«Sono ben lieto di farlo. Ma questo mi fa venire in mente qualcosa: come ha scoperto, Jessie, che sono un robot?»

La fronte di Baley s’inumidì di nuovo. «Non torniamo sempre sulle stesse cose, va bene? La voce…»

«Mi dispiace interromperti, collega Elijah, ma non possiamo credere alla storia della voce. Se si fosse sparsa una notizia del genere la Città sarebbe a soqquadro, a quest’ora. Ho verificato i rapporti che arrivano al Dipartimento e ho scoperto che non c’è la minima ombra di fermento. Quindi, non si è sparsa nessuna voce. Quindi, torna il problema: come ha fatto tua moglie a sapere?»

«Perdinci, ma che vorresti dire? Credi che mia moglie sia uno dei membri del… del…»

«Sì, Elijah.»

Baley intrecciò le dita furiosamente «Be’, non è così. Non torneremo più su questo punto.»

«Non è da te, Elijah. Durante la missione mi hai accusato due volte d’omicidio.»

«E questo sarebbe il tuo modo di pareggiare i conti?»

«Non sono certo di capire la frase. Io approvo la tua prontezza nel sospettarmi: avevi le tue ragioni. Nel caso specifico si sono dimostrate false, ma avrebbero potuto essere vere. Tua moglie è gravata di sospetti altrettanto fondati.»

«Vuoi dire che è un’assassina? Maledizione, Jessie non torcerebbe un capello al suo peggiore nemico. Non saprebbe metter piede fuori della Città neanche se volesse. Non potrebbe… Oh, se tu fossi di carne e sangue ti…»

«Ho detto soltanto che è un membro della cospirazione. E che dev’essere interrogata.»

«Nemmeno per sogno. Nemmeno per quello che tu chiami sogno. Adesso ascoltami: i medievalisti non vogliono scannarci. Non è così che lavorano. Stanno solo cercando di buttarti fuori dalla Città, questo è ovvio, e per farlo si servono di armi psicologiche. Tentano di renderti la vita difficile, anzi di renderci, perché io sono con te. Probabilmente hanno scoperto che Jessie è mia moglie e hanno fatto in modo che sapesse la verità sul tuo conto. Lei è come ogni altro essere umano e non le piacciono i robot. Non le piace che io lavori con un robot, specie se questo può rappresentare un pericolo; i cospiratori l’hanno convinta che le cose stanno proprio così. Ti assicuro che ha funzionato: Jessie mi ha pregato tutta la notte di lasciare l’incarico o di far allontanare te dalla Città.»

«È evidente» disse R. Daneel «che hai un forte desiderio di proteggere tua moglie da un interrogatorio. E penso che la tua linea di ragionamento sia improvvisata, perché tu stesso non ci credi.»

«Ma chi credi di essere?» scattò Baley. «Non sei un detective, sei una macchina per fare elettroencefalogrammi come quelle che abbiamo nel palazzo. Hai braccia, gambe, una testa e una bocca, ma non sei altro che una macchina. Metterti uno stupido circuito in più non ti ha trasformato in un poliziotto, quindi cosa blateri? Tieni la bocca chiusa e lascia fare a me le deduzioni.»

Il robot disse, tranquillo: «Penso che dovresti abbassare la voce, Elijah. È naturale che non sono un poliziotto nel senso in cui lo sei tu, ma vorrei ugualmente portare alla tua attenzione un piccolo particolare.»

«Non m’interessa.»

«Per favore. Se sbaglio, tu me lo dirai e non farà male a nessuno. Si tratta di questo: la notte scorsa hai lasciato il nostro nascondiglio per chiamare Jessie al telefono. Io ho proposto che ci andasse tuo figlio e tu mi hai risposto che i padri terrestri non usano esporre al pericolo ì propri ragazzi. Le madri, invece, lo fanno?»

«No, cer…» cominciò Baley, e si bloccò.

«Vedi il mio punto, dunque» disse R. Daneel. «In circostanze normali, se Jessie avesse temuto per la tua salvezza si sarebbe esposta al rischio personalmente e non avrebbe mandato il ragazzo. Il fatto che abbia spedito Bentley può significare una cosa soltanto: sapeva che il ragazzo non avrebbe corso pericoli mentre lei sì. Se Jessie non conoscesse i cospiratori le cose non starebbero in questi termini, o comunque lei non avrebbe motivo di pensarlo. Ma se facesse parte del complotto, come io credo, saprebbe che i compagni la tengono d’occhio e sarebbero in grado di riconoscerla. Bentley, invece, passerebbe inosservato.»

