Il Ramforinch volò via. Sulla stradina asfaltata al di là del giardino si sentì sbuffare il motore di una macchina.

— Il nostro villaggio si fa animato, — osservò lo zio Saša. — C’è movimento come sulla Prospettiva Nevskij.

— È Anton! — Vadim balzò in avanti e gli corse incontro.

Anton mise la macchina in garage. Uscendo dal garage, disse distrattamente:

— Tutto a posto, Dimka. Ho registrato il libretto di navigazione, ho avuto il permesso…

— Ma? — chiese Vadim perspicace.

— Ma… che cosa?

— Sento chiaramente che c’è un “ma”.

Anton rispose malvolentieri:

— Sono passato da Galja. Lei non viene.

— Per causa mia?

— No… per causa mia.

— Sì, — commentò Vadim pensieroso.

Anton chiese:

— E come vanno le operazioni di carico?

— Tutto a posto, skipper. Possiamo partire.

— E com’è la casa? In ordine?

— Quale casa?

— La mia, per esempio.

— No, capitano. Scusa, capitano. Ho appena terminato di caricare, capitano.

Basso, sopra i tetti, volò di nuovo il Ramforinch rosso. Anton guardò attentamente.

— Ma che cosa succede? — si meravigliò. — Di nuovo lo ZS-268! A quanto pare sono diventato oggetto di particolare attenzione. Questo Ramforinch rosso, col numero ZS-268 sulla fiancata, mi sta seguendo fin dalla piazza Dvorcovaja.

— Non ci sarà dimezzo qualche donna? — si informò Vadim.

— Non credo. Finora le donne non mi hanno mai dato la caccia.

— Potrebbero anche iniziare… — disse Vadim, ma qui lo illuminò una nuova idea. — Forse si tratta di un membro di una Società segreta per la protezione dei Tachorg?

Il Ramforinch sorvolò di nuovo le loro teste e improvvisamente si acquietò.

— È venuto per lo zio Saša, — fece Vadim. — Avrà portato i pezzi di ricambio. Povero Ramforinch! A proposito, ce li hai?

— Sì, ce li ho, — rispose Anton, distratto. — No, supermagazziniere strutturalista, non è venuto per lo zio Saša…

Da dietro i cespugli apparve un uomo alto e ossuto che portava un’ampia casacca bianca e dei pantaloni pure bianchi. Aveva il volto molto abbronzato con le sopracciglia cespugliose e grandi orecchie scure. In mano teneva una voluminosa cartella.

— È lui, — disse Anton.

— Lui chi?

— L’uomo in bianco. Si aggirava sempre intorno alla fila. E guardava tutti negli occhi.

— Ora gli vado a spiegare cosa sono i Tachorg, — disse Vadim, — così capisce.

L’uomo in bianco si accostò e fissò con attenzione i due cacciatori.

— Lo sa che i Tachorg attaccano le persone e qualche volta le feriscono gravemente? — chiese Vadim. — Possono causare serie mutilazioni.

— Davvero? — fece sorpreso l’uomo in bianco. — I Tachorg? Mai sentiti nominare. Comunque, non è affar mio. Sono venuto da voi per chiedervi un favore. Salve, — si toccò la tempia con le due dita.

— Salve, — rispose Anton. — Cerca me?

Lo sconosciuto lasciò cadere la cartella fra le sue gambe e si asciugò il sudore dalla fronte. Nella cartella qualcosa fece un rumore sordo. Era enorme, piena zeppa di roba, molto consumata, con una gran quantità di lucchetti e di fibbie metalliche. “Cartella” in giapponese si dice “kaban”, che in russo significa “cinghiale”, pensò Vadim. Hanno ragione i giapponesi.

Lo sconosciuto cominciò lentamente a parlare:

— Sì, lei. — Socchiuse gli occhi e di nuovo si passò con forza la mano sulla fronte. — Solo, la prego, non mi chieda perché proprio lei. Si tratta solo di un caso… Poteva essere chiunque altro…

— Abbiamo avuto proprio fortuna, — disse allegro Vadim. — È straordinaria la fortuna che abbiamo oggi.

Lo sconosciuto lo guardò senza sorridere.

— È lei il capitano? — chiese.

— Potenzialmente, — rispose Vadim. — Ma cineticamente sono il supermagazziniere e lo specialista capo di Tachorg… Se necessario, zoologo dilettante…

Vadim era partito in quarta, non poteva più trattenersi. Doveva a ogni costo riuscire a far sorridere lo sconosciuto, anche solo per cortesia.

