«Grazie, dottor Fastolfe» disse Baley. «Apprezzo molto la sua collaborazione.»
"E questo" pensò "esaurisce i convenevoli." Morse il centro della mela e una serie di piccoli ovoidi neri gli entrò in bocca. Sputò immediatamente, senza rendersi conto di quel che faceva. Gli oggetti neri caddero sul pavimento. Uno avrebbe colpito la gamba di Fastolfe, se lo Spaziale non l’avesse spostata in fretta.
Baley arrossì e si chinò a raccoglierli.
Fastolfe disse, conciliante: «Va tutto bene, signor Baley. Li lasci pure dove sono».
Baley si mise dritto e posò la mela. Aveva la sgradevole sensazione che una volta che se ne fosse andato i piccoli oggetti neri sarebbero stati raccolti da un aspiratore, i frutti messi sul tavolo sarebbero stati, bruciati o comunque espulsi da Spacetown e tutta la stanza sarebbe stata inondata di viricida.
Per coprire l’imbarazzo assunse un atteggiamento brusco. «Chiedo l’autorizzazione di personificare il questore Enderby, in modo che possa assistere a questa riunione.»
Fastolfe alzò le sopracciglia. «Certo, se desidera. Daneel, vuoi stabilire il collegamento trivision?»
Baley rimase rigido e a disagio al suo posto, gli occhi puntati sul parallelepipedo trasparente che occupava un angolo della stanza. Quando il parallelepipedo scomparve, al suo posto videro la figura del questore Enderby e di parte della sua scrivania. In quell’istante il disagio finì e Baley sentì nient’altro che amore per il personaggio familiare del questore; e, insieme all’amore, il desiderio di essere al sicuro con lui nel suo ufficio, o in qualunque altro punto della Città. Si sarebbe accontentato perfino di un settore periferico nel Jersey, fra le vasche del lievito.
Ora che il suo testimone era presente, Baley non vedeva ragione di rimandare. Disse: «Credo di aver fatto luce sul mistero che circonda la morte del dottor Sarton».
Con la coda dell’occhio vide Enderby che scattava in piedi afferrando con successo, e all’ultimo momento, gli occhiali che gli erano schizzati dal naso. Ora il questore usciva dall’inquadratura tridimensionale e fu costretto a sedersi di nuovo. Aveva la faccia rossa e si vedeva che non riusciva a trovare nulla da dire.
Il dottor Fastolfe era sorpreso, ma in modo più tranquillo: si limitò a inclinare la testa da un lato. Solo R. Daneel non mostrava alcuna emozione.
«Lei vuol dire» chiese Fastolfe «che conosce l’assassino?».
«No» rispose Baley. «Perché so che non c’è stato assassinio.»
«Cosa?» gridò Enderby.
«Un momento, questore» disse Fastolfe, alzando una mano. Fissò gli occhi in quelli di Baley e disse: «Vuol dire che il dottor Sarton è vivo?».
«Sì, signore’ e credo anche di sapere dov’è.»
«Dove?»
«Davanti a lei.» E indicò decisamente R. Daneel Olivaw.
VIII
L’identità di un robot
Per un attimo Baley sentì distintamente il sangue che gli rombava nelle vene. Viveva in un tempo sospeso, al cui centro stava il viso inespressivo di R. Daneel. Han Fastolfe si limitava a sfoggiare uno stupore urbano e contenuto.
Ma quella che impensieriva Baley era la reazione del questore. Il ricevitore tridimensionale non era perfetto e c’era un certo sfarfallio, oltre a un’inadeguata risoluzione. Grazie a questo, e agli occhiali che gli coprivano la faccia, lo sguardo di Enderby era indecifrabile.
Baley pensò: "Non mandarmi al diavolo proprio ora, Julius. Mi servi".
Non pensava che Fastolfe avrebbe fatto un gesto inconsulto, dettato dall’emotività. Una volta aveva letto, non ricordava dove, che gli Spaziali non erano religiosi, e che al posto della fede coltivavano una sorta di flemmatico razionalismo elevato a sistema filosofico. Baley contava su questo fatto. La reazione sarebbe stata lenta e scaturita dalla ragione.
