Vidi chiaramente Maja Glumova, ma non potei proprio immaginare che cosa lei avesse visto e sentito. Era tutto racchiuso in quei disegni, senza i quali avrei visto facilmente davanti a me, su quel divano in disordine, un qualsiasi ufficiale dell’Impero, appena uscito dalla caserma e che si gode il meritato riposo. Ma c’erano i disegni, e qualcosa di molto importante, molto complesso e molto oscuro si nascondeva dietro di essi…
Qui non c’era più nulla da fare. Mi avvicinai al videofono e feci il numero di Sua Eccellenza.
2 giugno dell’anno 78. L’inattesa reazione di Sua Eccellenza
Mi ascoltò senza interrompermi, cosa che era di per sé un brutto segno. Provai a consolarmi pensando che la sua insoddisfazione non fosse legata a me, ma a circostanze che nulla avevano a che fare con me. Ma, dopo avermi ascoltato fino in fondo, disse accigliato:
— Con la Glumova non hai combinato quasi niente.
— Avevo le mani legate dalla mia storiella, — risposi freddo.
Non ribatté.
— Cosa pensi di fare adesso? — mi chiese.
— Secondo me, qui non ci torna più.
— Anche secondo me. E dalla Glumova?
— È difficile dirlo. Anzi, non so proprio che dire. Non capisco. Ma naturalmente, la possibilità esiste.
— Secondo te, perché si è incontrato con lei?
— Ecco, questo non lo capisco, Eccellenza. Stando alle apparenze, tutto lascia supporre che si siano amati e abbandonati ai ricordi. Solo che l’amore non era proprio amore e i ricordi non solo ricordi. Altrimenti la Glumova non sarebbe stata in quello stato. Certo, se lui si fosse ubriacato come un maiale avrebbe potuto offenderla… Specialmente se si tiene presente quali strani rapporti avevano avuto nell’infanzia…
— Non esagerare, — berciò Sua Eccellenza. — Non sono più dei bambini. Poniamo così la questione: se lui la chiama di nuovo, oppure va da lei, lei lo accoglie oppure no?
— Non so, — dissi. — Probabilmente sì. Lui è ancora molto importante per lei. Lei non avrebbe potuto trovarsi in uno stato di tale disperazione per un uomo che le fosse indifferente.
— Questa è letteratura, — brontolò Sua Eccellenza e all’improvviso gridò: — Tu dovevi cercare di sapere perché lui l’ha chiamata! Di che cosa hanno parlato! Che cosa lui le ha detto!
Mi arrabbiai.
— Non potevo sapere niente, — dissi. — Lei aveva un attacco isterico. E quando è ritornata in sé, le sedeva davanti un giornalista idiota con la sensibilità di un elefante…
Mi interruppe:
— Devi incontrarla di nuovo.
— Allora permettetemi di cambiare la storiella!
— Cosa proponi?
— Per esempio questo. Sono del COMCON. Su un pianeta è accaduta una disgrazia. Lev Abalkin ne è stato testimone. Ma la disgrazia lo ha così colpito che è scappato sulla Terra e ora non vuol vedere nessuno… La sua salute psichica è rimasta scossa, forse è malato. Noi lo stiamo cercando per sapere che cosa sia avvenuto precisamente…
Sua Eccellenza taceva, evidentemente la mia proposta non gli piaceva. Fissai per un po’ la sua faccia scontenta, calva e lentigginosa, che invadeva io schermo, e poi dissi di nuovo, un po’ sulle mie:
— Cerchi di capire, Eccellenza. Non si può più mentire come prima. Ormai ha avuto il tempo di capire che non sono capitato da lei per caso. Forse sono riuscito a farle cambiare idea, ma se le compaio di nuovo davanti, sarà un chiaro richiamo al suo buon senso! Delle due l’una: o lei ha creduto che sono un giornalista, e allora non ha più nulla da dirmi, e manderà semplicemente al diavolo questo idiota privo di tatto; oppure non ci ha creduto, e allora a maggior ragione lo manda al diavolo. Io al suo posto lo farei. Ma se, invece, sono un rappresentante del COMCON, allora ho il diritto di fare domande, e cercherò di domandare in modo che lei risponda.
Secondo me, tutto ciò suonava abbastanza logico. In ogni caso non riuscivo a farmi venire in mente niente di meglio. Ed inoltre non avevo nessuna intenzione di tornare da lei nella parte del giornalista idiota. In fin dei conti, per Sua Eccellenza era più chiaro cosa fosse più importante. trovare l’uomo o mantenere il segreto sull’indagine.
