Baley non riusciva a trovare un paragone, ma cercò di non preoccuparsi. Non sarebbe successo.

Una sommossa spontanea poteva nascere ovunque, nella mensa come nei corridoi o negli ascensori. Anzi, nella mensa c’era la mancanza d’inibizione che si accompagnava all’ora dei pasti e la miccia poteva accendersi più facilmente; l’eccitazione della gente poteva degenerare in qualcosa di grave per un nonnulla.

Ma i disordini programmati erano un’altra cosa. Nella mensa gli organizzatori si sarebbero trovati in mezzo a un’enorme quantità di gente, e una volta che i piatti fossero cominciati a volare e i tavoli a fracassarsi, non sarebbe stato facile scappare. Centinaia di persone sarebbero morte e i facinorosi tra loro.

No, i disordini "sicuri" si potevano organizzare solo nelle arterie della Città, magari su un tratto di nastro mobile relativamente stretto. Il panico e l’isteria avrebbero viaggiato lentamente attraverso il quartiere e ci sarebbe stato tutto il tempo, per i caporioni, di fuggire da un nastro laterale o di immettersi sulla strada locale che li avrebbe portati ai livelli più alti, al sicuro.

Baley si sentì in trappola. Probabilmente ce n’erano altri, all’esterno. Baley e R. Daneel sarebbero stati inseguiti fino a un punto sicuro e poi la miccia sarebbe esplosa.

«Perché non li arrestiamo?» chiese l’automa.

«Servirebbe solo a precipitare le cose. Tu conosci le loro facce, vero? Non le dimenticherai?»

«Io non posso dimenticare.»

«Allora li inchioderemo, prima o poi. Per adesso cerchiamo di fare un buco nella rete che ci hanno teso. Seguimi e fai esattamente come me.»

Si alzò e mise il piatto, rovesciato, sul disco in mezzo al tavolo; poi mise a posto la forchetta. R. Daneel, che lo guardava, ripeté gli stessi gesti. Piatti e posate sparirono.

R. Daneel disse: «Si alzano anche loro».

«D’accordo. Ho la sensazione che non ci verranno troppo vicini. Non qui.»

I due si misero in fila, seguendo la scia che abbandonava la mensa; man mano che si avvicinavano all’uscita risuonava, come un canto rituale, il ticchettio delle piastre mètalliche. Ogni click scandiva la consumazione di una razione.

Baley si guardò alle spalle nella confusione e nell’alone di vapore che avvolgeva tutto, e con improvvisa vividezza ricordò una visita che aveva fatto con Ben allo Zoo Cittadino sei o sette anni prima. No, otto, perché Ben aveva appena festeggiato l’ottavo compleanno. (Accidenti, ma dove si precipitava il tempo?)

Per Ben era la prima visita allo zoo ed era tutto eccitato: dopotutto non aveva mai visto un cane o un gatto prima di allora. E poi erano arrivati alla voliera degli uccelli, altissima! Perfino Baley, che l’aveva vista non so quante volte, non era immune dal suo fascino.

C’è qualcosa, nella vista di una creatura vivente che vola, d’incomparabilmente strano, magico. Era ora di pranzo, nella gabbia dei passeri, e l’inserviente stava distribuendo i pezzetti d’avena nella lunga mangiatoia. (Gli esseri umani si erano abituati ai lieviti e ai loro derivati, ma gli animali, a loro modo più conservatori, insistevano per avere cereali autentici).

I passeri si erano buttati sul cibo a centinaia, ala contro ala, con un assordante stridio…

Questo era tutto: guardando la mensa enorme alle sue spalle, a Baley era venuta in mente la gabbia dei passeri all’ora del pasto. Provò un brivido, e pensò: "Signore, dev’esserci un modo migliore".

Ma quale? Cosa c’era che non andava in questo? Non ci aveva mai pensato prima.

Poi disse brusco, all’automa: «Sei pronto, Daneel?»

«Pronto, Elijah.»

Uscirono dalla mensa con un solo pensiero: sfuggire agli inseguitori.

C’è un gioco che i ragazzi chiamano "corri sui nastri"; le regole variano poco da Città a Città e la parte essenziale è identica ed eterna. Un ragazzo di San Francisco può giocarci con i suoi coetanei del Cairo senza problemi.

