Baley ricordava ancora i canti di quel tempo. C’era L’uomo è nato sulla Terra, per esempio, intonato sul motivo della vecchia Hinky-dinky-parlé-vu.
L’uomo è nato sulla Terra, amico, ci senti?
Questo è il suo mondo, se ti accontenti
Quindi, Spaziale, levati dai piedi
E torna pure sugli asteroidi.
Sporco Spaziale, di’, ci senti?
I versi erano centinaia. Alcuni umoristici, la maggior parte stupidi, altri decisamente osceni. "Sporco Spaziale, di’, ci senti?" Sporco, sporco. Era l’inutile tentativo di rinfacciare agli Spaziali quello che molti consideravano un insopportabile insulto: la convinzione, radicata fra chi viveva a Spacetown, che i nativi della Terra fossero individui disgustosamente infetti.
Gli Spaziali non se n’erano andati, ovviamente. E non era stato nemmeno necessario sfoderare una delle loro superarmi. L’antiquata flotta della Terra aveva imparato che era puro suicidio avvicinarsi a qualunque nave dei Mondi Esterni. Gli aerei terrestri che avevano sorvolato la zona di Spacetown nei primi tempi dopo la fondazione erano misteriosamente scomparsi: tutt’al più si era trovato un pezzetto d’ala contorto da qualche parte nelle vicinanze.
E nessuna folla, per quanto inferocita, poteva dimenticare l’orribile effetto dei disgretatori subeterici a mano usati contro i terrestri nelle guerre di un secolo prima.
Quindi, gli Spaziali si erano nascosti dietro la barriera d’energia prodotta dalla loro scienza superiore e che nessun sistema sulla Terra era in grado di infrangere. Si erano limitati a osservare tranquillamente, al riparo della barriera, finché le autorità di New York avevano tramortito i dimostranti con gas soporiferi e gas che provocavano il vomito. In seguito i penitenziari dei livelli inferiori si erano riempiti di arruffapopolo, scontenti e altri che erano stati arrestati solo perché a portata di mano. Dopo un po’ erano stati rimessi tutti in libertà.
Dopo un certo intervallo gli Spaziali avevano allentato le restrizioni. La barriera era stata tolta e l’isolamento di Spacetown era stato affidato alle cure della polizia di New York City. Ma la cosa più importante è che l’esame medico cui venivano sottoposti i visitatori si era fatto più discreto.
Ora, pensò Baley, le cose potevano precipitare di nuovo. Se gli Spaziali si convincevano che un terrestre era entrato a Spacetown e aveva commesso un omicidio, la barriera poteva alzarsi di nuovo. Sarebbe stato un guaio.
Si portò sulla piattaforma celere, si fece largo tra i passeggeri in piedi e salì la stretta rampa a spirale che portava al livello superiore, dove sedette. Non infilò il biglietto con il numero di qualifica nella fascia del cappello finché non ebbero superato i settori dell’Hudson: un C-5 non aveva diritto a sedere a est del fiume e a ovest di Long Island, e benché al momento ci fossero posti a sufficienza un controllore l’avrebbe fatto senz’altro sloggiare. La gente era sempre più schizzinosa sui privilegi che spettavano alle varie categorie, e in questo Baley capiva perfettamente i suoi simili.
L’aria sibilava sui "parabrezza" sistemati sul retro di ogni sedile. Con quel rumore non era facile chiacchierare, ma ci si abitua a tutto.
La maggior parte dei terrestri amavano il medioevo, in un modo o nell’altro. Era bello pensare a un’epoca in cui la Terra era "il" mondo e non uno fra cinquanta, e per giunta il più povero dei cinquanta. All’improvviso ci fu un grido di donna e Baley girò la testa di scatto. Una passeggera aveva perso la borsa: la vide lui stesso per un attimo, puntolino colorato contro il grigio dei nastri. Un viaggiatore che si affrettava verso la strada celere doveva averla spinta inavvertitamente in direzione dei livelli di decelerazione, e adesso la borsa si allontanava sempre più dalla padrona.