Se Baley fosse stato solo in mezzo a loro, e avesse detto ciò che aveva detto, era certo che non sarebbe più tornato vivo alla Città: la fredda razionalità degli Spaziali avrebbe consigliato di eliminarlo. I progetti a lungo termine di Spacetown contavano, ai loro occhi, molto più della vita di un abitante della Città. Julius Enderby avrebbe ricevuto scuse formali e forse il suo cadavere sarebbe stato restituito, fra un generale scuotimento di teste e l’implicita convinzione che il complotto terrestre aveva colpito ancora. Il questore l’avrebbe bevuta. Era fatto così. Se odiava davvero gli Spaziali, era un odio fatto di paura. Non avrebbe osato dubitare delle loro parole.
Per questo Baley aveva voluto che assistesse alla scena; gli serviva un testimone, ma un testimone che si trovasse fuori portata del contrattacco nemico.
Il questore tossì e disse: «Lije, hai preso un grosso granchio. Ho visto il cadavere del dottor Sarton con i miei occhi».
«Lei ha visto i resti carbonizzati di qualcosa che le è stato detto essere il dottor Sarton» rispose Baley, imbaldanzito. Poi pensò all’episodio degli occhiali rotti: per gli Spaziali era stata manna.
«No, no, Lije. Conoscevo bene il dottor Sarton e la sua testa non era danneggiata. Era lui.» Il questore mise una mano sugli occhiali, come se anche lui ricordasse l’incidente, e aggiunse: «L’ho esaminato da vicino, molto da vicino».
«E che mi dice di questo, allora?» Baley indicò di nuovo R. Daneel. «Non le ricorda il dottor Sarton?»
«Sì, come una statua.»
«La faccia inespressiva si può imparare a farla, questore. Supponga che il cadavere che ha visto fosse un robot. Ha detto di aver guardato da vicino, ma io mi chiedo: tanto vicino da poter giudicare se le bruciature ai margini della ferita erano materiale organico o uno strato carbonizzato messo sul metallo fuso?»
Il questore sembrava disgustato. «Ti stai rendendo ridicolo.»
Baley si volse allo Spaziale: «È disposto a far esumare il corpo per un esame, dottor Fastolfe?».
Fastolfe sorrise. «Non avrei nessuna obiezione, signor Baley, ma noi non abbiamo l’abitudine di seppellire i morti. La cremazione è diffusa universalmente sui Mondi Esterni.»
«Molto comodo» commentò Baley.
«Mi dica, signor Baley» ribatté Fastolfe «com’è arrivato alle sue straordinarie conclusioni?»
Baley pensò: "Non cede di un millimetro. Fra poco contrattaccherà, se ci riesce".
A voce alta, disse: «Non è stato difficile. Per imitare un robot ci vuole più che un’espressione rigida e un frasario convenzionale. Il guaio di voi uomini dei Mondi Esterni è che siete troppo abituati ai robot: li avete accettati come se fossero esseri umani e non siete più in grado di distinguere la differenza. Sulla Terra non è così. Sappiamo benissimo che cos’è un automa».
«Ora, R. Daneel è un’imitazione troppo buona per essere un semplice androide. La mia prima impressione, quando l’ho visto, è stata di avere davanti uno Spaziale. Ho dovuto faticare per abituarmi all’idea che fosse un robot, e naturalmente la ragione è che non è un robot, ma uno Spaziale.»
R. Daneel non diede segno di compiacersi per il fatto di essere al centro della discussione: «Come ti ho già detto, collega Elijah, sono stato progettato per confondermi tra gli uomini, almeno temporaneamente. La mia rassomiglianza con gli esseri umani è voluta».
«Fino al punto» disse Baley «di dotarti di quelle parti del corpo che, normalmente, rimangono coperte dai vestiti? Fino al punto di fornirti di organi che in un robot non avrebbero alcuna concepibile funzione?»
Enderby scattò: «Come l’hai scoperto?».
Baley arrossì. «Non ho potuto fare a meno di notarlo, nel… nel Personale.»
Enderby sembrava sconvolto.
Fastolfe disse: «Lei certo comprende che la rassomiglianza, se si vuole raggiungere lo scopo, dev’essere completa. Dal nostro punto di vista le mezze misure non servono».
Baley chiese: «Posso fumare?».
Concedersi tre pipe in un giorno era un’assurda stravaganza, ma si trovava di fronte a nemici testardi e gli ci voleva l’aiuto del tabacco. Dopotutto stava inchiodando gli Spaziali; gli stava ricacciando in gola le loro bugie.