Ma chi, chi era stato a non notarlo?
Perché non avevamo trovato Maksim subito, non appena era diventato uno degli Altri?
Sarebbe stato un magnifico agente operativo. Dopo lunghe discussioni e faticose spiegazioni. Dopo mesi di addestramento, dopo anni di allenamenti, dopo molti fallimenti, errori, ubriacature, tentativi di suicidio. Alla fine non con il cuore, ma con la sua mente fredda e implacabile, avrebbe capito le regole della contrapposizione. Le leggi secondo le quali le Forze della Luce e quelle delle Tenebre conducono la loro guerra, le leggi secondo le quali dobbiamo ignorare i mutantropi che inseguono la loro preda e uccidere i nostri che non riescono a ignorarli.
Eccolo, davanti a me. Il mago della Luce, che nel giro di pochi anni aveva ucciso più agenti delle Tenebre di un nostro operativo con un secolo di servizio sulle spalle. Solitario, braccato. Capace di odiare, ma incapace di amare.
Mi girai, presi Egor per le spalle (lui era rimasto lì, silenzioso, senza farsi notare, ad ascoltare attento la nostra discussione). Lo spinsi davanti a me. Dissi: — È un mago delle Tenebre? Probabilmente. Temo che tu abbia ragione. Passerà ancora qualche anno e poi questo ragazzino diventerà padrone dei suoi poteri. Percorrerà la sua vita, e intorno a lui arriveranno le Tenebre. A ogni passo la vita gli sembrerà più facile. Ogni suo passo lo pagherà qualcun altro, con il proprio dolore. Ti ricordi la storia della Sirenetta? La strega le aveva dato le gambe, poteva camminare, ma nei piedi era come se avesse lame roventi. Lo stesso vale per noi, Maksim! Camminiamo sempre su delle lame, e a questo non ci si abitua! Solo che Andersen non ci ha raccontato proprio tutto. La strega avrebbe potuto fare anche un'altra cosa: fare sì che, quando la Sirenetta camminava, le lame trafiggessero i piedi di qualcun altro. Questa è la via delle Tenebre.
— Il mio dolore è con me — disse Maksim. E di nuovo in fondo al mio cuore baluginò la folle speranza che potesse capire. — Ma questo non deve, non ha il diritto di modificare nulla.
— Sei pronto a ucciderlo? — Feci un cenno con la testa, indicandogli Egor. — Maksim, rispondi! Io sono un agente della Guardia, e conosco il confine tra il Bene e il Male. Anche uccidendo le Forze delle Tenebre puoi moltiplicare il Male. Dimmi, sei pronto a ucciderlo?
Non vacillava. Annuì, guardandomi negli occhi, sereno, quasi contento.
— Sì. Non solo sono pronto. Non mi sono mai lasciato sfuggire una creatura delle Tenebre. Non lo farò nemmeno adesso.
Invisibile, la trappola scattò.
Non mi sarei meravigliato, adesso, se avessi visto al suo fianco Zavulon. Che emergeva dalle Tenebre e gli batteva bonariamente la mano sulla spalla. O che mi sorrideva sarcastico.
Ma immediatamente capii che lì Zavulon non c'era. Non c'era e non c'era mai stato.
La trappola, una volta preparata, non ha bisogno di nessun intervento. Fa il suo lavoro da sola. Io c'ero caduto, e sicuramente in quel momento tutti gli agenti della Guardia del Giorno avevano un alibi perfetto.
O permettevo a Maksim di uccidere il ragazzo, che sarebbe diventato un mago delle Tenebre, e mi trasformavo in un suo complice con tutte le conseguenze del caso, oppure decidevo di lottare ed eliminavo il Selvaggio: le nostre forze erano comunque imparagonabili. Liquidavo con le mie stesse mani l'unico testimone oppure uccidevo un mago della Luce.
Perché Maksim non si sarebbe arreso. Era la sua guerra, il suo piccolo Golgota, su cui si trascinava già da qualche anno. Avrebbe vinto, o si sarebbe fatto ammazzare.
Perché mai Zavulon si sarebbe dovuto inserire nel nostro conflitto?
Aveva predisposto tutto nel migliore dei modi. Aveva ripulito le fila delle Tenebre da un po' di zavorra, mi aveva incastrato, aveva aumentato la tensione, sparandomi quasi addosso. Mi aveva costretto a lanciarmi contro il Selvaggio. E adesso se ne stava alla larga. Magari non era neppure a Mosca. Ed era probabile che osservasse tutto da lontano: aveva i mezzi sia tecnici sia magici per farlo. Mi osservava e rideva.