Lo scopo è di arrivare dal punto A al punto B servendosi del sistema di trasporto rapido della Città in modo che chi è "sotto" riesca a far perdere le sue tracce a quanti più inseguitori è possibile. Se chi è sotto arriva al traguardo da solo vuol dire che è veramente abile, e lo stesso vale per l’inseguitore che riesce a non farsi seminare.

Il gioco si fa di solito all’ora di punta, la sera, quando la gran quantità di pendolari rende la partita più complessa e imprevedibile. Chi è sotto parte, percorrendo i nastri acceleranti, e fa del suo meglio per confondere gli altri: ad esempio rimane su un nastro più a lungo del necessario e poi, all’improvviso, salta in un’altra direzione. Per un po’ balza da una corsia all’altra, quindi rimane di nuovo in attesa.

Povero l’inseguitore che sbaglia i calcoli e salta su un nastro troppo lontano! Prima di rendersi conto dell’errore, e a meno di non essere eccezionalmente abile, si troverà oltre l’inseguito o irreparabilmente indietro. Il giocatore inseguito sfrutterà l’errore muovendosi in tutt’altra direzione.

Una mossa che può complicare di molto il gioco consiste nel saltare sulle strade locali o direttamente su quelle celeri e precipitarsi all’improvviso sulla corsia opposta. Non è ortodosso evitare questi trucchi ma non è neppure corretto affidarsi esclusivamente ad essi.

L’attrattiva del gioco non è facilmente comprensibile da un adulto, e in particolare da un adulto che non abbia mai "corso i nastri" quando era ragazzo. I giocatori vengono trattati piuttosto male dai passeggeri legittimi, ai quali danno immancabilmente fastidio. La polizia li perseguita e i genitori li puniscono, e vengono denunciati a scuola e alla subeterica. Non passa anno senza che quattro o cinque ragazzi restino uccisi nel gioco, una decina restino feriti e un certo numero di passeggeri occasionali subisca danni più o meno gravi.

Nonostante questo, le ghenghe di teen-ager continuano a "correre le strade", e più è grande il pericolo più alto è il premio in palio: gloria agli occhi dei compagni. Un giocatore abile può essere orgoglioso di sé, un inseguito che riesca sistematicamente a seminare gli altri acquista una gloria imperitura.

Elijah Baley ricordò con soddisfazione di aver corso i nastri, ai suoi tempi. Una volta aveva seminato una ghenga di venti ragazzi dal settore di Concours ai confini di Queens, attraverso tre strade celeri. In due instancabili ore si era lasciato alle spalle i più agili segugi del Bronx ed era arrivato a destinazione da solo. Si era parlato di quella corsa per mesi.

Adesso Baley aveva quarant’anni e non correva i nastri da venti, ma ricordava qualche trucco. Quello che aveva perso in agilità l’aveva guadagnato sotto altri aspetti, perché era un poliziotto. Nessuno, tranne un poliziotto con un’esperienza pari alla sua, conosceva la Città tanto bene e sapeva dove cominciava o finiva ogni vicolo d’acciaio.

Uscì dalla mensa a passo svelto ma non troppo. Da un momento all’altro si aspettava di sentire il grido di "Robot! Robot!" La fase iniziale era la più rischiosa. Contò i gradini finché sentì il primo nastro accelerante muoversi sotto di lui.

Rimase immobile un momento, mentre R. Daneel gli si metteva agilmente al fianco.

«Sono ancora dietro di noi, Daneel?» chiese Baley con un filo di voce.

«Sì, e si avvicinano.»

«Non durerà» disse Baley, fiducioso. Guardò i nastri che correvano da una parte e dall’altra, con il carico di passeggeri che gli sfiorava e urtava i fianchi sempre più velocemente: la distanza fra Baley, Daneel e gli inseguitori finalmente aumentò. Ogni giorno Baley sentiva i nastri mobili scorrergli sotto i piedi, ma da anni non piegava più le ginocchia come uno che si prepari a correrli. Provò la vecchia eccitazione del gioco e il respiro gli si fece più rapido.

Quasi dimenticava la volta che aveva sorpreso Ben fare il gioco. Gli aveva fatto un lunghissimo sermone e aveva minacciato di metterlo sotto sorveglianza della polizia.


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