— Ma lei chi è? — chiedeva lei in tono secco.
— Mi chiamo Maksim Kammerer, — risposi per la terza volta, cercando di fare la faccia sbigottita. — Sono una specie di giornalista… Ma, per l’amor di Dio… Evidentemente, non càpito a proposito… Vede, raccolgo materiale per un libro su Lev Abalkin…
— Che cosa sta facendo qui?
Non mi aveva creduto. Forse aveva capito che non stavo cercando materiale su Lev Abalkin, ma Abalkin in persona. Dovevo adeguarmi. E in fretta. Ovviamente, mi adeguai.
— In che senso? — chiese il giornalista Kammerer, un po’ perplesso e addirittura allarmato.
— Che compito ha?
Il giornalista Kammerer si mostrò stupito.
— Compito? Non capisco proprio… — Il giornalista Kammerer era pietoso. Senza dubbio, non era pronto a un incontro del genere. Stava facendo la figura dello stupido e non sapeva proprio come tirarsi fuori da questa situazione. Più di tutto il giornalista Kammerer avrebbe voluto scappar via. — Maja Tojvovna, ma io… Per amor di Dio non pensi che… Faccia conto che non ho sentito niente… Ho già dimenticato tutto!… È come se non ci fossi mai stato!… Ma se posso aiutarla…
Il giornalista Kammerer balbettava parole sconnesse ed era violaceo per l’imbarazzo. Non stava più seduto, ma proteso sul tavolo in una posa servizievole e scomodissima e cercava, per farle coraggio, di stringere il gomito di Maja Tojvovna. Probabilmente era disgustoso a vedersi, ma assolutamente innocuo e stupido.
— … Vede, il mio modo di lavorare… — borbottava nel misero tentativo di giustificarsi — probabilmente è discutibile, non so, ma prima mi era sempre andata bene… Comincio dalla periferia: i colleghi, gli amici… gli insegnanti, gli istruttori, naturalmente… E poi, tutto il resto, affronto l’oggetto principale del mio studio… Mi sono informato al COMCON e mi hanno detto che Abalkin sta per tornare sulla Terra… Con l’insegnante ho già parlato, con il medico pure… Poi ho deciso di parlare con lei… ma non era il momento giusto!… Mi scusi ancora… Non sono cieco, vedo che si è verificata una spiacevolissima coincidenza…
Ed in qualche modo quello sciocco e goffo giornalista Kammerer riuscì a tranquillizzarla. Lei si rilassò sulla poltrona e si coprì il viso con le mani. I sospetti sparirono, sopraggiunsero la vergogna e la stanchezza.
— Sì, — disse. — È una coincidenza…
Ora il giornalista Kammerer avrebbe dovuto girare i tacchi e sparire in punta di piedi. Ma non era un tipo così, questo giornalista. Non poteva lasciar così da sola quella donna estenuata e sconvolta, che senza dubbio aveva bisogno di appoggio e sostegno.
— Naturalmente si tratta solo di una coincidenza… — borbottò lui. — Dimentichiamo tutto, non è successo niente… Poi, quando lei vorrà… quando le sarà comodo… le sarò molto grato, naturalmente. Non è la prima volta che mi capita di parlare all’inizio non con il mio oggetto principale, ma solo dopo… Maja Tojvovna, forse è il caso di chiamare qualcuno? Faccio in un istante…
Lei taceva.
— No, non c’è bisogno, va bene così… E perché poi? Starò io qui con lei… per ogni evenienza…
Finalmente lei si scostò la mano dagli occhi.
— Non deve star qui con me, — disse con voce stanca. — Se ne vada piuttosto dal suo oggetto principale…
— Ma no! — protestò il giornalista Kammerer. — C’è tempo. L’oggetto è pur sempre un oggetto, e non vorrei mai lasciarla sola… Ho tutto il tempo che voglio… — Guardò l’orologio con una certa ansia. — Ma il mio oggetto non scappa certo! Ora lo prendo… E sicuramente adesso non sarà in casa. Li conosco questi Progressori in ferie… Ora se ne va in giro per la città e si dedica ai ricordi sentimentali…
— Non è in città, — disse Maja Tojvovna, che si controllava ancora. — Per andare da lui ci vogliono due ore di volo…
— Due ore di volo? — Il giornalista Kammerer si mostrò spiacevolmente sorpreso. — Scusi, ma avevo avuto l’impressione…
— Si trova sulle colline di Valdai! Casa di riposo «I Pioppi»! Sul lago Vel’! E si ricordi che il trasporto-zero non funziona!
