«Mi dispiace» disse Fastolfe «ma preferirei che non lo facesse.»

Era una "preferenza" data con la forza di un ordine. Baley mise via la pipa che aveva già estratto a metà, aspettandosi di venire autorizzato.

Certo, pensò amaramente; Enderby non me l’ha detto perché lui non fuma, ma c’era da immaginarselo. Niente tabacco, sugli igienici Mondi Esterni, niente vino, niente vizi umani. Non c’era da meravigliarsi che nella loro dannata cultura C/Fe, o come diavola si chiamava, i robot venissero accettati tranquillamente. E quindi, non c’era da meravigliarsi che il sedicente R. Daneel facesse la sua parte così bene. Là nello spazio erano tutti robot.

«Non è solo una questione di rassomiglianza» disse Baley. «Nel mio settore c’è stato un tentativo di sommossa mentre portavo a casa lui.» (Dovette indicarlo, perché non riusciva a chiamarlo né R. Daneel né dottor Sarton.) «Ed è stato lui a mettere le cose a posto, puntando un disintegratore sui cittadini che brontolavano.»

«Bontà divina» gemette Enderby «il rapporto diceva che eri stato tu…»

«Lo so, questore» disse Baley. «Ho dettato io il rapporto; non volevo spargere la voce che un robot aveva puntato un’arma su degli esseri umani.»

«Certo, certo. Hai fatto benissimo.» Enderby era al colmo dell’orrore. Si piegò per osservare qualcosa che rimaneva fuori campo.

Baley immaginava che cosa fosse. Il questore stava leggendo il contaimpulsi per vedere se il trasmettitore era controllato.

«E questo è un altro punto a favore della sua tesi?» chiese Fastolfe.

«Certo. La Prima Legge della Robotica dice che un robot non può fare del male a un essere umano.»

«Ma R. Daneel non ha fatto niente.»

«Vero, e dopo mi ha detto che non avrebbe sparato comunque. Tuttavia nessun robot avrebbe violato lo spirito della Legge fino al punto da minacciare un uomo con un’arma. Anche se non avesse avuto intenzione di usarla.»

«Capisco. Lei è un esperto di robotica, signor Baley?»

«Nossignore, ma ho fatto un corso di robotica generale e di analisi positronica. Non sono un ignorante.»

«Questo è molto carino» disse Fastolfe «ma vede, io sono un esperto e le assicuro che la mente robotica si fonda su un’interpretazione assolutamente letterale dell’universo. Per un robot lo "spirito" della Prima Legge, come lei l’ha chiamato, non esiste; ciò che esiste e che conta è la lettera. I modelli semplici che costruite sulla Terra sono così sovraccarichi di circuiti di sicurezza che, probabilmente, sono incapaci perfino di minacciare un essere umano. Ma un modello perfezionato come R. Daneel è un altro discorso, e se interpreto la situazione correttamente il suo intervento ha impedito che si scatenasse una sommossa. Questo è perfettamente conforme alla Prima Legge.»

Internamente Baley cominciava a sudare, ma fece di tutto perché la sua espressione esterna rimanesse calma. Non sarebbe stato facile, ma avrebbe sconfitto lo Spaziale al suo stesso gioco.

«Lei può dire quello che vuole, ma messi insieme i vari punti continuano a insospettirmi. L’altra sera, mentre parlavamo del cosiddetto omicidio, il qui presente "automa" ha detto di essere stato trasformato in un detective grazie all’installazione di un nuovo impulso nei suoi circuiti positronici. Un impulso, mi ascolti bene, alla giustizia.»

«Posso garantire personalmente» disse il dottor Fastolfe. «Gli è stato fatto tre giorni fa, sotto la mia supervisione.»

«Le ricordo, dottor Fastolfe, che la giustizia è una astrazione, e che solo un essere umano può comprenderne il senso.»

«Se lei definisce la parola "giustizia" in modo tale che diventi un’astrazione, se dice, per esempio, che consiste nel dare a ogni uomo ciò che gli è dovuto, o nell’aderire al giusto, concordo con il suo punto di vista. Il senso che noi diamo a questi concetti non può essere recepito da un cervello positronico, almeno all’attuale stato delle conoscenze.»

«Dunque lo ammette, come esperto di robotica?»

