Quello era il centro di tutta la combinazione.

Per la terza volta.

Non avevo più fame né sete. Tuttavia mi fermai a bere un caffè. Non aveva sapore, come fosse stato completamente privo di caffeina. Le persone avevano cominciato a fare largo al mio passaggio, benché stessi ancora percorrendo il mondo normale. La tensione magica cresceva e si espandeva.

Non potevo nascondere il mio arrivo.

Ma nemmeno volevo avvicinarmi furtivamente, come per un agguato.

Una giovane incinta stava passando con fare cauto. Sussultai, quando vidi che sorrideva. Capii che anche il suo bambino non ancora nato stava sorridendo, al sicuro nel suo minuscolo mondo.

La loro forza era simile a una peonia rosa pallido, a un grosso fiore e a un bocciolo non ancora schiuso.

Dovevo raccogliere tutto ciò che mi veniva incontro lungo il cammino.

Senza esitazione, senza pietà.

Tutt'intorno stava succedendo qualcosa. Sembrava che la calura si fosse intensificata.

A quanto pareva, i maghi delle Tenebre e quelli della Luce non si erano prodigati inutilmente per giorni e giorni nel tentativo di dissipare l'arsura. Qualcosa sarebbe accaduto. Mi fermai, alzai la testa e fissai il cielo attraverso il Crepuscolo.

Turbini sottili, ritorti in spire.

Scintille all'orizzonte.

Foschia a sud-est.

Un'aureola intorno all'ago della torre di Ostankino.

Sarebbe stata una strana notte.

Sfiorai una ragazza di passaggio e mi presi la sua gioia ingenua perché il padre era tornato a casa sobrio.

Era proprio come un rametto di rosa selvatica, esile e spinoso.

Perdonatemi.

Quando arrivai al "casermone sulle zampe" erano quasi le undici di sera.

L'ultima persona che avevo sfiorato era un perdigiorno mezzo sbronzo, rannicchiato contro il muro in un androne. In quello stesso androne in cui avevo ucciso il primo agente delle Tenebre. Era praticamente incapace d'intendere e di volere. E felice.

Mi presi anche la sua forza. Un fiore di piantaggine, impolverato e coperto di sputi, una brutta candela color marroncino sporco.

Anche questa era forza.

Attraversai la strada e compresi che non ero solo. Richiamai l'ombra e sparii nel mondo del Crepuscolo.

L'edificio era circondato.

Si trattava dell'accerchiamento più strano che avessi mai visto. Agenti delle Tenebre e della Luce alla rinfusa. Vidi Semën, gli feci un cenno e ricevetti in risposta uno sguardo mite, di lieve rimprovero. Tigrotto, Orso, Il'ja, Ignat…

Quando li avevano convocati? Mentre io vagavo per la città, raccogliendo la forza? La vacanza non è riuscita, ragazzi.

E gli agenti delle Tenebre. Persino Alisa si trovava lì. Faceva paura guardarla: il suo viso somigliava a una maschera di carta sgualcita e poi lisciata. A quanto pareva, Zavulon non aveva mentito, quando aveva parlato di castigo. Accanto ad Alisa c'era Ališer: intercettando il suo sguardo, capii che i due si sarebbero affrontati in uno scontro mortale. Forse non subito. Ma l'avrebbero fatto immancabilmente. Feci un passo, cercando di varcare l'accerchiamento.

— La zona è chiusa — disse Ališer.

— La zona è chiusa — gli fece eco Alisa.

— Ho il diritto.

Avevo forza a sufficienza per passare anche senza permesso. Ormai solo i Grandi Maghi avrebbero potuto fermarmi, ma loro non si trovavano lì.

Nessuno cercò di fermarmi. Evidentemente Geser, Zavulon o entrambi i capi delle Guardie avevano dato ordine di avvertirmi soltanto.

— Buona fortuna — udii sussurrare alle mie spalle. Mi voltai e incrociai lo sguardo di Tigrotto. Le feci un cenno con la testa.

Attraversai la foschia grigiastra. Il terreno sotto i piedi sobbalzava sordamente: nel mondo del Crepuscolo persino il suolo e le ombre degli edifici umani reagivano alla magia.

Il portello sul tetto era spalancato. Nessuno si era preoccupato di ostacolarmi. La cosa più triste era che non sapevo se rallegrarmene o rammaricarmene.

Uscii dal Crepuscolo. Non serviva più, adesso.

Cominciai a salire su per la scaletta.

Per primo vidi Maksim.

