In quel momento entrò Tigrotto.
— Hai qualcosa in contrario? — chiesi.
— No, certo. — La maga si sedette accanto a me. — Anton, sei molto giù?
— Non farci caso.
— Tu e Sveta avete litigato?
— Non è questo.
— Anton, ho fatto qualcosa di male? Ai ragazzi non piace stare qui?
La fissai con autentico stupore. — Piantala, Tigrotto! È una meraviglia. Si stanno divertendo tutti.
— E tu?
Non avevo mai notato in lei queste esitazioni prima. In fondo è impossibile accontentare tutti.
— Vogliono continuare la preparazione di Svetlana — dissi.
— Fino a che punto?
— Non lo so. Fino a qualcosa che Ol'ga non è riuscita a superare. Qualcosa di molto pericoloso e molto importante al tempo stesso.
— È un bene. — Si allungò verso il bicchiere. Si versò da bere da sola, toccò appena il cognac con le labbra.
— Un bene?
— Ma sì. Che la stiano preparando, che la stiano guidando. — Tigrotto cercò qualcosa con gli occhi, poi, aggrottando la fronte, guardò l'impianto stereo contro il muro.
Lo stereo si rianimò, si accese. Cominciò a suonare Kind of Magic dei Queen. Apprezzai la naturalezza del gesto. Controllare i circuiti elettronici a distanza non è come fare buchi nel muro con lo sguardo o cacciare le zanzare a colpi di fireball.
— Quanto è durata la tua preparazione al lavoro nella Guardia? — chiesi.
— Iniziò quando avevo sette anni. A sedici ormai prendevo parte alle operazioni.
— Nove anni! Ma certo per te è stato più semplice, la tua magia è naturale. Nel caso di Svetlana si preparano a farne una Grande Maga in sei mesi-un anno!
— È difficile — concordò la ragazza. — Pensi che il Capo stia sbagliando?
Alzai le spalle. Dire che il Capo aveva torto sarebbe stato sciocco quanto negare che il sole sorge a oriente. Da centinaia — macché centinaia, migliaia — di anni Geser aveva appreso a non commettere errori. Poteva agire duramente o addirittura brutalmente. Poteva provocare le Forze delle Tenebre e lasciare scoperti gli agenti della Luce. Poteva tutto. Tranne sbagliarsi.
— Mi sembra che sopravvaluti Sveta.
— Smettila! Il Capo fa i suoi calcoli.
— Prevede ogni cosa. Lo so. Gioca molto bene al vecchio gioco.
— E vuole il bene di Sveta — aggiunse Tigrotto caparbia. — Capisci? Forse a modo suo. Tu agiresti in un'altra maniera, e pure io, e Semën, e Ol'ga. Ciascuno di noi farebbe altrimenti. Ma è lui che dirige la Guardia. E ne ha pieno diritto.
— A lui è più chiaro? — domandai in tono maligno.
— Sì.
— E la libertà? — Di nuovo riempii il bicchiere. Forse era già superfluo, la testa cominciava a ronzarmi. — La libertà?
— Parli come gli agenti delle Tenebre — brontolò lei.
— Preferisco pensare che siano loro a parlare come me.
— Ma è tutto molto semplice, Anton. — Tigrotto si chinò verso di me e mi guardò negli occhi. Sapeva di cognac e di qualche altro odore lieve, floreale; difficile che si trattasse di un profumo: ai mutantropi non piacciono i prodotti di profumeria. — Tu la ami.
— La amo. Non è una novità per nessuno.
— Sai che presto il suo livello di forza supererà il tuo.
— Se già non l'ha superato. — Non lo dissi, ma mi ricordai quanto facilmente Sveta avesse percepito gli schermi magici celati nei muri.
— Ti supererà veramente. Le vostre rispettive forze diventeranno incommensurabili. I suoi problemi ti diverranno incomprensibili e persino estranei. Restando al suo fianco, finirai per sentirti un accessorio sgraziato, un gigolò, comincerai ad appigliarti al passato.
— Sì. — Annuii e notai con stupore che il bicchiere era già vuoto. Lo riempii ancora sotto lo sguardo fisso della padrona di casa. — Vorrà dire che me ne andrò. Non ho bisogno di tutto questo.
— Ma non ti è concesso nient'altro.
Non immaginavo che potesse essere così dura.
— Lo so.
— Se lo sai, Anton, allora l'unico motivo per cui ti scandalizzi è che il Capo voglia tanto tenacemente portare in alto Sveta.