Chiese senza sollevare la testa:
— Perché stamattina sei andato al museo?
Mi stupii:
— Come perché? Per parlare con la Glumova…
Sollevò lentamente la testa e vidi i suoi occhi. Aveva le pupille iridescenti. Indietreggiai. Evidentemente, avevo detto qualcosa di terribile. Balbettai come uno scolaretto:
— Ma è li che lavora… Dove dovevo parlare con lei? A casa non l’ho trovata…
— La Glumova lavora al Museo delle Civiltà Extraterrestri? — chiese scandendo chiaramente le parole.
— Sì, ma cosa è successo?
— Nel settore specifico degli oggetti di uso sconosciuto, — aggiunse piano. Un po’ chiedeva e un po’ informava. Sentii freddo lungo la spina dorsale, quando vidi l’angolo della sua bocca, le labbra sottili che si storcevano a Sinistra e in basso.
— Sì, — dissi in un sussurro.
Di nuovo non vedevo i suoi occhi. Di nuovo tutto lo schermo era invaso dalla sua calvizie lucente.
— Eccellenza…
— Sta’ zitto! — urlò. Ed entrambi tacemmo a lungo.
— Allora, — disse alla fine con la solita voce. — Ritornatene a casa. Resta a casa e non ti muovere. Posso avere bisogno di te in qualsiasi momento, più probabilmente di notte. Di quanto tempo hai bisogno per tornare?
— Due ore e mezzo.
— Come mai tanto?
— Devo anche attraversare a nuoto il lago.
— Va bene. Torna a casa e fammi rapporto. Sbrigati.
E lo schermo si spense.
Dal rapporto di Lev Abalkin (operazione “Mondo morto”)
Piove di nuovo più forte, la nebbia diventa sempre più fitta, tanto che non si riesce più a distinguere le case ai lati della strada. Gli esperti sono in preda al panico. Hanno paura che i trasformatori biottici non funzionino. Li tranquillizzo. Appena si sono tranquillizzati cominciano a far gli sfacciati e insistono perché io accenda il proiettore antinebbia Lo accendo. Gli esperti esultano, ma a questo punto Ščekn si mette seduto in mezzo alla strada e annuncia che non farà più un passo finché non spengo quello stupido arcobaleno, per colpa del quale gli fanno male le orecchie e gli è venuto prurito fra le dita. Lui, Ščekn, ci vede benissimo anche senza questi insulsi proiettori, e se gli esperti non ci vedono, non fa niente, tanto non hanno bisogno di vedere niente. Piuttosto sarebbe meglio che si occupassero di qualcosa di utile; per esempio potrebbero preparare per il suo ritorno, suo di Ščekn, una zuppa d’avena con le fave. Esplosione di sdegno. In genere gli esperti hanno paura di Ščekn. Ogni terrestre che faccia la conoscenza dei Testoni, presto o tardi comincia a temerli. Ma allo stesso tempo, per quanto sia paradossale, quello stesso terrestre non riesce a comportarsi con un Testone diversamente da come si comporterebbe con un grande cane parlante (come per esempio al circo, o con qualche prodigio della zoopsicologia, ecc.).
Uno degli esperti commette l’imprudenza di dire a Ščekn che se continua a ostinarsi così rimarrà senza pranzo. Ščekn alza la voce. Risulta chiaro che lui, Ščekn, tutta la vita se l’è cavata benissimo senza esperti. Inoltre qui eravamo stati benissimo fino a che esperti non se ne erano visti né sentiti. Per quanto riguarda personalmente quell’esperto che, a quanto pareva, ora ce l’aveva con lui, Ščekn, pensasse piuttosto alla zuppa di avena con le fave… Eccetera, eccetera.
Sto in piedi sotto la pioggia, che diventa sempre più forte, ascolto tutte queste sciocchezze e non riesco proprio a scrollarmi di dosso una certa sonnolenza. Mi sembra di far da spettatore a una stupidissima rappresentazione teatrale senza capo né coda, dove tutti i personaggi si sono dimenticati la parte e si mettono a improvvisare nella vana speranza di arrivare in qualche modo alla fine. Questa rappresentazione veniva tirata per le lunghe in mio onore, per tenermi fermo il più a lungo possibile, per non farmi fare nemmeno un passo, e nel frattempo qualcuno dietro le quinte fa in modo che mi sia definitivamente chiaro: è tutto inutile, non si può fare nulla, bisogna tornare a casa…