«Emigrazione! Mai. Far accettare un terrestre sui Mondi Esterni è più difficile che trovare un diamante grosso come un asteroide tra gli anelli di Saturno.»

«Intendevo emigrazione su nuovi mondi.»

Ma il questore si limitò a lanciargli un’occhiata incredula.

Baley rifletté un momento e poi, con faccia tosta, chiese: «Che cos’è l’analisi cerebrale, questore? Ne ha mai sentito parlare?».

Il viso tondo di Enderby non fece una grinza, non batté nemmeno gli occhi. «No, che sarebbe?»

«Niente, una parola che ho sentito.» Baley uscì, tornò alla sua scrivania e rifletté. Impossibile che il questore recitasse, non era un attore così bravo. Quindi…

Alle 16,05 Baley chiamò Jessie e le disse che quella sera non sarebbe tornato a casa, né per qualche sera ancora. Le ci volle un po’ per tranquillizzarla. «Lije, c’è qualche problema? Sei in pericolo?» Un poliziotto è sempre più o meno in pericolo, le spiegò. La cosa non le piacque. «Dove dormirai?» Non glielo disse. «Se pensi di sentirti sola vai da tua madre.» Chiuse la comunicazione di scatto, tanto non cambiava niente.

Alle 16,20 fece una chiamata a Washington. Ci volle un certo tempo per raggiungere l’uomo che voleva e quasi altrettanto tempo per convincerlo a venire a New York con l’aereo del giorno dopo. Alle 16,40 riuscì nell’intento.

Alle 16,55 il questore se ne andò, passandogli davanti con un sorriso incerto. I colleghi del turno di giorno uscirono in massa, mentre la più scarsa popolazione del turno di notte cominciò ad affluire salutando Baley con sorpresa.

R. Daneel si avvicinò alla scrivania con un fascio di carte.

«Che roba è?» chiese Baley.

«Una lista di uomini e donne che probabilmente appartengono a organizzazioni medievaliste.»

«Quanti sono?»

«Più di un milione» rispose l’automa. «Ne ho scelti soltanto una parte.»

«E pensi di controllarli tutti?»

«Non sarebbe pratico, Elijah.»

«Vedi, Daneel, in un certo senso tutti i terrestri sono medievalisti. Il questore, Jessie, io… Prendi il questore con i suoi…» (Stava quasi per dire "occhiali", poi ricordò che i terrestri dovevano fare causa comune e che la faccia del questore andava salvata sia in senso figurato che letterale). Concluse quindi: «… Ornamenti oculari».

«Sì, li ho notati» ammise R. Daneel «ma ho pensato che fosse indelicato parlarne. Non ho visto ornamenti simili agli occhi di altri cittadini.»

«Sono oggetti antiquati.»

«Servono a qualcosa?»

Baley cambiò improvvisamente discorso. «Come hai avuto quella lista?»

«Me l’ha fatta una macchina: basta indicare il tipo di reato che si vuole e lei fa il resto. Ho raccolto tutti i casi di condotta disordinata nei confronti di robot degli ultimi venticinque anni. Un’altra macchina ha controllato tutti i quotidiani della Città per lo stesso periodo e mi ha fornito i nomi di persone che hanno rilasciato dichiarazioni sfavorevoli ai robot o ai Mondi Esterni. È stupefacente quello che si può fare in tre ore. La macchina ha perfino eliminato dalla lista i nomi dei deceduti.»

«Sei stupito? Non dirmi che non avete computer, sui Mondi Esterni.»

«Di molti tipi, certo. E avanzati. Tuttavia nessuno è così grande e complesso come quelli che ho visto qui. Devi ricordare che il più grande dei Mondi Esterni ha una popolazione leggermente inferiore a quella di una Città, e quindi una tale complessità non è necessaria.»

Baley chiese: «Sei mai stato su Aurora?».

«No» rispose R. Daneel. «Sono stato fabbricato sulla Terra.»

«Allora come puoi conoscere i computer dei Mondi Esterni?»

«È ovvio, collega Elijah. La mia banca dati fa capo a quella del dottor Sarton. Puoi star certo che il materiale riguardante i Mondi Esterni è molto ricco.»

«Capisco. Sei capace di mangiare, Daneel?»

«Io sono alimentato dall’energia atomica, Daneel. Credevo lo sapessi.»

