— Volevano violentarmi — sparai a casaccio. Proprio una bella spiegazione. Direttamente al ristorante, in mezzo ai tavoli, neanche fossimo, invece che a Mosca, pur con tutte le sue storie di banditi, in un saloon del Far West.
— Dove la devo lasciare?
— Qui. — Guardai la lettera illuminata che segnalava l'entrata della metropolitana. — Da qui sono comoda.
— Possiamo accompagnarla a casa.
— Non c'è bisogno. Avete fatto anche troppo.
— Va bene.
L'uomo non si mise a discutere o a cercare di convincermi. La macchina frenò, e io scesi. Guardando la donna dissi: — La ringrazio moltissimo.
Lei sbuffò, poi, di scatto, chiuse la portiera.
Ecco fatto.
Casi come quello dimostrano comunque che il nostro lavoro ha un senso.
Istintivamente mi ravviai i capelli, mi lisciai i jeans. I passanti mi guardavano con una certa diffidenza, ma non cambiavano strada, il che mi faceva pensare di avere un aspetto più o meno accettabile.
Quanto tempo avevo? Cinque minuti, dieci, prima che gli inseguitori ritrovassero le mie tracce? O il Capo era riuscito a trattenerli?
Sarebbe stato bello. Perché cominciavo a capire quello che stava succedendo.
E avevo una chance. Magari piccolissima, ma ce l'avevo.
Mentre mi avviavo al metrò, presi il cellulare dalla borsa di Ol'ga. Stavo per digitare il suo numero, poi, imprecando contro la mia stupidità, feci quello di casa mia.
Cinque squilli, sei, sette.
Chiusi la telefonata e feci il numero del mio cellulare. Questa volta Ol'ga rispose subito.
— Pronto? — disse bruscamente una voce sconosciuta, maschile, un po' roca. La mia.
— Sono io, Anton — gridai. Un ragazzo che proprio in quel momento stava passando accanto a me, mi lanciò un'occhiata stupita.
— Testa di cazzo! — Da Ol'ga non mi aspettavo un saluto diverso.
— Dove sei, Anton?
— Sto per infilarmi sotto terra.
— Per quello c'è sempre tempo. Come ti posso aiutare?
— Sei già al corrente degli ultimi avvenimenti?
— Sì. Con Boris siamo in comunicazione parallela.
— Ho bisogno del mio corpo.
— Dove ci incontriamo?
Mi presi un secondo per riflettere.
— Quando ho cercato di disperdere il vortice nero sulla testa di Svetlana, poi sono sceso a una stazione.
— Ho capito. Boris me l'ha spiegato. Facciamo così: alla terza stazione della linea circolare, in alto sulla sinistra. — Evidentemente aveva davanti lo schema.
— D'accordo.
— Al centro della sala. Sarò lì tra venti minuti.
— Va bene.
— Ti devo portare qualcosa?
— Porta me. Per il resto vedi tu.
Chiusi il telefono, mi guardai attorno ed entrai velocemente nella stazione.
Capitolo 4
Ero in attesa, al centro del salone della stazione Novoslobodskaja. Una scena piuttosto usuale, a quell'ora ancora non troppo tarda: una ragazza che aspetta forse un ragazzo, forse un'amica.
Nel mio caso… tutti e due.
Sotto terra trovarmi era più difficile che in superficie. Perfino i migliori tra i maghi delle Tenebre non sarebbero riusciti a individuare la mia aura, attraverso strati di terreno, attraverso le antiche tombe su cui è costruita Mosca, in mezzo alla folla. Naturalmente anche rastrellare le stazioni non era difficile: bastava mandare in ognuna un Altro con la mia immagine, ed era fatta.
Ma speravo di avere ancora mezz'ora o un'ora prima di questa mossa della Guardia del Giorno.
Com'era tutto semplice, alla fine. Con che eleganza si ricomponeva il puzzle. Scossi la testa, sorrisi e subito colsi su di me io sguardo interrogativo di un giovane punk. "No, amico, ti stai sbagliando. Questo corpo così sexy sta sorridendo solo ai suoi pensieri.1'
In effetti si poteva immaginarlo subito, appena le fila dell'intrigo avevano cominciato a convergere verso di me. Il Capo aveva ragione, naturalmente. Io non rappresentavo un obiettivo così importante da meritarmi un piano tanto lungo, complicato e devastante. Si trattava di una faccenda diversa, completamente diversa.