Ero incastrato.
Qualunque via avessi scelto, mi aspettava il Crepuscolo.
Il Male non sempre ha bisogno di annientare il Bene con le sue mani. Talvolta trova molto più semplice lasciare che il Bene si distrugga da solo.
E l'unica possibilità che ancora mi restava era incredibilmente minuscola e mostruosamente vile.
Perdere.
Permettere al Selvaggio di uccidere il ragazzino… no, non permetterglielo, ma non riuscire a impedirglielo. Dopo averlo ucciso si sarebbe calmato. Dopo averlo ucciso sarebbe venuto con me al quartier generale della Guardia della Notte, e avrebbe ascoltato, discusso, e poi si sarebbe arreso, schiacciato dalle ferree argomentazioni e dalla logica implacabile del Capo, avrebbe capito quello che aveva fatto, e che fragile equilibrio aveva infranto. E si sarebbe consegnato volontariamente al Tribunale, dove aveva una possibilità, sia pure minima, di essere assolto.
E poi, io non ero un agente operativo. Avevo fatto tutto quello che potevo. Ero riuscito perfino a capire il gioco delle Tenebre, la combinazione pensata da qualcuno molto più saggio di me. Semplicemente non avevo avuto abbastanza forze, tempo, riflessi.
Maksim agitò la mano con il pugnale.
Il tempo all'improvviso divenne denso e lento, come se fossimo entrati nel Crepuscolo. Solo che i colori non erano impalliditi, anzi, erano diventati ancora più vividi, e io stesso mi muovevo in quel pigro flusso gelatinoso.
Il pugnale di legno scivolò verso il petto di Egor, e in quel tragitto cambiò aspetto, assunse un bagliore metallico, e poi venne avvolto da una fiamma grigia; il viso di Maksim era concentrato, solo le labbra strette rivelavano tutta la sua tensione, mentre il ragazzino non aveva fatto in tempo a capire, e non aveva nemmeno cercato di allontanarsi.
Spinsi Egor di lato. I muscoli non volevano ubbidirmi, non volevano compiere un gesto così assurdo e autolesionista. Per lui, per il piccolo mago delle Tenebre, il colpo del pugnale avrebbe significato la morte. Per me la vita. Del resto è stato, è, e sarà sempre così.
Ciò che per le Tenebre è vita, per la Luce è morte, e viceversa. Non era certo in mio potere cambiare le cose…
Ci riuscii.
Egor cadde, batté la testa contro la porta d'ingresso e si accasciò lentamente. L'avevo colpito con troppa forza, ma mi interessava salvarlo e non avevo pensato troppo ai danni collaterali. Nello sguardo di Maksim scintillò un'espressione quasi infantile di offesa. Ma lo stesso non rinunciò a discutere. — È un nemico!
— Non ha fatto niente!
— Tu difendi le Tenebre.
Maksim non dubitava più della mia appartenenza alla Luce. Era comunque in grado di riconoscerla.
Solo che lui non aveva mai avuto dubbi su chi dovesse vivere e chi dovesse morire.
Il pugnale si alzò di nuovo, non contro il ragazzino, questa volta, ma contro di me. Mi piegai, trovai con lo sguardo la mia ombra, mi slanciai in quella direzione. E l'ombra mi venne docilmente incontro.
Il mondo si fece grigio, i suoni cessarono, tutti i movimenti rallentarono. Egor, che prima si stava lentamente muovendo, rimase immobile. Le macchine scivolavano incerte sulla strada, avanzando a scatti, i rami degli alberi ignoravano il vento. Solo Maksim non aveva subito quel rallentamento.
E mi inseguiva, senza nemmeno capire come. Era scivolato nel Crepuscolo con la stessa naturalezza con cui un umano passa dalla strada al marciapiede. Adesso per lui non c'erano più differenze: attingeva forza dalla sua convinzione, dal suo odio, un odio chiarissimo, dalla sua furia scatenata. Adesso non era più il boia delle Tenebre. Era il Grande Inquisitore. Molto più terribile di tutta la nostra Inquisizione.
Alzai le braccia, con le dita allargate nel Segno della Forza, semplice e sicuro. Ah, come ridono i giovani Altri, quando vedono per la prima volta questo procedimento, definito "dita a ventaglio". Maksim non si fermò nemmeno, vacillò appena, poi piegò caparbiamente la testa e riprese l'inseguimento. Già cominciando a capire, rinunciai, ripassando freneticamente tutto l'arsenale magico.