— Lev Abalkin, — mi ricordò lui. — Si ricorda? Sarakš, il Serpente Azzurro…
— Signore! — esclamò il giornalista Kammerer, in passato Mak Sim, residente della Terra sul pianeta Sarakš. — Lev! Ma mi avevano detto che non era sulla Terra e che non si sapeva quando ci sarebbe venuto… Oppure è ancora là?
Sorrise.
— No, sono qui… Ma forse l’ho disturbata?
— Lei non mi disturba affatto! — disse sincero il giornalista Kammerer. Non quel giornalista che era andato a trovare Maja Glumova, ma piuttosto quello che era andato dall’insegnante. — Ho bisogno di lei! Sto scrivendo un libro sui Testoni!
— Sì, lo so, — mi interruppe. — È per questo che l’ho chiamata. Ma, Mak, ormai è molto tempo che non ho a che fare con i Testoni.
— Questo non ha importanza, — ribatté il giornalista Kammerer. — Ha importanza che lei sia stato il primo ad avere a che fare con loro.
— Veramente, il primo è stato lei…
— No. Li ho semplicemente scoperti e basta. E su di me ho già scritto. Ed ho raccolto i materiali degli ultimi lavori di Komov. Come vede, il prologo e l’epilogo ci sono già, manca una sciocchezza: il contenuto fondamentale… Senta, Lev, dobbiamo assolutamente incontrarci. Starà molto sulla Terra?
— Non molto, — disse. — Ma ci incontreremo senz’altro. Per la verità, oggi non vorrei…
— Ma certo, oggi anche per me non va bene, — afferrò al volo il giornalista Kammerer. — Cosa ne direbbe di domani?
Per un po’ mi fissò in silenzio. Mi accorsi all’improvviso che non riuscivo a capire di quale colore avesse gli occhi, perché erano troppo profondamente infossati sotto le sopracciglia spioventi.
— Straordinario, — disse alla fine. — Lei non è affatto cambiato. Ed io?
— Devo esser sincero? — chiese il giornalista Kammerer, tanto per dire qualcosa.
Lev Abalkin sorrise di nuovo.
— Sì, — disse. — Sono passati venti anni. E sa, Mak, ricordo quel periodo come il più felice. Tutta la vita era davanti, tutto era appena all’inizio… E sa, ora ricordo quel periodo e penso: che fortuna ho avuto a cominciare con capi come Komov e come lei, Mak…
— Ma no, Lev, non esageri, — disse il giornalista Kammerer.
— Che cosa c’entro io?
— Come che cosa c’entra lei? Komov dirigeva, Rawlingson ed io eravamo gli esecutori, ma il coordinamento lo faceva lei!
Il giornalista Kammerer fece tanto d’occhi. E così pure io, ed in più mi misi sulla difensiva.
— Ma Lev, — disse il giornalista Kammerer, — lei, mio caro, era molto giovane e, evidentemente, non ha capito nulla del rapporto di subordinazione di allora. L’unica cosa che feci per voi fu di assicurare la sicurezza, il trasporto e i generi alimentari… Tutto qua…
— E forniva le idee! — insisté Lev Abalkin.
— Quali idee?
— L’idea della spedizione al Serpente Azzurro non è sua?
— Beh, in un certo qual modo…
— Vede! Questa è una. E l’idea che con i Testoni dovessero lavorare non gli zoopsicologi ma i Progressori: questa è un’altra!
— Aspetti, Lev! Questa è un’idea di Komov! Ed inoltre io non mi interessavo affatto di voi! In quel periodo c’era la rivolta su Pandea! Le prime operazioni di sbarco dell’Impero Insulare. Lei sa bene che… Oh, Signore! Se devo essere sincero, allora mi dimenticai addirittura di voi! Di voi si occupava Zef, e non io! Ricorda un aborigeno dai capelli rossi?
Lev Abalkin si mise a ridere, scoprendo i denti bianchi.
— Non c’è proprio niente da ridere! — esclamò arrabbiato il giornalista Kammerer. — Lei mi mette a disagio. Che assurdità! No, mio caro, si vede che mi sono messo giusto in tempo a lavorare a questo libro. Guarda che razza di idiozie giravano!…
— Va bene, va bene, non lo farò più, — disse Abalkin. — Continueremo questa discussione di persona…
— Ecco, proprio così, — disse il giornalista Kammerer. — Solo che non c’è niente da discutere. E non ci sarà nessuna discussione. Allora…
Il giornalista si mise a giocare con i bottoni del suo bloc-notes da tavolo.
