Il Selvaggio disse qualcosa a Egor. Ed estrasse la mano dal risvolto della giacca.

Un pugnale di legno.

Avevo già sentito parlare di quella magia, contemporaneamente ingenua e potente, ma adesso non avevo il tempo di pensarci.

Scivolai fuori dalla mia ombra, entrai nel mondo umano e balzai sulla schiena del Selvaggio.

Qualcuno lo aveva fatto cadere, mentre alzava il pugnale. Il mondo attorno a lui stava già cominciando a tingersi di grigio, i movimenti del ragazzino erano già più lenti, vide le sue palpebre abbassarsi piano per l'ultima volta prima che i suoi occhi si dilatassero per la sorpresa e il dolore. La notte si era trasformata in un podio oscuro, dove era lui ad amministrare la giustizia e a pronunciare la condanna che nulla poteva fermare.

Lo avevano fermato. Lo avevano fatto cadere, lo avevano buttato giù, sull'asfalto. All'ultimo momento Maksim era riuscito ad appoggiare un braccio, a girarsi e a rimanere in piedi.

Sulla scena era comparso un terzo personaggio. Come aveva fatto a non vederlo? Come aveva fatto l'aggressore ad arrivare fino a lui che, quando era impegnato in quel compito così importante, era sempre protetto da eventuali spettatori o interventi inopportuni dalla forza più luminosa che ci fosse al mondo, la Forza della Luce che lo guidava nella battaglia?

L'uomo era giovane, appena più giovane di lui. In jeans, maglione, e una borsa a tracolla. Che adesso aveva buttato a terra senza riguardi con un movimento della spalla. E aveva una pistola in mano!

Come si era concluso tutto male.

— Fermati — disse l'uomo, come se Maksim volesse scappare. — Ascoltami.

Un passante qualunque, che l'aveva scambiato per un maniaco? E la pistola, e l'abilità con cui sì era avvicinato di soppiatto? Un poliziotto in borghese? Ma quello gli avrebbe sparato oppure gli sarebbe rimasto sopra, senza permettergli di rimettersi in piedi.

Maksim fissò lo sconosciuto, agghiacciato da quel terribile dubbio. Se fosse stato un agente delle Tenebre, lui non sarebbe mai riuscito a cavarsela con due di loro contemporaneamente!

Le Tenebre però non c'erano. Non c'erano e basta, non c'erano proprio!

— Chi sei? — gli chiese Maksim, quasi dimenticandosi del ragazzino-mago. Che intanto si stava lentamente avvicinando all'inaspettato salvatore.

— Un agente della Guardia. Anton Gorodeckij, della Guardia della Notte. Ascoltami.

Con la mano libera Anton afferrò il ragazzino e lo tirò dietro la sua schiena. L'intenzione era più che chiara.

— La Guardia della Notte? — Maksim cercava ancora di cogliere nello sconosciuto un segno delle Tenebre. Non la vedeva, e questo lo spaventava ancora di più. — Vieni dalle Tenebre?

Non capiva più nulla. Cercava di sondarmi: avvertivo i suoi sforzi furibondi, implacabili e tuttavia inutili. Non sapevo neppure se fosse il caso di occultarmi. In quell'umano, o in quell'Altro — nel suo caso erano giuste entrambe queste categorie — si percepiva una forza primordiale, una tensione folle, fanatica. Decisi di non occultarmi.

— La Guardia della Notte? Vieni dalle Tenebre?

— No. Come ti chiami?

— Maksim. — Il Selvaggio mi si avvicinò lentamente. Mi esaminava come se sentisse che ci eravamo già incontrati, magari sotto un altro aspetto. — Chi sei?

— Un agente della Guardia della Notte. Ti spiegherò tutto, ascoltami. Tu sei un mago della Luce.

Il volto di Maksim ebbe un fremito e poi si fece di pietra.

— Tu uccidi le Forze delle Tenebre. Lo so. Stamattina hai ucciso un mutantropo. E stasera, al ristorante, hai eliminato un mago delle Tenebre.

— Anche tu…?

Forse fu soltanto una mia impressione. O forse nella sua voce tremò davvero una speranza. Rimisi la pistola nel fodero con aria significativa.

— Io sono un mago della Luce. Non molto potente, a dire la verità. Uno dei mille maghi della Luce che ci sono a Mosca. Siamo in tanti, Maksim.

Gli occhi gli si erano come dilatati e capii di avere colto nel segno. Non era un folle convinto di essere una specie di Superman e orgoglioso del suo segreto. Probabilmente in vita sua non c'era niente che avesse mai desiderato tanto quanto incontrare un compagno.