— Il mio tempo scorre via — dissi — come sabbia tra le dita, come pioggia dal cielo.
— Il tuo tempo? Il vostro, Anton.
— Non è mai stato il nostro.
— Perché?
Già. In sostanza, perché? Alzai le spalle.
— Sai, certi animali non si riproducono in cattività.
— Ancora?! — s'indignò la ragazza. — Ma quale cattività? Dovresti rallegrarti per lei. Svetlana diventerà l'orgoglio delle Forze della Luce. Sei stato il primo a scoprirla, sei stato proprio tu a salvarla.
— Per cosa? Per l'ennesima, inutile battaglia contro le Tenebre?
— Anton, adesso stai davvero parlando come un agente delle Tenebre. Bene, la ami: allora non pretendere e non aspettarti nulla in cambio! È la via della Luce!
— Dove inizia l'amore, la Luce e le Tenebre finiscono.
L'indignazione fece ammutolire la ragazza. Scosse la testa tristemente. Disse di malavoglia: — Potresti almeno promettere…
— Dipende da cosa.
— Di essere sensato. Di avere fiducia nei vecchi compagni.
— Prometto a metà.
Tigrotto sospirò. — Ascolta, Anton. Di sicuro pensi che io proprio non ti capisca. Non è così. Anch'io non volevo diventare una maga-mutantropo. Ero dotata di poteri curativi piuttosto notevoli.
— Davvero? — La guardai con stupore. Non l'avrei mai pensato.
— Li possedevo, sì — confermò con leggerezza. — Ma quando venne il momento di scegliere in che direzione sviluppare le mie forze, il Capo mi chiamò. Ci sedemmo, prendemmo il tè con i pasticcini. Discutemmo molto seriamente, come persone adulte, sebbene io fossi solo una ragazzina, più giovane di Julja. Parlammo di ciò che serviva alla Luce, di cosa aveva bisogno la Guardia, di chi avrei potuto diventare. E decidemmo che bisognava sviluppare la capacità di trasformazione da combattimento, anche a costo di danneggiare tutto il resto. All'inizio non mi piacque molto. Sai quant'è doloroso tramutarsi?
— In tigre?
— No, in tigre è semplice, il difficile è l'inverso. Ma ho pazientato. Perché avevo fede nel Capo, perché capivo che era giusto.
— E adesso?
— Adesso sono felice — rispose lei con fervore. — Quando penso a cosa mi sarei persa, a ciò di cui mi sarei dovuta occupare… Erbe, esorcismi, campi psichici devastati, stregonerie…
— Sangue, dolore, paura, morte — continuai io nello stesso tono. — Combattimenti su due o tre livelli di realtà contemporaneamente. Scansare il fuoco, assaggiare il sangue, passarne di tutti i colori.
— È la guerra.
— Sì, certo. Ma dovevi andarci proprio tu, in prima linea?
— Chi, altrimenti? E poi non avrei potuto possedere una casa come questa. — Tigrotto indicò la sala con la mano. — Lo sai anche tu, con la magia curativa non si guadagna molto.
— È così, d'accordo — convenni. — Ma ci vieni spesso, qui?
— In certi periodi sì, in altri no.
— Non tanto spesso, mi pare di capire. Fai un turno di servizio dopo l'altro, ti vai a ficcare persino all'inferno.
— È la mia strada.
Annuii. Cos'ero io, in effetti?
— Sì, hai ragione. Forse sono stanco. E allora dico un sacco di scemenze.
Tigrotto mi guardò con sospetto, visibilmente stupita da una resa tanto rapida.
— Ho bisogno di starmene seduto per un po' con il bicchiere — aggiunsi. — Di ubriacarmi per bene in solitudine, addormentarmi sotto il tavolo, svegliarmi con il mal di testa. Allora starò subito meglio.
— Fa' pure — disse lei con un lieve tono di diffidenza. — Per quale altro motivo siamo venuti qui? Il bar è aperto, scegli ciò che preferisci. Oppure torniamo dagli altri. O vuoi che mi fermi a tenerti compagnia?
— No, meglio da solo — dissi, dando dei colpetti con la mano alla bottiglia panciuta. — In modo assolutamente schifoso, senza roba da mangiare né compagnia. Quando andate a fare il bagno, da' un'occhiata qui. Caso mai fossi ancora in grado di muovermi…
— D'accordo.
Sorrise e lasciò la stanza. Rimasi solo, eccetto per la presenza della bottiglia di cognac armeno.