«Il tuo modo di esprimerti è involuto, ma credo di capire. Ti spiegherò cosa sta dietro a questa faccenda, e comincerò con il dire che, secondo Spacetown, i rapporti con la Terra sono molto insoddisfacenti.»

«È dura» borbottò Baley.

«Quando venne fondata Spacetown la nostra gente diede per scontato che la Terra avrebbe adottato la società integrata che ha funzionato così bene sui Mondi Esterni. Anche dopo i primi disordini pensammo che fosse solo questione di tempo, e poi il vostro popolo avrebbe assimilato la novità.

«Ma non è stato così. Pur con la cooperazione del governo terrestre e i governi locali delle singole Città, la resistenza è stata continua e il processo molto lento. Questo, ovviamente, preoccupa il nostro popolo.»

«Per motivi altruistici, suppongo» disse Baley.

«Non del tutto» ribatté R. Daneel «anche se è gentile da parte tua attribuirci sentimenti elevati. È nostra convinzione che una Terra prospera e modernizzata sarebbe di gran beneficio a tutta la galassia. Almeno, questo è il punto di vista di Spacetown. Devo ammettere che sui Mondi Esterni esistono forti elementi di opposizione.»

«Come? Disaccordo fra gli Spaziali?»

«Sicuro. Alcuni pensano che la Terra, modernizzata, diventerebbe pericolosa e tenderebbe all’imperialismo. Questo è particolarmente vero tra le popolazioni dei mondi più vicini, le quali ricordano che nei primi secoli di viaggi interstellari le colonie erano controllate, politicamente ed economicamente, dalla Terra.»

Baley sospirò. «Storia vecchia. Si preoccupano veramente? Ci odiano ancora per cose successe mille anni fa?»

«Gli uomini» rispose R. Daneel «hanno le loro idiosincrasie. In molti casi non sono ragionevoli come noi robot, e questo perché i loro circuiti non sono pre-elaborati. Ma ho sentito che anche il vostro sistema ha i suoi vantaggi.»

«Pare di sì» disse Baley, asciutto.

«Tu puoi saperlo meglio di me» decise R. Daneel. «Comunque, il fallimento dei nostri piani sulla Terra ha rafforzato i partiti nazionalisti sui Mondi Esterni. Dicono che i terrestri sono diversi dagli Spaziali e che non possono adattarsi allo stesso modello di vita. Sostengono che se vi imponessimo i robot con la forza, prepareremmo la rovina della galassia. Una cosa che nessuno dimentica, nello spazio, è che la popolazione terrestre è di otto miliardi, mentre la popolazione totale dei cinquanta Mondi abitati supera di poco i cinque miliardi e mezzo. La nostra delegazione sulla Terra, e in particolare il dottor Sarton…»

«Era uno specialista?»

«In sociologia, con particolare riguardo ai problemi robotici. Un uomo brillante.»

«Capisco. Continua.»

«Come dicevo, il dottor Sarton e altri hanno capito che Spacetown e la nostra colonia qui non sarebbero durate a lungo, se i sentimenti nazionalisti sui Mondi Esterni avessero continuato a nutrirsi dei nostri fallimenti. Il dottor Sarton, quindi, si rese conto che era venuto il momento di fare uno sforzo supremo per capire la psicologia dei terrestri. È facile dire che gli abitanti della Terra sono conservatori per istinto e citare a sostegno frasi trite come "la Terra immutabile", "l’inscrutabile mente dei terrestri" e così via. È un modo come un altro per evadere il problema.

«Il dottor Sarton sosteneva che solo l’ignoranza si esprime per frasi fatte, e che il problema terrestre non poteva essere liquidato con un assioma o un luogo comune. Diceva che gli Spaziali seriamente intenzionati a cambiare la Terra dovevano abbandonare l’isolamento di Spacetown e mischiarsi alla gente, vivere come si vive qui, pensare come si pensa qui. In una parola, identificarsi con i terrestri.»

Baley disse: «Gli Spaziali? Impossibile».

«Hai ragione, in un certo senso» disse R. Daneel. «Nonostante le sue opinioni lo stesso dottor Sarton riconosceva che non sarebbe riuscito a stabilirsi in una Città, che non ne avrebbe sopportato la grandezza e le folle. E anche se l’avessero costretto, puntandogli contro un disintegratore, la sua mentalità di cittadino dei Mondi Esterni gli avrebbe impedito di penetrare a fondo le verità che cercava.»

