Si alzò e nello stesso tempo scolò la sua ultima birra. «I giorni vanno alla fine e noi ce ne stiamo seduti», disse dopo aver posato il boccale sul tavolo. «Se vuoi andare nella landa, allora devi andarci adesso. Ci vuole parecchio tempo ad attraversare le montagne, anche con l’aerauto e non è prudente star fuori quando diventa buio».
«Ah!». Dirk terminò la sua birra e si pulì la bocca con il dorso della mano. Pareva che i tovaglioli non facessero parte dei servizi da tavola dei Kavalar.
«Le banscee non sono mai stati gli unici predatori presenti su Worlorn», disse Vikary. «Ci sono ammazzauomini e bestie feroci provenienti da quattordici mondi diversi nella foresta e non sono la cosa più pericolosa. I peggiori sono gli uomini. Al giorno d’oggi Worlorn è un mondo facile e vuoto e le sue ombre e le sue lande sono piene di cose strane».
«Sarebbe meglio che ci andaste armati», disse Janacek. «O meglio ancora, potremmo venire Jaan ed io con voi, per vigilare sulla vostra sicurezza».
Ma Vikary scosse il capo. «No, Garse! Devono andare da soli, per parlare. È meglio così, mi capisci? Lo voglio io». Poi prese su una bracciata di stoviglie e si avviò verso la cucina. Ma giunto presso la porta si fermò e si voltò guardando al di sopra della sua spalla ed i suoi occhi incontrarono per un istante quelli di Dirk.
E Dirk si ricordò delle sue parole, su in cima al tetto, all’alba. Io esisto, aveva detto Jaan. Ricordati di questo.
«Da quand’è che non vai più su di un aeroscooter?» gli chiese Gwen poco tempo dopo, quando si incontrarono sul tetto. Lei aveva indossato una specie di tuta in un pezzo solo fatta di tessuto camaleontino, un abito con cintura che la copriva dagli stivali al collo, di color rosso cupo e grigiastro. Il nastro che le teneva a posto i capelli era fatto dello stesso materiale.
«L’ultima volta è stato da bambino», disse Dirk. Anche lui era vestito nello stesso modo. Gwen gli aveva dato quel vestito perché così avrebbero potuto mimetizzarsi nella foresta. «Fin da quando ero su Avalon. Ma ci voglio provare. Una volta ero piuttosto bravino».
«Allora va bene», disse Gwen. «Non sarà necessario né andare in fretta, né lontano, ma la cosa non dovrebbe essere importante». La donna aprì il portello del baule della manta grigia ed estrasse due pacchetti argentei e due paia di stivali.
Dirk rimase seduto sull’ala dell’aerauto per cambiare gli stivali e per allacciarli. Gwen aprì gli scooter, due piccole piattaforme di tessuto di metallo sottile, larghe appena da poterci stare su. Quando Gwen le allargò per terra, Dirk vide i punti in cui si incrociavano i fili delle griglie di gravità, messi nella parte di sotto. Egli salì su uno degli scooter, con molta attenzione sistemò i piedi e le suole di metallo e gli stivali si bloccarono al loro posto, come se la piattaforma fosse diventata rigida. Gwen gli passò il dispositivo di controllo che lui si sistemò al polso, in modo che gli finisse nel palmo della mano.
«Arkin ed io usiamo gli scooter per andare in giro nella foresta», gli disse Gwen mentre era chinata ad allacciarsi gli stivali. «Un’aerauto ha una velocità dieci volte maggiore, si capisce, ma non è sempre facile trovare una radura abbastanza ampia per atterrarvi. Gli scooter sono adatti ad un lavoro a distanza ravvicinata, a patto che non si debba trasportare un equipaggiamento troppo pesante, o che non si abbia fretta. Garse dice che sono dei giocattoli, ma…». Si alzò in piedi, salì sulla sua piattaforma e sorrise. «Pronto?».
«Ci puoi scommettere», disse Dirk e soffregò tra le dita la cialda d’argento nel palmo della mano destra. Però un po’ troppo forte. Lo scooter saltò in alto e si allontanò, portando via anche i piedi di Dirk che si ritrovò con la testa sotto ed i piedi in alto. Ci mancò poco che non si rompesse la testa contro il tetto e salì nel cielo ridendo selvaggiamente, penzolando appeso allo scooter.
Gwen gli venne dietro, in piedi sulla sua piattaforma, arrampicandosi nel vento crepuscolare con l’abilità nata dalla gran pratica; pareva un djing dei mondi esterni che cavalcasse un cimelio a forma di tappeto volante d’argento. Quando raggiunse Dirk, lui si era dato da fare con i controlli ed era riuscito a raddrizzarsi, anche se continuava ad oscillare avanti e indietro nel tentativo di bilanciarsi. Al contrario delle aerauto, gli scooter non avevano giroscopi.