— Inoltre, sono secondo pilota dilettante, — disse. — Cioè, nel caso che al capitano venga un attacco di disidratazione o il gomito della lavandaia…

Lo sconosciuto ascoltava in silenzio. Anton disse piano:

— Molto spiritoso.

Cadde il silenzio.

— Da quel che ho capito, volate su Pandora, — disse lo sconosciuto. Guardava Anton.

— Sì, andiamo su Pandora, — Anton sbirciò la cartella. — Vuole che portiamo qualcosa da parte sua?

— No, — disse lo sconosciuto. — Non devo mandare niente. Il mio problema è un altro… Avrei una proposta da farvi. Voi, andate a divertirvi?

— Sì, — disse Anton.

— Se una caccia pericolosa può ritenersi un divertimento, — aggiunse Vadim significativamente.

— È proprio una bella vacanza, — disse Anton. — Un volo turistico e la caccia.

— Un volo turistico… — ripeté lentamente lo sconosciuto, come se si meravigliasse. — Turisti… Scusate, ragazzi, ma non assomigliate affatto a dei turisti. Siete degli esploratori giovani, sani… A che vi servono i pianeti abitati, le giungle elettrificate, i distributori automatici di gazzosa nel deserto? E per che cosa! Perché non scegliete un pianeta sconosciuto?

I ragazzi si guardarono.

— Quale pianeta precisamente? — chiese Anton.

— Quale pianeta? Uno qualsiasi, su cui l’uomo non abbia ancora messo piede… — lo sconosciuto sgranò gli occhi all’improvviso. — Oppure non ce ne sono?

Non stava scherzando: era chiaro, e i ragazzi di nuovo si guardarono.

— Come no! — disse Anton. — Pianeti così ce ne sono a iosa. Ma noi è tutto l’inverno che ci prepariamo ad andare a caccia su Pandora.

— Io personalmente, — continuò Vadim, — ho già regalato ai conoscenti i crani dei Tachorg non ancora uccisi.

— E poi, che cosa faremmo su un pianeta nuovo? — disse piano Anton. — Non siamo una spedizione scientifica, non siamo degli specialisti. Ecco, Vadim è linguista, ed io sono pilota di astronavi… Non saremmo in grado neppure di redigere una prima descrizione… Oppure, forse, lei ha un’idea?

Lo sconosciuto aggrottò le sopracciglia cespugliose.

— No, non ho nessuna idea, — disse deciso. — Semplicemente ho bisogno di andare in un pianeta sconosciuto. E la questione è: mi potete aiutare oppure no?

Vadim si mise a giocherellare con la chiusura lampo del suo giubbotto. Il tono dello sconosciuto lo infastidiva: non era il tono a cui era abituato. E, ciò nonostante, la situazione era difficile. Per uno che parte per andare a divertirsi è difficile discutere con uno che ha bisogno di partire per affari. Argomenti Vadim non ne aveva, e perciò aveva già deciso di prendere a pretesto i modi dello sconosciuto quando avvenne uno strano fatto.

Dietro agli alberi un cane si mise ad abbaiare. Era l’airedale Trofim dello zio Saša, un vecchio stupido cane con segni di origine aristocratica e un latrato incredibilmente profondo. Con ogni probabilità abbaiava perché sul naso gli si era posata una vespa e lui non sapeva cosa fare, ma la faccia dello sconosciuto all’improvviso si contorse in modo terribile. Si ranriicchiò e balzò lontano. Vadim non capì nemmeno cosa stesse succedendo. Lo sconosciuto si raddrizzò e a passi studiatamente lenti tornò al suo posto. La fronte gli luccicava per il sudore. Vadim gettò un’occhiata ad Anton, il cui viso era calmo e pensieroso.

— Allora, — disse. — Nella seconda periferia ci sono molte nane gialle che hanno dei discreti pianeti di tipo terrestre. Possiamo andare là. Prendiamo per esempio EN 7031. Si preparava già una spedizione, ma è stata rimandata. Sembrava che non fosse interessante. I volontari non amano le nane gialle, preferiscono le stelle giganti, meglio i sistemi binari… Le va bene EN 7031?

— Sì, certo, — disse lo sconosciuto. Aveva già ripreso il controllo di se stesso. — Però solo se si tratta di un pianeta deserto.

— Non è un pianeta, — corresse gentilmente Anton. — È una stella. Un sole. Ma ci sono anche dei pianeti deserti, con ogni probabilità. Ma lei, come si chiama?


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