Anche lì dormivano.
Perfino il divanetto d'angolo era stato utilizzato a mo' di giaciglio. Era angusto, perciò ci stavano stretti. Al centro, Ignat aveva le braccia muscolose aperte e sorrideva. Lena gli si stringeva al fianco sinistro, con una mano aggrappata alla sua folta capigliatura bionda e l'altra tesa sul petto di lui, verso la seconda partner del nostro dongiovanni. Svetlana giaceva affondata con il viso sotto il mento rasato del giovane e le mani allungate sotto la coperta.
Richiusi la porta con molta attenzione e in silenzio.
Il ristorantino era confortevole. Il Lupo di Mare, come suggeriva il nome, era rinomato per i piatti di pesce e per il simpatico arredamento "navale". In più era vicino alla metropolitana. E per un magrolino di categoria media, disposto ogni tanto a darsi alla pazza gioia al ristorante, ma propenso a economizzare sul taxi, ciò costituiva un fattore non irrilevante.
L'avventore arrivò in auto: una macchina vecchiotta ma assolutamente decorosa. All'occhio esperto dei camerieri, d'altra parte, l'uomo si rivelò di gran lunga più promettente della sua vettura. La calma con cui cominciò a ingollare una costosa vodka danese, senza preoccuparsi né del prezzo né dei possibili problemi con i vigili urbani, non fece che rafforzare quel giudizio.
Quando il cameriere portò lo storione, l'uomo per un istante alzò gli occhi su di lui. Prima era rimasto seduto, sfregando lo stuzzicadenti sulla tovaglia e immobilizzandosi di tanto in tanto nella contemplazione della fiamma della lampada a olio; ora invece lo guardò.
Il cameriere non raccontò a nessuno ciò che gli era sembrato di vedere in quel momento. Era stato come guardare in due pozzi abbacinanti. Accecanti come la luce quando arde e si rende indistinguibile dall'oscurità.
— Grazie — disse l'avventore.
Il cameriere se ne andò, lottando contro il desiderio di affrettare il passo. E ripetendosi: sono soltanto i riflessi della lampada nell'accogliente penombra del ristorante.
Boris Ignat'evič restò seduto, facendo a pezzi gli stuzzicadenti. Lo storione si raffreddò, la vodka rimasta nella piccola caraffa di cristallo si scaldò. Dietro il tramezzo — un insieme di grosse funi, finti timoni e falsa stoffa da vela — una compagnia festeggiava un compleanno, snocciolava una serie ininterrotta di auguri, imprecava contro il caldo, le tasse e certi banditi "scorretti".
Geser, capo del dipartimento moscovita della Guardia della Notte, continuò ad aspettare.
I cani rimasti in cortile scartarono di lato impauriti, quando mi videro comparire. Il freeze li aveva colpiti duramente, molto duramente. Il corpo non ubbidisce, non si respira né ci si può mettere a guaire, la bava si congela in bocca, l'aria stringe con la mano pesante di un malato in delirio.
Ma l'anima resta cosciente.
Quei cani se l'erano vista davvero brutta.
Il cancello era semiaperto. Uscii, mi fermai lì fuori, senza capire in alcun modo dove stessi andando e cosa mi stessi preparando a fare.
Che importava?
Non ero offeso, né provavo dolore. Io e lei non eravamo mai stati intimi. Per di più, io stesso avevo diligentemente innalzato barriere tra di noi.
Mi tastai la cintura alla ricerca del walkman e feci partire una selezione casuale. Mi riuscivano sempre bene. Sarà stato perché, come Tigrotto, da un bel pezzo ero in grado di manovrare le apparecchiature elettroniche più semplici senza nemmeno rendermene conto?
Io stesso l'avevo desiderato. E adesso non potevo rimproverare nessuno. Invece di ragionare tutta la sera con Semën circa le complessità dell'opposizione universale tra Bene e Male, sarei dovuto restare con Sveta. Piuttosto che guardare in cagnesco Geser e Ol'ga con la loro verità maliziosa, avrei dovuto far valere la mia. Senza pensare, senza mai pensare che vincere fosse impossibile.
Come ti metti a pensare così, hai già perso.
— Questo poi non lo farò mai — sussurrai sfilandomi le cuffie.
Ci hanno insegnato a lungo a dare senza ricevere nulla in cambio. A sacrificarci per gli altri. Ogni passo è come esporsi alle mitragliatrici, ogni sguardo è nobile e saggio; non un pensiero vano, non un'intenzione peccaminosa. Noi siamo gli Altri. Ci siamo elevati al di sopra della gente comune, abbiamo dispiegato le nostre impeccabili, immacolate bandiere, lucidato i nostri stivali cromati, infilato i guanti. Oh, sì, nel nostro piccolo, piccolo mondo ci concediamo tutto ciò che desideriamo. Per ogni atto si trova una giustificazione nobile ed elevata. Un numero unico: per la prima volta nell'arena noi in trionfo e tutti gli altri nella merda.
Che noia!
Cuore bollente, mani pulite, mente fredda… Sarà un caso, se ai tempi della rivoluzione e della guerra civile le Forze della Luce quasi al gran completo entrarono nella polizia politica? E quelli che non vi si unirono, in gran parte sparirono. Per mano delle Forze delle Tenebre ma, ancor più, per mano di coloro che essi difendevano. Per mano degli esseri umani. Per colpa della stupidità, della bassezza, della vigliaccheria, dell'ipocrisia e dell'invidia degli uomini. Cuore bollente, mani pulite. Che la mente rimanga fredda. Non si può altrimenti. Ma con tutto il resto non sono d'accordo. Che il cuore sia pulito e le mani siano bollenti. Così mi piace di più!
— Non voglio difendervi — dissi al silenzio di quel mattino boschivo. — Non voglio! Donne e bambini, vecchi e mentecatti: nessuno! Vivete come più vi piace. Prendetevi ciò che vi meritate! Fuggite dai vampiri, inchinatevi ai maghi delle Tenebre, leccate i piedi al padrone! Se il mio amore è meno importante della vostra felicità, allora io non voglio che siate felici!
Gli uomini possono e devono diventare migliori: sono le nostre radici, il nostro futuro, sono sotto la nostra tutela. Grandi e piccoli, portinai e presidenti, delinquenti e poliziotti. In loro brilla appena una luce che può divampare in un calore vivificante o in una fiamma mortifera…