Rimasi fermo lì sotto, guardando in alto, le griglie e i varchi, il cemento traforato, e la silhouette della torre, flessibile e incredibilmente aggraziata. Perché la torre è davvero flessibile: dischi di cemento appoggiati a cavi in tensione. Tutta la forza è nella flessibilità. Solo nella flessibilità.
Poi varcai le porte a vetri.
Che strano: ero convinto che di gente desiderosa di contemplare ii panorama di Mosca di notte dall'altezza di trecentotrenta metri ce ne fosse un sacco. E invece no. Il viaggio in ascensore lo feci da solo, o meglio, da solo con l'addetta di turno.
— Pensavo che ci fosse molta gente qui — osservai con un sorriso cordiale. — È sempre così la sera?
— No, di solito c'è una bella confusione. — La donna aveva parlato senza manifestare stupore, ma nella sua voce riuscii a cogliere una nota di sconcerto. Poi schiacciò un pulsante e le doppie porte cominciarono a richiudersi. All'istante mi si tapparono le orecchie e mi sentii schiacciare contro il pavimento: la cabina si era lanciata verso l'alto, dolcemente, ma anche molto velocemente. — Saranno un paio d'ore che il flusso si è bloccato.
Un paio d'ore.
Subito dopo la mia fuga dal ristorante.
Se in quel momento in cima alla torre era davvero riunito il quartier generale, niente di strano che centinaia di persone, che in quella bella serata primaverile, limpida e calda, avevano pensato di raggiungere il ristorante sopra le nuvole, avessero improvvisamente cambiato idea. Certo, gli umani non erano in grado di vedere certe cose, ma le percepivano lo stesso.
E, per quanto non coinvolti negli avvenimenti in corso, avevano comunque abbastanza buon senso per non avvicinarsi troppo alle Forze delle Tenebre.
Naturalmente avevo assunto l'aspetto del mago delle Tenebre. La questione fondamentale, adesso, era capire se quel mascheramento fosse sufficiente. Gli incaricati della sicurezza avrebbero confrontato le mie caratteristiche con l'elenco che avevano in memoria, avrebbero trovato il riscontro previsto, e avrebbero percepito la presenza della forza.
E se avessero provato a scavare un po' più in profondità? Se avessero provato a verificare il profilo della forza, a chiarire se si trattava di Luce o di Tenebre, e di quale grado?
Avevo più o meno cinquanta possibilità su cento. Da una parte quella era la procedura prevista. Dall'altra sempre e dovunque gli addetti trascurano i controlli del genere. Magari chi era in servizio quella sera li trovava terribilmente noiosi, o al contrario era stato appena assunto ed era ancora pieno di zelo.
Alla fine il cinquanta per cento di possibilità era una percentuale molto favorevole rispetto a quella che avevo di non farmi trovare dai Guardiani del Giorno per le strade della città.
L'ascensore si fermò. Non riuscii neppure a fermare il flusso dei miei pensieri: in tutto la salita non era durata più di venti secondi. Ci fossero stati ascensori così nei nostri palazzoni!
— Eccoci arrivati — annunciò la donna in tono quasi allegro. Un po' come se fossi stato l'ultimo visitatore della torre di Ostankino, per quella sera.
Uscii sulla piattaforma panoramica.
Di solito lì c'era un sacco di gente. Ed era facile distinguere subito chi era appena arrivato da chi invece c'era già da un po': per l'incertezza dei movimenti, la comica cautela nell'avvicinarsi alla finestra circolare, e per quel gironzolare attorno agli oblò di vetro blindato, saggiando timorosamente con la punta del piede la loro effettiva robustezza.
A occhio e croce i visitatori dovevano essere una ventina. Non c'erano bambini, mentre io chissà perché mi ero già chiaramente immaginato le loro scene isteriche appena saliti sulla torre, e il nervosismo e il disorientamento dei genitori. I bambini infatti sono più sensibili alla presenza delle Tenebre.
Anche gli adulti che erano sulla piattaforma, comunque, avevano l'aria distratta e oppressa. Non li rallegrava neppure lo spettacolo della città spalancata sotto di loro, colorata di luci, brillante, festosa come sempre. Adesso nessuno sembrava apprezzarlo. Il respiro delle Tenebre riempiva l'aria, invisibile ma presente, soffocante come un gas velenoso anche se insapore, inodore e incolore.