«Eeeehi», gridò quando lei fu vicina. Gwen si mosse ridendo dietro di lui e gli diede una cordiale pacca sul sedere. Dirk non aspettava altro per scattare di nuovo lontano e cominciò a scorazzare per il cielo di Larteyn caprioleggiando.
Gwen gli si mise dietro e gridò qualcosa. Dirk sbatté gli occhi e vide che stava quasi per schiantarsi contro un’alta torre di ebano. Manovrò i controlli e scattò in alto, sempre lottando per stare in equilibrio.
Dirk si trovava al di sopra della città quando lei lo acchiappò. «Sta lontana», l’ammoni sorridendo e si sentiva stupido, goffo e giocherellone. «Colpiscimi ancora ed io prenderò il cannone volante e ti sbatterò giù dal cielo a colpi di laser, donna!». Oscillò da un lato, si riprese, poi sovraccompensò la spinta e si portò dall’altra parte gridando.
«Sei ubriaco», gridò Gwen attraverso il lamento del vento. «A colazione hai bevuto troppa birra». Adesso lei era su di lui, con le braccia piegate contro il petto, osservandolo mentre si dava da fare per star dritto e facendo finta di disapprovarlo.
«Questi affari sembrano molto più stabili se si sta a testa sotto», disse Dirk. Era finalmente riuscito a raggiungere una specie di equilibrio, però si vedeva dal modo in cui teneva le braccia, allargate all’infuori, che non si sentiva troppo sicuro di riuscire a mantenerlo.
Gwen si sistemò alla sua altezza e gli si mise di fianco, con le gambe ben ferme e sicure, coi capelli scuri che le volavano dietro simili ad una nera bandiera. «Come va?», gridò lei quando furono uno di fianco all’altra.
«Mi pare di avercela fatta!», annunciò Dirk. Per adesso era ancora in piedi.
«Bene. Guarda sotto!».
Lui guardò giù, al di là della magra protezione della piattaforma che aveva sotto i piedi. Sotto di loro non c’era più Larteyn con le sue torri cupe e le sbiadite strade di pietraluce. Invece c’era un lungo lunghissimo abisso che portava nel lontano Comune, aprendosi in un cielo crepuscolare. Riuscì a vedere un fiume, un intreccio di scure acque in movimento nella breve luce inverdita. Allora la testa gli prese a girare vertiginosamente, strinse le mani e venne nuovamente sbattuto di lato.
Questa volta Gwen si mise sotto di lui, non appena Dirk si fu capovolto. Gwen incrociò le braccia al petto come aveva già fatto prima e gli fece un sogghigno. «Tu sei uno stronzo, t’Larien», gli disse. «Perché mai non voli in posizione diritta?».
Lui grugni, o per lo meno tentò di grugnire, ma il vento si portò via il suo fiato e riusci solo a fare delle smorfie. Poi si capovolse. Le gambe gli cominciavano a dolere per tutto questo lavoro. «Tiè!», gridò e guardò in basso con gesto di sfida, per provare che l’altezza non sarebbe riuscita a giocargli un secondo tiro.
Gwen gli si rimise di fianco, lo guardò ed annui. «Qualsiasi bambino di Avalon ti considererebbe una calamità, e la stessa cosa penserebbero quelli che vanno su gli scooter sugli altri mondi», disse lei. «Ma probabilmente sopravviverai. Allora, vuoi vedere questa landa?».
«Fammi strada, Jenny!».
«Allora gira. Stiamo andando dalla parte sbagliata. Dobbiamo superare le montagne». Lei allungò la mano libera e prese quella di Dirk, poi cominciarono a girare assieme in una grande spirale, ascendente e discendente, con davanti le montagne e Larteyn. La città aveva un aspetto grigio e slavato per la distanza, la sua orgogliosa pietraluce era un sole spento nel nero. Le montagne erano una grande mole buia.
Andavano verso le montagne assieme, guadagnavano altezza con regolarità e ben presto si trovarono al di sopra della Fortezza di Luce, abbastanza in alto da poter superare il picco. Si trovavano più o meno alla massima altezza raggiungibile con un aeroscooter; naturalmente un’aerauto poteva arrivare parecchio più in alto. Ma per Dirk era alto più che abbastanza. Le tute fatte di tessuto camaleontino erano diventate tutte grigie e bianche e lui si rallegrò che quegli abiti fossero così caldi; il vento era gelato e l’incerto giorno di Worlorn non era molto più caldo delle sue notti.