Un angolo della bocca di Baley tremò. La donna poteva riacchiapparla, ma solo se si fosse portata su un nastro che procedeva più lentamente, e se altri piedi non avessero spinto la borsa da questa o quell’altra parte. Lui, comunque, non l’avrebbe mai saputo: la scena si trovava già quasi un chilometro alle sue spalle.
Forse quella poveretta non ce l’avrebbe fatta. Si calcolava che, in media, ogni tre minuti un oggetto cadesse sulle strade mobili e non venisse più recuperato. Il Servizio Oggetti Smarriti aveva un daffare enorme, ed era solo un’altra complicazione della vita moderna.
Baley pensò: una volta era più semplice. Tutto era più semplice. Ecco perché c’erano tanti appassionati del medioevo.
Il medievalismo, come lo chiamavano, assumeva diversi aspetti. Per il poco fantasioso Julius Enderby consisteva nell’adozione di oggetti arcaici (occhiali, finestre).
In Baley si manifestava come amore per la storia, e in particolare la storia delle abitudini popolari.
Pensare alla Città di oggi, la New York in cui abitava e viveva… Più grande di qualsiasi altra metropoli con l’eccezione di Los Angeles. Più popolosa di qualunque altra, con l’eccezione di Shangai. E aveva solo tre secoli.
Naturalmente, nella stessa area geografica in cui sorgeva New York City c’era stato qualcosa anche prima, perché quell’antico sito umano aveva almeno tremila anni, ma solo da trecento si poteva parlare di una Città in senso moderno.
Non c’erano autentiche Città, prima. Solo mucchi di abitazioni grandi e piccole, all’aria aperta. Somigliavano un po’ alle cupole degli Spaziali, anche se in realtà erano molto differenti. Questi agglomerati (il più grande raggiungeva a stento i dieci milioni di abitanti, e molti si limitavano a un milione) erano seminati su tutta la Terra, a migliaia. Secondo gli standard attuali erano entità del tutto inefficienti sul piano economico.
L’efficienza si era fatta strada sulla Terra con l’aumento della popolazione. Due miliardi d’abitanti, tre, perfino cinque potevano essere sopportati dal pianeta mediante il costante abbassamento del tenore di vita. Quando la popolazione arriva a otto miliardi, tuttavia, la fame diventa un problema quotidiano. La cultura dell’uomo doveva subire una svolta radicale, specie se si considerava che i Mondi Esterni (che fino a mille anni prima erano stati semplici colonie della Terra) avevano posto limiti severi all’immigrazione.
Il cambiamento radicale era consistito nella graduale formazione delle Città lungo l’arco di un millennio. Efficienza voleva dire grandezza, una cosa di cui ci si era resi conto, vagamente, perfino nel medioevo. I minuscoli complessi industriali di un tempo si erano trasformati in grandi fabbriche, e queste a loro volta in organismi produttivi continentali.
Pensate all’inefficienza di centinaia di migliaia di case per centinaia di migliaia di famìglie paragonate alle unità che formano i settori; allo spreco di una collezione di videolibri in ogni abitazione quando ne basta una concentrata per sezione; al video indipendente per ogni famiglia quando si può adottare un efficace sistema di video-condutture.
E se è per questo, pensate alla follia di un’infinità di cucine e stanze da bagno tutte identiche, ma riprodotte in quantità, contro le più efficienti strutture rese possibili dalla cultura delle Città (mense e sale-doccia).
Poco a poco i villaggi, i paesi e le "metropoli" della Terra morirono e vennero inghiottiti dalle Città, e l’antico timore di una guerra nucleare non fece che rallentare di poco questa tendenza. Con l’invenzione dello scudo di forza, del resto, la tendenza si trasformò in vera e propria corsa.
La cultura delle Città permetteva una distribuzione ottimale del cibo, con l’utilizzazione su scala sempre più vasta dei lieviti e delle colture idroponiche. New York City si estendeva su oltre tremila chilometri quadrati di superficie, e l’ultimo censimento rivelava che la popolazione era abbondantemente superiore ai venti milioni. Sulla Terra c’erano circa ottocento Città, la cui popolazione media si aggirava sui dieci milioni.