Guardai ai miei piedi, trovai la mia ombra e vi entrai. Uno degli addetti alla sorveglianza era a due passi da me, su uno degli oblò di vetro che costellavano il pavimento. Mi fissava con aria amichevole, ma anche un po' stupita. Nel Crepuscolo si muoveva con una certa difficoltà, e capii che il quartier generale non aveva selezionato per la sorveglianza i suoi elementi migliori. Quel ragazzo robusto, giovane, con un severo vestito grigio e una cravatta discreta sulla camicia bianca, aveva più l'aria di un impiegato di banca che di un agente delle Tenebre.
— Ciao, Anton — mi salutò gentilmente.
Per un istante il sangue mi si gelò nelle vene.
Possibile che fossi così stupido? Così mostruosamente, intollerabilmente ingenuo?
E che mi avessero aspettato, e allettato, gettando sul piatto della bilancia l'ennesima pedina, e coinvolgendo addirittura — chissà come — anche lo spettro che mi era venuto incontro all'uscita della metropolitana?
— Come mai sei qui?
Il sangue d'un tratto riprese a scorrere. C'era una spiegazione più semplice, molto più semplice.
Il mago delle Tenebre che avevo eliminato era un mio omonimo.
— Ho notato qualcosa. Devo consultarmi.
Il sorvegliante si accigliò. Forse non gli avevo parlato nel modo giusto. Però non aveva ancora capito.
— Anton, identificati. Altrimenti non ti lascio passare, lo sai anche tu.
— Devi lasciarmi passare, invece — abbaiai, sperando di azzeccarla. Nella nostra Guardia chiunque sia a conoscenza della dislocazione del quartier generale può accedervi direttamente.
— E perché mai? — Sorrideva, ma la sua mano destra aveva già cominciato ad abbassarsi.
La bacchetta magica che aveva alla cintura era carica al massimo. Una bacchetta di osso, ricavata con un lavoro molto attento da una tibia, con un piccolo cristallo scintillante in cima. Anche se l'avessi evitata e mi fossi nascosto, una simile manifestazione della forza avrebbe messo in allarme tutti gli Altri nelle vicinanze.
Sollevai la mia ombra dal pavimento ed entrai nel secondo strato del Crepuscolo.
Freddo.
Mulinelli di nebbia, o più probabilmente nuvole. Nuvole umide, pesanti, in volo sopra la terra. La torre di Ostankino lì non c'era più, era scomparsa anche l'ultima parvenza del mondo umano. Feci un passo avanti, sulla bambagia di nuvola, sulle gocce turgide, lungo un sentiero invisibile. Il tempo rallentò la sua corsa: in effetti stavo cadendo, ma così lentamente che per il momento non me ne preoccupai. In alto nel cielo, visibili come macchie incerte attraverso la cortina di nubi, splendevano tre lune, una bianca, una gialla e una purpureo-sanguigna. Davanti a loro nacque, si gonfiò e si armò di cariche appuntite un fulmine, che poi scivolò attraverso le nuvole, disegnando un fiammeggiante canale ramificato.
Mi avvicinai all'ombra dai contorni vaghi che con esasperante lentezza stava portando la mano alla cintura per prendere la bacchetta. Afferrai la mano: era pesante, inerte, fredda come ghiaccio. Non sarei riuscito a trattenerla. Dovevo tornare indietro, nel primo strato del Crepuscolo, e accettare lo scontro. Con scarse probabilità di vittoria.
"Luce e Tenebre, io non sono un operativo! Non ho mai cercato di lasciare la mia postazione di retroguardia! Lasciatemi al lavoro che amo e che so fare!"
Ma sia la Luce che le Tenebre rimasero in silenzio, come fanno sempre quando provi a chiamarle. E solo quella vocina un po' ironica che risuona talvolta in fondo all'anima sussurrò: "Nessuno ti ha mai promesso un lavoro pulito."
Mi guardai i piedi. Ero già una decina di centimetri più in basso del mago delle Tenebre. Cadevo, privo ormai di qualsiasi appiglio in questa realtà, dove non esisteva più la torre della televisione, e neppure nulla che le somigliasse, perché non c'erano né rocce così sottili né alberi così alti.