Il mago taceva: evidentemente il muschio aveva agito anche troppo.
Tirai il grilletto, e la pallottola superò la breve distanza che ci divideva fischiando allegramente. Il mago ebbe perfino il tempo di vederla: gli occhi gli si dilatarono, ritrovando una forma più umana, e lui scattò di lato, ma ormai troppo tardi.
— Per ora sei solo ferito — dissi. — E neanche mortalmente.
Era caduto a terra e si contorceva premendosi la ferita sul ventre. Nell'oscurità il suo sangue sembrava quasi trasparente. Poteva essere un'illusione, o forse anche una caratteristica particolare di quel mago.
— Rispondi alla domanda!
Agitando una mano, incendiai il muschio attorno a noi. Basta, adesso giocheremo sulla paura, sul dolore, sulla disperazione. Basta pietà, basta comprensione, basta discorsi.
Solo le Tenebre.
— Mi hanno ordinato di comunicarlo e se possibile di eliminarti.
— Non di trattenermi? Proprio di eliminarmi?
— Sì.
— Risposta accettata. Mezzo di comunicazione?
— Il telefono, solo il telefono.
— Dammelo.
— In tasca.
— Lanciamelo.
Con una mano raggiunse goffamente la tasca. La ferita non era mortale, e la sua riserva di resistenza ancora alta, ma il dolore era atroce.
Come giustamente si meritava.
— Il numero? — chiesi, afferrando il telefonino.
— È il tasto delle chiamate urgenti. Guardai il display.
Già dalle prime cifre capii che quel numero poteva essere ovunque: era quello di un altro cellulare.
— È il quartier generale? Dove si trova?
— Non… — Si interruppe e fissò la pistola.
— Ricordatelo — lo incoraggiai.
— Mi hanno detto che sarebbero arrivati nel giro di cinque minuti.
Benissimo!
Guardai dietro di me il grande ago infuocato che si stagliava contro il cielo. Corrispondeva perfettamente, proprio perfettamente.
Il mago si mosse.
No, non era stata una provocazione quel momento di assenza. Ma quando prese dalla tasca una bacchetta — rozza, corta, chiaramente non costruita da lui, ma comprata a poco prezzo — provai un senso di sollievo.
— Allora? — gli chiesi, vedendolo bloccato, ancora non deciso ad alzare la sua arma. — Forza!
Il ragazzo taceva, immobile.
Se avesse provato ad attaccarmi, gli avrei scaricato addosso tutto il caricatore. Sarebbe stato inevitabile. Ma probabilmente gli avevano insegnato come comportarsi in caso di conflitto con le Forze della Luce. E aveva capito che mi sarebbe stato difficile uccidere un nemico disarmato e indifeso.
— Resisti — lo incitai. — Lotta! Figlio d'un cane, non hai avuto paura di distruggere la vita degli altri, quando attaccavi chi non si poteva difendere! Allora? Forza!
Il mago si umettò le labbra: aveva la lingua lunga, leggermente biforcuta. Improvvisamente capii quale sarebbe stato prima o poi il suo aspetto nel Crepuscolo e fui invaso da un senso di ripugnanza.
— Mi consegno alla tua pietà, Guardiano. Chiedo indulgenza e il giudizio.
— Basterebbe che mi allontanassi di un passo — dissi — o che tu riuscissi a prendere un po' di forza da qualcuno, e ti precipiteresti a telefonare. Prova a negarlo… lo sappiamo tutti e due.
Il mago delle Tenebre sorrise e ripeté: — Chiedo indulgenza e il giudizio, Guardiano!
Mi dondolavo la pistola tra le dita, mentre guardavo il suo volto sogghignante. Sono sempre pronti a chiedere. Mai a dare.
— Mi è sempre stato così difficile capire la nostra doppia morale — dissi. — È così penoso e sgradevole. Si impara solo col tempo, e adesso di tempo ne ho così poco! Quando bisogna inventarsi delle giustificazioni. Quando non si possono difendere tutti. Quando sai che in un certo reparto ogni giorno si firmano delle licenze per persone da consegnare alle Tenebre. È brutto, no?
Adesso non sorrideva più. Ripeté, come uno scongiuro: — Chiedo indulgenza e il giudizio. Guardiano!
— Non sono più un Guardiano — risposi.
La pistola con un sussulto cominciò a sparare, l'otturatore si mosse pigramente, sputando i bossoli. Le pallottole volavano nell'aria come un piccolo nugolo di vespe malefiche.