«Lo so, infatti. Non ti ho chiesto se hai bisogno di mangiare, solo se ne sei capace. Se puoi mettere del cibo in bocca, masticarlo e inghiottirlo. Credo che sia importante, se devi sembrare un uomo.»

«Capisco. Sì, sono in grado di masticare e inghiottire automaticamente. Naturalmente la mia capacità è limitata e prima o poi devo rimuovere il materiale ingestito da quello che tu chiameresti stomaco.»

«Va bene. Potrai vomitarlo o liberartene come credi nella quiete della nostra stanza, stanotte. Il punto è che io ho fame. Ho saltato il pranzo, maledizione, e voglio che tu stia con me quando andrò a mangiare. Ovviamente non potrai limitarti a guardarmi o desterai i sospetti. Ma visto che il problema non sussiste, andiamo!»

Le mense di settore erano le stesse in tutta la Città. Baley era stato a Washington, Toronto, Los Angeles, Londra e Budapest per lavoro e anche lì erano identiche. Forse nel medioevo il mondo era stato più vario, perché si parlavano lingue diverse e i cibi erano diversi. Ma oggi i prodotti dei lieviti èrano gli stessi da Shangai a Tashkent, da Winnipeg a Buenos Aires; e l’inglese, anche se forse non era più la lingua di Shakespeare o Churchill, era l’idioma corrente in tutti i continenti. Con lievi modificazioni, era parlato anche sui Mondi Esterni.

A parte la dieta e il linguaggio, c’erano altre e più profonde similarità. Ad esempio il particolare, indefinibile odore che si associava così strettamente alle "cucine". E la triplice fila che avanzava lentamente, convergendo verso la porta e poi disperdendosi di nuovo, a destra, a sinistra, al centro. C’era il rumoreggiare dell’umanità che si agitava e parlava, e lo stridulo risuonare della plastica contro la plastica. C’era il luccichio del fintolegno, tirato a specchio, il riflesso sui bicchieri e i lunghi tavoli, l’alito del vapore nell’aria.

Baley avanzava lentamente, in fila come tutti gli altri (questa specie di ginnastica dell’ora di pranzo era inevitabile, e si protraeva per almeno dieci minuti). Disse a R. Daneel, preso da un’improvvisa curiosità: «Sai ridere?».

L’automa, che era immerso in un freddo ma approfondito esame della mensa, replicò: «Come, prego?».

«Mi domandavo, Daneel, se eri capace di ridere.» Parlava a voce bassa, per non farsi sentire.

R. Daneel sorrise. Fu un gesto improvviso e sorprendente: le labbra si curvarono e la pelle, agli angoli, si piegò. Ma solo la bocca rideva, il resto della faccia aveva la solita espressione.

Baley scosse la testa. «Non preoccuparti, R. Daneel. Non è per te.»

Erano sulla porta, adesso. Uomo dopo uomo inseriva la propria piastra in un’apposita fessura perché i sensori la leggessero. Click, click, click…

Qualcuno aveva calcolato che una cucina efficiente poteva permettere l’ingresso di duecento persone al minuto; le piastre di ciascuno venivano lette attentamente per evitare frodi ai danni della mensa e delle razioni. Era stato calcolato quanto doveva essere lunga una fila per consentire la massima efficienza, e quanto tempo si perdeva se un commensale chiedeva un servizio particolare.

Era sempre un guaio interrompere l’ordinato succedersi dei click-click per passare allo sportello manuale, come fecero Baley e R. Daneel per mostrare il loro "pass" speciale.

Jessie, con l’esperienza di assistente dietologa, aveva spiegato una volta il perché.

"Sconvolge tutta la procedura" aveva detto. "Manda all’aria le statistiche dei consumi e le stime inventane. Significa buoni speciali, e quindi aggiornamento dei quadri in modo che corrispondano a quelli delle altre mense cittadine; è necessario mantenere un equilibrio, se capisci ciò che voglio dire. Ogni settimana bisogna riempire un rendiconto completo, e se salta fuori che nella tua cucina si è consumato troppo, sono guai. Non è mai colpa della Città se viene fatta una distribuzione di buoni speciali: la colpa è delle cucine. E quando noi che ci lavoriamo siamo costretti ad annunciare che per quel giorno la libera scelta è sospesa, la gente in fila comincia a bestemmiare. Ti ripeto, è sempre colpa di chi sta dietro il banco…"


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