Cercano di prenderci sfruttando le nostre debolezze. Sfruttando la bontà e l'amore.
E ce la fanno, o comunque ci vanno molto vicino.
All'improvviso mi venne voglia di fumare, una voglia intensissima, tanto che la bocca mi si riempì di saliva. Strano, non ero abituato al tabacco, doveva essere una reazione dell'organismo di Ol'ga. Me la immaginai come doveva essere cento anni fa: una dama di grande eleganza con una sigaretta sottile infilata nel bocchino che fa la sua comparsa in qualche salotto letterario in compagnia di due poeti come Blok e Gumilëv. E che discetta sorridendo di massoneria, di populismo, della ricerca della perfezione spirituale.
Be', forse era meglio passare ai fatti!
— Non avrebbe per caso una sigaretta? — chiesi a un giovanotto che mi veniva incontro, vestito abbastanza bene da non fumare le Zolotaja Java.
Lo sguardo era stupito, ma mi porse un pacchetto di Parlamenta.
Presi la sigaretta, lo ringraziai con un sorriso e mi coprii con un leggero incantesimo. Lo sguardo della gente scivolava via senza vedermi.
Che meraviglia.
Concentrandomi, alzai la temperatura dell'estremità della sigaretta finché non raggiunse i duecento gradi e aspirai. Aspetteremo. Infrangeremo qualche piccola implacabile regoletta.
La gente continuava a passarmi accanto, evitandomi senza vedermi. Annusavano sconcertati, non capendo da dove arrivasse quell'odore di tabacco. Io continuavo a fumare, scuotendo la cenere in terra, osservando il poliziotto cinque passi più in là. e cercando di calcolare le mie possibilità.
Mi resi conto che non erano poi così poche, anzi. E questo mi turbava.
Se erano tre anni che lavoravano a quel piano, dovevano per forza anche avere previsto la possibilità della mia intuizione. E avere perciò pronta una contromossa. Ma quale?
Quello sguardo stupito non lo colsi subito. Ma quando realizzai di chi era, ebbi un sussulto.
Egor.
Un ragazzino, un Altro di piccola forza, che sei mesi prima era finito in mezzo alla grande lotta che si era scatenata tra le Guardie. Scoperto da entrambe le parti. Una carta che non era ancora stata distribuita a nessuno dei giocatori. Del resto, non era una carta da suscitare appetiti particolari.
I suoi poteri erano sufficienti a superare il mio leggero occultamento. L'incontro in sé, comunque, non mi stupì. Nel mondo esistono molti casi fortuiti, senza contare che esiste anche la predestinazione.
— Ciao, Egor — dissi, senza pensarci. E ampliai l'incantesimo, attirando anche lui nel cerchio di non visibilità.
Il ragazzino sussultò e si guardò attorno. Fissò gli occhi su di me. Naturalmente non aveva mai visto Ol'ga nel suo aspetto umano, ma solo in forma di civetta bianca.
— Chi è lei. e come fa a conoscermi?
Sì, era maturato. Non esternamente, interiormente. Non capivo come fosse riuscito a non determinarsi fino in fondo, a non schierarsi né dalla parte della Luce, né dalla parte delle Tenebre. Perché era già entrato nel Crepuscolo, e per di più in condizioni tali da poter diventare chiunque avesse desiderato. Ma la sua aura era come prima: pulita, neutrale.
Un destino speciale. Che bellezza avere un destino speciale.
— Sono Anton Gorodeckij, agente della Guardia della Notte — dissi semplicemente. — Ti ricordi di me?
Certo che si ricordava di me.
— Ma…
— Non farci caso. È un mascheramento, possiamo scambiarci i corpi.
Pensai se fosse il caso di ricordarmi le prime lezioni del corso di illusione e di riassumere temporaneamente il mio solito aspetto. Ma non ce ne fu bisogno: Egor mi credette. Forse si era ricordato le trasformazioni del Capo.
— Che cosa vuole da me?
— Niente. Sto aspettando una collega, la proprietaria di questo corpo. Il nostro incontro è assolutamente casuale.
— Odio le vostre Guardie! — gridò Egor.