Non era più lo stesso di un tempo: il mago della Luce spontaneo, il Selvaggio che per alcuni anni aveva ammazzato gli adepti delle Tenebre. Forse avevano lavorato su di lui. O forse era cambiato da solo. Ci sono persone da cui si riesce a ricavare torturatori perfetti.

Maksim aveva avuto fortuna. Era diventato anch'egli un torturatore. Un Inquisitore. Uno di quelli che stanno sopra la Luce e le Tenebre, che servono tutti e nessuno. Teneva le braccia incrociate sul petto e la testa leggermente china. Qualcosa in lui ricordava Zavulon, così come l'avevo visto la prima volta. Per altri versi ricordava Geser. Quando comparvi, Maksim sollevò un poco la testa. Mi sfiorò con uno sguardo trasparente e abbassò gli occhi.

Zavulon se ne stava immobile in disparte. Era avvolto in un sottile mantello e non mi rivolse la minima attenzione.

Sapeva che sarei arrivato.

Geser, Svetlana ed Egor reagirono alla mia apparizione più vivacemente.

— Infine sei venuto… — disse il Capo.

Annuii e guardai Svetlana. Indossava una lunga veste bianca e portava i capelli sciolti. Nella sua mano baluginava fiocamente un piccolo astuccio, identico a quelli in uso per le spille o i medaglioni; un astuccio di cuoio bianco.

— Sai tutto, vero, Anton? — gridò Egor.

Di tutti i presenti, quello felice era decisamente lui.

— Sì — risposi. Mi avvicinai e gli scompigliai i capelli.

La sua forza era simile a un giallo tarassaco.

Ecco, ora a quanto pareva avevo raccolto tutto il possibile.

— Anton, cosa ti prepari a fare? — chiese Geser.

Non gli risposi. Qualcosa mi aveva messo in allarme. Qualcosa non andava.

Ma certo! Chissà perché, mancava Ol'ga.

L'addestramento era già stato effettuato? Svetlana sapeva cosa l'aspettava?

— Un gessetto — dissi. — Un piccolo gesso, appuntito a entrambe le estremità. Può essere usato per scrivere su qualsiasi cosa. Per esempio, sul Libro del Destino. Cancellando le vecchie scritte, inserendone di nuove.

— Anton, non hai svelato nulla di inatteso ad alcuno dei presenti — disse pacatamente il Capo.

— Il permesso è accordato? — domandai.

Geser guardò Maksim. L'Inquisitore alzò la testa. Con voce sorda disse: — Il permesso è accordato.

— Obiezione da parte della Guardia del Giorno — annunciò Zavulon in tono annoiato.

— Obiezione respinta — replicò indifferente Maksim. Di nuovo lasciò cadere la testa sul petto.

— Una Grande Maga può prendere in mano il gessetto — dissi. — Ogni nuova riga nel Libro del Destino porterà via con sé una piccola parte della sua anima. La porterà via e la restituirà modificata. Il destino di un uomo può essere cambiato solo sacrificando la propria anima.

— Lo so — disse Sveta. Fece un sorriso. — Anton, perdonami. Credo che tutto ciò sia giusto. Sarà un vantaggio per tutti.

Negli occhi di Egor guizzò un lampo di diffidenza. Percepì che qualcosa non quadrava.

— Anton, sei un agente della Guardia — disse Geser. — Se hai qualche obiezione, puoi parlare.

Obiezioni? Su cosa, in sostanza? Sul fatto che Egor sarebbe diventato un mago della Luce anziché delle Tenebre? Che si sarebbe tentato, pur tra mille insuccessi, di portare il Bene tra gli uomini? Che Svetlana sarebbe diventata una Grande Maga?

A costo di sacrificare per questo tutto ciò che di umano Sveta ancora possedeva?

— Non dirò niente — dichiarai.

Era un'illusione, o davvero negli occhi del Capo era balenato lo stupore?

Difficile capire cosa pensava in realtà un mago superiore.

— Cominciamo — disse lui. — Svetlana, sai cosa devi fare.

— Sì. — Mi guardò. Mi allontanai di qualche passo. Geser fece altrettanto. Rimasero in due, Svetlana ed Egor. Ugualmente smarriti. Ugualmente tesi. Lanciai un'occhiata a Zavulon. Se ne stava in attesa. Lentamente Svetlana aprì l'astuccio — lo schiocco della chiusura risuonò come uno sparo — e, quasi facendosi violenza, ne estrasse il gessetto. Minuscolo. Davvero si era così consumato nel corso dei millenni, a mano a mano che la Luce tentava di cambiare i destini del mondo?


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