppo bruscamente. Poi pronunciò qualche parola di cui non riuscii a capire il significato, in una lingua che era risuonata sul nostro mondo molti millenni prima.
Mi sommerse un'ondata di gioia così pura e folle, e assolutamente ingiustificata, che il mondo circostante si offuscò. Sarei caduto, ma la forza che fluiva dalle mani alzate del Capo sorreggeva Ol'ga e me con fili invisibili, ci costringeva a piegarci, a stringerci l'uno all'altra.
Poi i fili si ingarbugliarono.
— Mi devi scusare, Anton — disse Boris Ignat'evič. — Ma non c'era tempo per incertezze e spiegazioni.
lo rimasi in silenzio. Un silenzio sordo, ottuso mentre, seduto sul pavimento, guardavo le mie mani con le dita sottili ornate da due anelli d'argento, le mie gambe, lunghe ed eleganti, ancora umide per il bagno recente e fasciate da un paio di jeans decisamente aderenti, e le scarpe da corsa bianche e blu, sui piedi aggraziati.
— È solo per poco — disse il Capo.
— Che… — Volevo imprecare. Mi riscossi, cercai di rimettermi in piedi, ma mi zittii immediatamente dopo aver sentito il suono della mia voce. Una tenera voce femminile, un po' di petto.
— Anton, stai tranquillo. — Il giovane uomo al mio fianco mi tese la mano e mi aiutò ad alzarmi.
E per fortuna, perché altrimenti sarei sicuramente caduto. Il baricentro era completamente diverso. Era diventato anche più basso, e vedevo il mondo da un'angolatura completamente differente…