«Certo. Ma la domanda è: che cosa intende, R. Daneel, con la parola giustizia?»

«A giudicare dal contesto della conversazione, intendeva esattamente ciò che lei, io o ogni altro essere umano intenderebbe.»

«Signor Baley, perché non chiede la definizione direttamente a lui?»

Baley cominciò a sentirsi meno sicuro. Si girò verso R. Daneel: «E allora?».

«Sì, Elijah?»

«Qual è la tua definizione di giustizia?»

«La giustizia, Elijah, è ciò che si ottiene quando tutte le leggi vengono fatte rispettare.»

Fastolfe annuì. «Una buona definizione, signor Baley. Buona per un robot. In Daneel è stato inserito il desiderio di far rispettare la legge. La giustizia, per lui, è qualcosa di molto concreto, cioè qualcosa che esiste quando si ottiene l’osservanza di uno specifico e definito codice. Non c’è nulla di astratto in questo. Un essere umano può ammettere che, sulla base d’un astratto codice morale, alcune leggi sono cattive e la loro imposizione ingiusta. Ma R. Daneel… che hai da dire in proposito?»

«Una legge ingiusta» rispose calmo R. Daneel «è una contraddizione in termini.»

«Come vede, signor Baley, per un robot le cose stanno così. Non deve confondere la nostra giustizia con quella di R. Daneel.»

Baley si rivolse bruscamente a R. Daneel: «Stanotte sei uscito dal mio appartamento».

«Infatti» ammise R. Daneel. «Se ho disturbato il tuo sonno, mi dispiace.»

«Dove sei andato?»

«Al Personale degli uomini.»

Baley rimase senza parole per un momento. Era indubbiamente la verità, lo aveva già stabilito, ma non pensava che R. Daneel l’ammettesse apertamente. Un altro po’ della sua sicurezza se ne andò, ma lottò per tenersi ancorato alla posizione. Il questore li osservava e gli occhiali lampeggiavano ora verso l’uno ora verso l’altro, mentre la conversazione s’infervorava. Baley non poteva capitolare proprio adesso, a prescindere dalle armi insidiose dei suoi avversari. Doveva difendere la sua teoria.

Disse: «Quando siamo entrati nel mio settore il cosiddetto robot mi ha chiesto di venire al Personale con me. Ha usato una scusa piuttosto blanda. Poi, durante la notte, è andato al Personale di nuovo, come ha appena ammesso. Se fosse un uomo, direi che aveva tutto il diritto di comportarsi come ha fatto, è ovvio. Come robot, tuttavia, si tratterebbe di visite perfettamente inutili. L’unica conclusione è che si tratta di un uomo».

Fastolfe annuì, per nulla spiazzato. «È una cosa molto interessante. Ma perché non chiediamo a Daneel le ragioni della sua visita al Personale, la notte scorsa?»

Il questore Enderby si sporse in avanti: «Per favore, dottor Fastolfe, non è decente chiedere…».

«Non deve preoccuparsi, questore» disse Fastolfe curvando le labbra in quello che sembrava un sorriso ma non lo era. «Sono certo che la risposta di Daneel non offenderà né la sua sensibilità né quella del signor Baley. Allora, Daneel, vuoi darci la risposta?»

R. Daneel disse: «La moglie di Elijah, Jessie, ha lasciato l’appartamento subito dopo cena, ieri sera; era affabile e cordiale nei miei confronti. Da come si comportava era ovvio che non aveva ragione per credermi un non umano. Quando è rientrata, tuttavia, sapeva che ero un robot. L’evidente conclusione è che l’informazione le era stata fornita fuori. Dunque, nella Città qualcuno conosceva la mia identità; dunque, la nostra conversazione era stata spiata. In nessun altro modo il segreto della mia natura avrebbe potuto diventare di pubblico dominio.

«Elijah mi ha detto che gli appartamenti sono ben isolati, e del resto abbiamo parlato a bassa voce. Non sarebbe bastato che qualcuno origliasse. Eppure, il fatto che Elijah è un poliziotto è risaputo. Se nella Città esiste un’organizzazione tanto efficiente da aver programmato l’omicidio del dottor Sarton, è probabile che abbia saputo chi è stato incaricato delle indagini. Direi che non solo è possibile, ma addirittura probabile che l’appartamento di Elijah sia stato messo sotto controllo.


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