Il mago gridò solo una volta, poi due pallottole gli ridussero in frammenti il cranio. Quando la pistola si zittì con uno scatto, cominciai a ricaricarla lentamente, senza pensare a nulla.
Il corpo lacerato, distrutto, giaceva davanti a me. Aveva già cominciato a uscire dal Crepuscolo, e il ghigno delle Tenebre abbandonava a poco a poco la sua faccia da ragazzo.
Percorsi l'aria con la mano, nel tentativo di catturare qualcosa di inafferrabile che stava attraversando lo spazio. Lo strato più superficiale. Il calco del volto del mago delle Tenebre.
L'indomani l'avrebbero ritrovato. Un giovanotto buono, sano, amato da tutti. Ucciso bestialmente. Quanto Male avevo introdotto nel mondo con quel delitto? Quante lacrime, quanta durezza, quanto odio cieco? Che conseguenze avrebbe avuto nel futuro?
Ma quanto Male avevo eliminato? Quanti uomini sarebbero vissuti più a lungo e più felicemente? Quante lacrime risparmiate, quanta cattiveria, quanto odio eliminati prima ancora di nascere?
Forse in quel momento avevo superato la barriera che non si può superare.
Forse adesso capivo il confine successivo, che è necessario oltrepassare.
Rimisi la pistola nella fondina e uscii dal Crepuscolo.
La torre di Ostankino trapanava il cielo con la sua punta.
— Allora giochiamo senza regole — dissi. — Ma proprio senza.
Riuscii a fermare una macchina subito, senza nemmeno bisogno di suscitare nel guidatore un attacco di altruismo. Forse perché adesso indossavo la maschera del mago delle Tenebre morto, una maschera molto affascinante…
— Alla torre della televisione — dissi, ficcandomi in un'utilitaria dall'aria malconcia. — E il più in fretta possibile, prima che chiudano l'ingresso.
— Andiamo a divertirci? — chiese sorridendo l'uomo al volante, un tipo magro, con gli occhiali, dall'aria simpatica.
— Non puoi sapere quanto — risposi. — Non puoi sapere quanto.
Capitolo 5
Nella torre l'ingresso era ancora aperto. Comprai il biglietto, compreso l'accesso al ristorante, e attraversai il prato verde che circondava la torre. Per gli ultimi cinquanta metri la stradina era protetta da una sottile tettoia. Mi sarebbe piaciuto sapere a che scopo era stata allestita… Forse dalla vecchia costruzione si staccavano frammenti di cemento?
La tettoia terminava davanti alla garitta del punto di controllo. Presentai il passaporto, passai attraverso il metal detector, peraltro fuori servizio. Fine delle formalità, e di tutte le difese dell'importante obiettivo strategico.
Adesso cominciavano ad assalirmi i dubbi. A ben vedere l'idea di raggiungere quel luogo era decisamente strana. Non sentivo nelle vicinanze nessuna particolare concentrazione di Forze delle Tenebre. Se erano davvero lì, dovevano essersi nascosti molto bene, il che significava che mi sarei trovato alle prese con maghi di secondo-terzo livello. Una missione suicida, in pratica.
Il quartier generale. Il quartier generale operativo della Guardia del Giorno, schierato al gran completo per il coordinamento delle operazioni della caccia all'obiettivo numero uno. Cioè a me. Quale altro luogo sarebbe stato più appropriato per comunicare l'avvenuta eliminazione di un inesperto mago delle Tenebre?
Ma intrufolarmi nello stato maggiore, dove sedevano almeno una decina di maghi delle Tenebre, e tra i più esperti, non mi pareva una buona idea. Andare a infilare la testa nel cappio da solo… era una sciocchezza, e non una prova di eroismo, se avevo ancora qualche possibilità di cavarmela. E speravo moltissimo di avercela.
Dal basso, da sotto i petali di cemento dei piloni, la torre della televisione risultava molto più impressionante che da lontano. Anche se probabilmente la maggior parte dei moscoviti non era mai salita neppure una volta fino alla piattaforma panoramica, considerando la torre un'imprescindibile caratteristica dell'orizzonte moscovita, utile e simbolica, ma non un luogo di ricreazione. Qui, come in un tubo aerodinamico di bizzarra costruzione, soffiava il vento, e con l'ultima propaggine dell'udito si riusciva a cogliere un suono appena percepibile: la voce della torre.