L'impulso era stato abbastanza forte, non mi chiese nemmeno dove eravamo diretti.
Il mondo si avvicinava alla fine.
Qualcosa si muoveva, qualcuno strisciava, ombre antiche ritornavano, risuonavano parole sorde di lingue dimenticate, un tremito scuoteva la terra.
Le Tenebre sorgevano sul mondo.
Maksim era sul balcone, e fumava, ascoltando distratto lo sfogo di Elena. Andava avanti già da qualche ora, dal momento in cui la ragazza che avevano salvato era saltata giù dalla macchina alla stazione della metropolitana. Maksim aveva sentito sul suo conto tutto quello che avrebbe potuto immaginare, e anche qualcosa che non sarebbe mai stato in grado di immaginare.
Che era uno stupido e un donnaiolo, pronto a rischiare la pelle per un musetto grazioso e un bel paio di gambe, Maksim se lo sentì dire senza particolare stupore. Che era uno sfacciato e una carogna, che amoreggiava in presenza della moglie con una prostituta brutta e consumata era già più originale. Soprattutto considerando che con l'imprevista passeggera aveva scambiato al massimo un paio di parole.
Adesso era arrivata alle sciocchezze più assurde. Aveva tirato fuori i viaggi di lavoro, e quelle due volte che era tornato a casa ubriaco… completamente ubriaco. Poi aveva fatto alcune ipotesi sul numero delle sue amanti, e sulla sua completa ottusità e mollezza, che gli avevano impedito una crescita professionale e una vita decente.
Maksim le lanciò un'occhiata da sopra la spalla.
Elena questa volta non aveva accusato se stessa, cosa abbastanza strana. Era seduta sul divano di pelle davanti al gigantesco televisore Panasonic e parlava, parlava…
Ma davvero pensava tutte quelle cose?
Che avesse una folla di amanti? Che avesse salvato quella sconosciuta per il suo aspetto grazioso, e non per le pallottole che le fischiavano intorno? E che vivessero così poveramente? Loro, che tre anni prima avevano comprato quel bell'appartamento, che l'avevano riempito di cose carine, che a Natale erano stati in Francia?
La voce della moglie ne era sicura. La voce accusava. La voce soffriva.
Maksim con uno scatto lanciò la sigaretta nel vuoto. Guardò la notte.
Le Tenebre, le Tenebre si avvicinavano.
Là, nella toilette, aveva ucciso il mago delle Tenebre. Una delie più ripugnanti incarnazioni del Male universale. Un uomo che portava con sé la cattiveria e il terrore. Che sottraeva energia a chi lo circondava, che opprimeva le anime degli uomini, che trasformava il bianco in nero, l'amore in odio. Come al solito, da solo contro il mondo intero.
Però prima era diverso. Non gli era mai capitato di incontrare quelle creature del demonio per due giorni di seguito: o stavano tutti uscendo dalle loro fetide tane o la sua vista era migliorata.
Ecco, anche adesso…
Maksim guardava la città dall'alto del suo nono piano e quello che vedeva non era il solito panorama notturno punteggiato di luci. Quello era per gli altri. L'umanità cieca e impotente. Lui vedeva un grumo di Tenebre che ondeggiava sulla terra. Non molto in alto, più o meno al livello di un decimo-undicesimo piano.
Maksim vedeva una nuova creatura delle Tenebre.
Come sempre. Come al solito. Ma perché così spesso, perché addirittura di seguito? Era già la terza! La terza nel giro di ventiquattr'ore!
Le Tenebre baluginavano, oscillavano, si muovevano. Le Tenebre vivevano.
E alle sue spalle Elena elencava i suoi peccati con voce stanca, offesa, infelice. Si era alzata, adesso, e si era avvicinata alla portafinestra, come se temesse che Maksim non l'avesse sentita. Bene, anzi, meglio così. Almeno non avrebbe svegliato i bambini, ammesso che si fossero addormentati. Per qualche motivo Maksim quella sera era assalito dal dubbio.
Se avesse davvero creduto in Dio, sul serio… Ma di quella debole fede che lo riscaldava dopo ogni azione di purificazione ormai non restava quasi nulla. Non poteva esistere Dio in un mondo dove il Male prosperava in quel modo.