«Aspetta un momento» disse Baley, che si sentiva colpito al cuore. «Il ragionamento non fa una grinza, ma…»

Non ci fu bisogno di altre parole. Il segnalatore sulla scrivania di Enderby lampeggiava all’impazzata. R. Daneel aspettò che Baley rispondesse, ma l’umano si limitava a guardarlo con gli occhi sbarrati, impotente. Il robot chiuse il contatto.

«Cosa c’è?»

La voce sbagliata di R. Sammy disse: «Una signora vuole vedere Lije. Le ho detto che lui era occupato, ma insiste. Dice di chiamarsi Jessie».

«Falla passare» disse calmo R. Daneel, i cui occhi castani privi d’emozione, incrociavano quelli di Baley.

L’umano era letteralmente in preda al panico.

XIV

Il potere di un nome

Baley rimase immobile, paralizzato dallo shock, anche quando Jessie lo afferrò per le spalle e si strinse a lui.

Con le labbra pallide Lije riuscì a formare una sola parola: «Bentley?».

Lei lo guardò e scosse la testa con forza, agitando i capelli castani. «Sta bene.»

«E allora…»

Jessie cominciò a singhiozzare, e a voce bassa, in modo che a stento poteva essere udita, cominciò: «Non ce la faccio più, Lije. Non posso. Non riesco a mangiare né a dormire. Dovevo dirtelo».

«Non dire niente» rispose Baley, attanagliato dall’angoscia. «Per l’amor di Dio, Jessie, non ora.»

«Devo. Ho fatto una cosa terribile, veramente terribile. Oh, Lije…» Poi comiciò a balbettare.

Disperato, Baley disse: «Non siamo soli, Jessie».

Lei alzò gli occhi fissando R. Daneel, ma non sembrò riconoscerlo. Le lacrime che le inondavano gli occhi dovevano aver ridotto l’immagine del robot a una macchia indistinta.

R. Daneel mormorò discretamente: «Buon pomeriggio, Jessie».

Lei singhiozzò. «È… è quel robot?»

Si passò il dorso della mano sugli occhi e si sottrasse all’abbraccio di Baley. Respirò a fondo, poi un sorriso tremulo aleggiò sulle sue labbra. «Sei tu, vero?»

«Sì, Jessie.»

«E non ti dispiace essere chiamato robot?»

«No, Jessie, è quello che sono.»

«E a me non dispiace essere chiamata stupida, idiota, agente sovversivo, perché è quello che sono.»

«Jessie!» gemette Baley.

«È inutile, Lije» disse lei. «Deve sapere la verità, se è il tuo collega. Non riesco più a sopportarlo, mi trovo in queste condizioni da ieri. Non m’interessa se andrò in prigione, non m’interessa se mi manderanno ai livelli più bassi e mi costringeranno a vivere a lievito e acqua. Non m’interessa se… Ma tu non lo permetterai, vero, Lije? Non permetterai che mi facciano del male. Sono spaventata a morte.»

Baley le batté una mano sulla spalla e la lasciò piangere.

Poi disse a R. Daneel: «Non si sente bene, non possiamo tenerla qui. Che ore sono?».

Senza alcun gesto che somigliasse al guardare un orologio, R. Daneel rispose: «Quattordici e quarantacinque».

«Il questore tornerà da un momento all’altro. Senti, chiedi un’autopattuglia e discuteremo di questo in strada.»

Jessie alzò la testa di scatto: «L’antica autostrada, vuoi dire? Oh, no, Lije».

Nel tono più dolce che riuscì a trovare, Baley disse: «Andiamo, Jessie, non essere superstiziosa. Non puoi affrontare le strade mobili nelle condizioni in cui sei. Fai la brava ragazza e calmati, o non riusciremo ad attraversare neppure la sala comune. Ti porterò dell’acqua».

Lei si asciugò la faccia con un fazzoletto inzuppato e disse, stanca: «Oh, guarda il mio trucco!».

«Non preoccuparti del trucco» rispose Baley: «Daneel, quest’autopattuglia?»

«Ci aspetta, collega Elijah.»

«Andiamo, Jessie.»

«Aspetta. Aspetta un minuto, Lije. Devo fare qualcosa per aggiustarmi la faccia.»

«Non importa, ora.»

Ma lei si allontanò. «Per favore, non posso attraversare la sala comune con questa faccia. Ci vorrà un secondo.»


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