— Maksim, non ti abbiamo scoperto in tempo — dissi. Possibile che mi riuscisse di risolvere tutto pacificamente, senza spargimenti di sangue, senza un'assurda lotta tra due maghi della Luce? — È stata colpa nostra. Ti sei messo a combattere per conto tuo, hai fatto degli errori. Maksim, possiamo ancora rimediare. Perché tu non sapevi del Patto, vero?

Non mi ascoltava, se ne infischiava del Patto. Non era solo: quella era la notizia principale, per lui.

— Combattete contro le Tenebre?

— Sì.

— Siete in tanti?

— Sì!

Maksim mi guardò di nuovo, e di nuovo nei suoi occhi balenò la luce penetrante del Crepuscolo. Cercava di vedere la menzogna, di vedere le Tenebre, di vedere l'odio e la rabbia, le uniche cose che gli era stato dato di vedere.

— Non vieni dalle Tenebre — disse, come se gli dispiacesse. — Lo vedo. E non mi sono mai sbagliato!

— Sono un agente della Guardia — ripetei. Diedi un'occhiata intorno: nessuno. C'era qualcosa che allontanava gli umani: probabilmente anche quello faceva parte dei poteri del Selvaggio.

— Questo bambino…

— Anche lui è un Altro — dissi in fretta. — Ancora non possiamo sapere se diventerà un agente della Luce o…

Maksim scosse la testa. — Appartiene alle Tenebre.

Guardai Egor. Il ragazzino sollevò lentamente gli occhi.

— No — dissi.

L'aura si leggeva molto chiaramente: un arcobaleno vivace, nitido, tipico dei bambini piccoli, ma raro tra gli adolescenti. Un destino speciale, un futuro ancora indeterminato.

— Appartiene alle Tenebre. — Maksim scosse la testa. — Non lo vedi? Io non mi sbaglio mai. Tu mi hai fermato e mi hai impedito di eliminare un agente delle Tenebre.

Forse era sincero. Aveva ricevuto un dono limitato, ma quello al massimo grado. Maksim poteva distinguere le Tenebre, scoprirne anche la più minuscola traccia nelle anime altrui. Anzi, riusciva a individuare meglio di chiunque altro proprio quella prima fase dell'attività delle Tenebre.

— Non uccidiamo tutti gli agenti delle Tenebre.

— Perché?

— C'è una tregua, Maksim.

— Come può esserci una tregua con le Forze delle Tenebre?

Rabbrividii: nella sua voce non c'era traccia di dubbio.

— La guerra è sempre peggio della pace.

— Questa però no. — Maksim sollevò la mano con il pugnale. — Lo vedi? È un regalo del mio più caro amico. È morto, adesso, e forse proprio per colpa di qualcuno come questo ragazzo. Tenebre maledette!

— Lo dici a me?

— Certo. Sarai forse anche un agente della Luce — il suo volto fu attraversato da un ghigno amaro — ma certamente la vostra Luce si è offuscata tanto tempo fa. Non può esserci perdono per il Male. Non può esserci tregua con le Tenebre.

— Non può esserci perdono per il Male? — Adesso mi ero irritato anch'io. E non poco. — Quando hai pugnalato il mago delle Tenebre, nella toilette del ristorante, perché non ti sei fermato nei paraggi per altri dieci minuti? Non hai visto come gridavano i suoi bambini, come piangeva sua moglie? Loro non sono agenti delle Tenebre, Maksim! Sono umani, e non hanno i nostri poteri! Hai salvato quella ragazza dalle pallottole…

Sussultò, ma subito il suo viso riprese un'espressione di assoluta fermezza.

— Bravo! Ma il fatto è che volevano ucciderla per colpa tua, del tuo delitto! Non lo sapevi, questo?

— È la guerra!

— Tu stesso hai dato origine alla tua guerra — mormorai. — Sei un bambino anche tu, con un pugnale da bambino. Quando si taglia il bosco, le schegge volano, è così? Tutto è permesso, nella grande lotta per la Luce?

— Io non combatto per la Luce. — Anche lui aveva abbassato la voce. — Non per la Luce, ma contro le Tenebre. E questo è tutto ciò di cui ho bisogno. Lo capisci? E non credere che per me si tratti di boschi e di schegge. Non sono stato io a chiedere questa forza, non me la sarei nemmeno potuta immaginare. Ma se l'ho ricevuta non posso agire diversamente.


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