Però se Dio fosse esistito, o se almeno nell'anima di Maksim l'osse rimasta una fede autentica, sarebbe caduto in ginocchio all'istante, sul cemento sporco e rappezzato, e avrebbe teso le braccia all'oscuro cielo notturno, al cielo dove perfino le stelle splendevano timide, velate di tristezza. Avrebbe gridato: "Perché? Perché, Signore? È un'impresa superiore alle mie forze, superiore a me stesso! Sollevami da questo compito, te ne prego, sollevami. Io non sono la persona giusta. Sono debole."
Non gridò. Non era stato lui a scegliersi quel fardello. Non poteva essere lui a toglierselo. Ardeva e splendeva davanti a lui una luce nera. Il nuovo tentacolo delle Tenebre.
— Lena, scusami. — Scostò la moglie, rientrò nella stanza. — Devo andare.
Lei si interruppe a metà di una parola e nei suoi occhi, in cui fino a quel momento c'erano stati solo risentimento e offesa, balenò lo spavento.
— Torno. — Maksim si diresse rapidamente verso la porta, sperando di evitare qualsiasi domanda.
— Maksim! Maksim, aspetta!
Il passaggio dagli insulti alla supplica fu istantaneo. Elena gli si lanciò dietro, gli afferrò una mano, lo fissò negli occhi con uno sguardo pietoso e supplichevole.
— Scusami, scusami, mi sono presa un tale spavento! Scusami, ho detto un sacco di sciocchezze, Maksim!
Guardò la moglie, che aveva già perso tutta la sua aggressività, e si era arresa, disposta a tutto purché lui, stupido, depravato, vigliacco, non uscisse da quella porta. Possibile che sul suo viso fosse balenato qualcosa che aveva spaventato Elena ancora di più della sparatoria in cui si erano trovati quel giorno?
— Non ti lascio andare! Non ti lascio andare da nessuna parte! A quest'ora!
— Non mi succederà niente di male — disse dolcemente Maksim. — Non gridare, o sveglierai i bambini. Torno subito.
— Se non vuoi pensare a te, pensa almeno ai bambini! Pensa a me! — Poi Elena cambiò fulmineamente tattica. — E se hanno preso la targa della macchina? E se adesso vengono a cercare quella carogna? Che cosa faccio io?
— Non verrà nessuno. — Maksim in qualche modo sapeva che era la verità. — E se anche venissero, la porta è forte. A chi telefonare lo sai. Lasciami passare, Elena.
Sua moglie era immobile di traverso alla porta, con le braccia allargate, la testa sollevata, gli occhi socchiusi, come se si aspettasse uno schiaffo.
Maksim la baciò cautamente su una guancia e la scostò dalla soglia. Passò in anticamera, seguito da uno sguardo ormai completamente smarrito. Dalla camera della figlia veniva una musica sgradevole, pesante: non dormiva e aveva acceso lo stereo per non sentire le loro voci incattivite, la voce di Elena.
— Non farlo! — mormorò la moglie alle sue spalle, con tono implorante.
Maksim prese la giacca, controllando rapidamente che tutto fosse al suo posto nella tasca interna.
— Non ti importa niente di noi! — gridò Elena, ma già rassegnata, senza più speranze, come per forza di inerzia. La musica in camera di sua figlia aumentò di volume.
— Questo non è vero — disse calmo. — È proprio a voi che penso, invece. Vi proteggo.
Era già sceso di un piano — non aveva voluto aspettare l'ascensore — quando lo raggiunse il grido della moglie, del tutto inaspettato: a Elena non piaceva portare le loro discussioni fuori dalle mura domestiche e non si sarebbe mai messa a litigare sul pianerottolo.
— Faresti meglio ad amarci, invece di proteggerci!
Maksim si strinse nelle spalle e affrettò il passo.
Ecco, quello era il punto dove mi ero fermato quella sera d'inverno.
Era tutto uguale: l'androne deserto, il rumore delle macchine alle sue spalle, la debole luce dei lampioni. Solo che allora faceva molto più freddo. E tutto sembrava semplice e chiaro, un po' come può sembrare il mondo a un giovane agente di polizia americano che esca per il suo primo pattugliamento.
Difendere la legge. Perseguitare il Male. Proteggere gli innocenti.