— M-m-m! — disse forte il giornalista Kammerer.
Un viaggio aereo di due ore, evidentemente, non rientrava nei suoi programmi della giornata. Si poteva addirittura pensare che fosse un nemico dei viaggi aerei.
— Due ore… — borbottò. — Così, dunque… Mi immaginavo tutto diversamente… Le chiedo scusa, Maja Tojvovna, ma forse ci si può mettere in contatto con lui da qui?
— Probabilmente, si può, — disse Maja Tojvovna con voce spenta. — Non so il numero… Senta, Kammerer, mi lasci sola, Tanto, da me ora non ne caverà fuori niente.
E solo ora il giornalista Kammerer notò fino in fondo l’imbarazzo della sua posizione. Balzò in piedi e si precipitò verso la porta. Si riprese, ritornò indietro. Borbottò delle scuse incomprensibili. Di nuovo corse alla porta, facendo cadere la poltrona. Continuando a borbottare delle scuse, rialzò la poltrona e la rimise a posto con grande cautela, proprio come se fosse stata di cristallo e porcellana. Indietreggiò, si inchinò, spalancò col sedere la porta e sparì nel corridoio.
Chiusi piano la porta e rimasi fermo per un po’ a massaggiarmi col dorso delle mani i muscoli intorpiditi del viso. Avevo la nausea e mi vergognava di me stesso.
2 giugno dell’anno 78. «I Pioppi». Il dottor Goannek
Dalla riva sinistra, «I Pioppi» appariva come una distesa di tetti bianchi e rossi, sprofondati nella boscaglia rosso-verde del sorbo selvatico. C’era anche una stretta striscia di spiaggia e un approdo di legno, a cui erano attraccate numerose barche variopinte. Sul pendio illuminato dal sole non si vedeva un’anima, e saio sull’approdo stava seduto, con le gambe nude penzoloni, un tizio vestito di bianco che, probabilmente, stava pescando, vista l’immobilità assoluta.
Lasciai i vestiti sul sedile e senza far rumore entrai in acqua. Era bella l’acqua del lago Vel’, trasparente e dolce, nuotare era un vero piacere.
Quando mi arrampicai sull’approdo e feci uscire l’acqua dalle orecchie, saltellando su un piede solo sulle assi di legno roventi per il sole, l’uomo in bianco finalmente si distrasse dalla pesca, e gettandomi un’occhiata di traverso si informò interessato:
— È venuto da Mosca in mutande?
Era un vegliardo di quasi cento anni, magra e allampanato come la sua canna da pesca di bambù, solo non giallo in viso, ma piuttosto marrone se non addirittura quasi nero. Forse, dipendeva dai vestiti bianchi immacolati. Però, aveva occhi giovani, piccoli, azzurri e vivaci. Un baschetto di un bianco accecante, con una visiera parasole gigantesca, gli copriva la testa indubbiamente calva e lo faceva assomigliare a un fantino a riposo, oppure allo scolaro di Mark Twain scappato dalla scuola domenicale.
— Dicono che ci sia molto pesce, — esordii, e mi accoccolai accanto a lui.
— È una bugia, — ribatté in modo forte e deciso.
— Pare che qui si passi bene il tempo.
— Dipende dalle persone.
— Questo è un posto di villeggiatura alla moda.
— Lo è stato.
Non seppi più cosa dire. Tacemmo tutti e due.
— Un posto di villeggiatura alla moda, ragazzo mio, — cominciò in tono ammonitore, — lo è stato tre stagioni fa. O, come dice mio pronipote Brjaceslav, «tre stagioni indietro». Ora, vede, ragazzo mio, non riusciamo a concepire le vacanze senza acqua ghiacciata, senza zanzare, senza carne cruda e foreste vergini… «Le rupi selvagge, ecco il mio rifugio», vede… Conosce la penisola del Taimyr e la Terra di Baffin… È un cosmonauta? — chiese all’improvviso. — Un Progressore? Un etnologo?
— Lo sono stato, — risposi non senza una gioia maligna.
— Io invece sono medico, — disse senza batter ciglio. — Suppongo che lei non abbia bisogno di me? Le ultime tre stagioni raramente qui qualcuno ha avuto bisogno di me. Del resto l’esperienza mi ha insegnato che il paziente fa di testa sua. Per esempio, ieri hanno avuto bisogno di me. Mi chiedo: e perché non oggi? Lei è sicuro di non aver bisogno di me?