— Domani alle 9.00 da me… Oppure, forse, le fa più comodo…
— Facciamo da me, — disse Lev Abalkin.
— Allora, mi dia l’indirizzo, — ordinò il giornalista Kammerer. Era ancora su di giri.
— Stazione balneare «I Pioppi», — disse Lev Abalkin. — Cottage numero sei.
2 giugno dell’anno 78. Alcune congetture sulle intenzioni di Lev Abalkin
Ordinai ad Aleksandr e ad Andrej di andarsene. In modo molto ufficiale. Mi toccò fare una faccia ufficiale e parlare in tono ufficiale, cosa che mi riuscì senza la minima difficoltà, perché volevo rimanere solo e riflettere.
Ritornai subito di buon umore. Alena si calmò e promise ubbidiente di non entrare nello studio e di far sì che non mi disturbassero. Per quanto ne so, lei ha un’idea assolutamente errata del mio lavoro. Per esempio, è convinta che sia un lavoro pericoloso. Ma alcune cose le ha capite, e precisamente: se all’improvviso sono occupato, non significa che ho avuto un’ispirazione istantanea o che all’improvviso mi abbia illuminato una fulgida idea, ma significa semplicemente che c’è un problema urgente da risolvere immediatamente.
Le diedi una tiratina d’orecchi e mi chiusi nello studio, lasciandola che metteva ordine nel soggiorno.
Come aveva fatto a sapere il mio numero? È facile. Lo avevo lasciato all’insegnante. Inoltre gli aveva potuto raccontare di me Maja Giumova; o si era incontrato di nuovo con Maja Glumova o aveva deciso di andare a trovare l’insegnante. Nonostante tutto. Per venti anni non aveva fatto sapere niente di sé, ed ora all’improvviso aveva deciso di vederlo. Perché?
A che scopo mi aveva telefonato? Forse, per un impulso sentimentale. Ricordando il suo primo lavoro. La gioventù, il periodo più felice della vita… Hmm… Ho qualche dubbio. Il desiderio altruistico di aiutare un giornalista (e primo scopritore dei suoi amati Testoni) nel suo lavoro, in aggiunta, diciamo, a un po’ di sano amor proprio? Sciocchezze. Allora perché mi dà un indirizzo falso? O forse non è falso? Ma se non è falso, allora vuol dire che non si nasconde. Allora, Sua Eccellenza si sta sbaghando… Ma in effetti, da che cosa si deduce che Lev Abalkin si stia nascondendo?
Chiamai in fretta l’informatore, chiesi il numero e telefonai ai «Pioppi», cottage numero sei. Non rispose nessuno. Proprio come dovevo aspettarmi.
Va bene, lasciamo da parte questo problema, per ora. Qual è stata la cosa più importante della nostra conversazione? Fra l’altro, in un caso per poco non mi ero tradito. Mordermi la lingua sarebbe stato poco. «Lei sa cosa significhi lo sbarco della flotta “Ž”!» «Sarebbe interessante sapere, Mak, come mai lei sia a conoscenza dello sbarco della flotta “Ž”, e, soprattutto, perché pensa che io ne sappia qualcosa?» Ovviamente, non ha detto niente del genere, ma lo ha pensato e ha capito tutto e, dopo un simile scivolone, mi rimarrebbe soltanto di andare a fare veramente il giornalista… Ma anche lui non ha poi così tanto tempo da mettersi ad analizzare e a valutare ogni mia parola. È chiaro che sta perseguendo un suo scopo, e tutto ciò che non è attinente, probabilmente, gli scivola davanti alle orecchie…
Dove voleva arrivare? Perché aveva cercato di attribuirmi i suoi meriti e i meriti di Komov, per di più? E quel che è più importante, subito, di botto, quando avevamo fatto appena in tempo a salutarci… Si potrebbe veramente pensare che io vada mettendo in giro voci su una mia priorità, proprio come se tutte le idee fondamentali sui Testoni mi appartenessero e le attribuissi a me stesso, e lui, venuto a saperlo, mi volesse far capire che sono un mascalzone. In ogni caso la sua presa in giro era a doppio senso… Ma è un’assurdità! Che sia stato proprio io a scoprire i Testoni, ormai lo sanno solo gli specialisti, e anche quelli probabilmente se lo sono già dimenticato…