«Che mi dici della loro paura delle malattie?» chiese Baley. «È un elemento importante; credo che uno Spaziale non oserebbe mettere piede in una delle nostre Città per questo solo motivo.»

«È vero. Le malattie in senso terrestre sono sconosciute sui Mondi Esterni e la paura dell’ignoto è sempre morbosa. Il dottor Sarton si rendeva conto di tutto questo, ma insisteva sulla necessità di conoscere intimamente i terrestri e il loro modo di vivere.»

«Mi sembra un problema senza sbocchi.»

«Non del tutto. La difficoltà di vivere in una Città terrestre è enorme per gli Spaziali umani, ma i robot sono un’altra cosa.»

Baley pensò: "continuo a dimenticarlo, maledizione". Poi, ad alta voce: «Davvero?».

«Sì» rispose R. Daneel. «Siamo più flessibili per disposizione. Almeno in questo senso. Possiamo essere progettati per adattarci alla vita terrestre. Essendo costruiti in modo da somigliare agli Spaziali umani verremmo accettati dalla popolazione e potremmo studiare meglio la sua vita.»

«E tu…» cominciò Baley, che finalmente ci vedeva chiaro.

«Io sono un robot adattato, sì. Il dottor Sarton ha lavorato un anno per progettarci e costruirci. Sono stato il primo a venire prodotto, e finora anche l’unico. Sfortunatamente la mia educazione non è completa. Sono stato usato prima del previsto a causa dell’omicidio.»

«Allora non tutti i robot spaziali sono come te? Voglio dire, alcuni somigliano più ai robot normali che agli uomini, vero?»

«Ma certo. L’aspetto esterno viene stabilito in base alle funzioni che un robot deve avere. Le mie richiedono un aspetto molto simile a quello dell’uomo e quindi mi è stato dato. Gli altri sono diversi, anche se tutti sono umanoidi; certo più umanoidi dei deprimenti modelli che ho visto nel negozio di scarpe. Tutti i vostri robot sono come quelli?»

«Più o meno» disse Baley. «Tu non approvi?»

«Certo che no. È difficile accettare una grossolana caricatura della forma umana come nostro pari sul piano intellettuale. Le vostre fabbriche non possono fare di meglio?»

«Sono sicuro di sì, Daneel, ma vedi, noi preferiamo sapere quando abbiamo a che fare con un robot e quando no.» Nel dire questo guardò direttamente negli occhi dell’automa. Erano lucenti e umidi come quelli di un uomo, ma a Baley sembrò che lo sguardo fosse rigido e non guizzasse leggermente da un punto all’altro come succede a quello umano.

R. Daneel disse: «Spero, con il tempo, di riuscire a capire questo punto di vista».

Per un attimo Baley pensò che in quelle parole ci fosse del sarcasmo, ma infine decise che era impossibile.

«Comunque» riprese R. Daneel «il dottor Sarton intuì che anche qui c’era la possibilità di creare una C/Fe.»

«Ci fe? E che sarebbe?»

«I simboli chimici del carbonio e del ferro, nient’altro. Il carbonio è la base della vita umana, il ferro di quella dei robot. Si parla di C/Fe quando si vuol esprimere il concetto di una cultura che combina il meglio delle due, su una base egualitaria e parallela.»

«Ci, fe… lo scrivete con il trattino?»

«Niente trattino, Elijah, ma una barra diagonale fra i due simboli. In questo modo si rappresenta la perfetta combinazione, senza che uno abbia la priorità.»

Baley scoprì, contro la sua volontà, di essere interessato. L’educazione scolastica che veniva impartita sulla Terra non includeva alcuna informazione sulla storia e il sistema sociale dei Mondi Esterni, e questo fin da quando la Grande Rivoluzione li aveva resi indipendenti dal pianeta madre. Nei libro-film popolari, ovviamente, abbondavano i personaggi esotici che venivano dai Mondi, ma si riducevano a una serie di stereotipi: il miliardario in gita turistica, di solito bizzarro e sempre pronto ad arrabbiarsi; la bella ereditiera, invariabilmente vittima del fascino terrestre e ridimensionata nel suo primitivo disprezzo, che si trasformava in amore; il terzo incomodo, un tipico Spaziale maligno e altezzoso, ma sempre sconfitto. Personaggi privi della minima utilità, perché basati sull’artificio e sulla negazione delle verità più elementari e risapute: gli Spaziali non entravano mai nelle Città e le loro donne non visitavano praticamente mai la Terra.


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