Viaggiavano da soli lungo il tunnel curvo e deserto.

Baley rispose: «È difficile dirlo. Jezebel è un nome raro, e un tempo fu portato da un donna di pessima fama. Mia moglie si è crogiolata in questa consapevolezza: la faceva sentire perfida, ma in modo vicario, compensandola di una vita troppo ortodossa».

«Perché una donna rispettosa delle leggi dovrebbe desiderare di sentirsi perfida?»

Baley trattenne un sorriso. «Le donne sono donne, Daneel. Comunque io ho fatto una cosa molto stupida: in un momento di irritazione le ho dimostrato che la Jezebel storica non era poi questo mostro di perfidia, e che anzi si comportava da buona moglie. Me ne sono sempre pentito.

«Senza volerlo ho ferito Jessie profondamente. Ho distrutto qualcosa che non poteva essere sostituito. Suppongo che ciò che è successo poi sia la sua vendetta: ha voluto punirmi impegnandosi in un’attività che io avrei disapprovato. Non dico che fosse un desiderio cosciente.»

«Si può desiderare qualcosa e non esserne coscienti? Non è una contraddizione in termini?»

Baley guardò il robot e disperò di potergli spiegare il concetto d’inconscio, quindi passò ad altro: «La Bibbia ha una grande influenza sul pensiero e le emozioni degli uomini».

«Che cos’è la Bibbia?»

Per un attimo Baley fu sorpreso, ma poi si diede dello stupido. Gli Spaziali avevano adottato una filosofia propria, rigorosamente meccanicistica, e R. Daneel sapeva solo ciò che sapevano i suoi costruttori, non di più.

Baley rispose brevemente: «È il libro sacro di circa la metà della popolazione terrestre».

«Non capisco l’aggettivo "sacro".»

«Significa che è tenuto in gran considerazione. Alcune parti del libro, se correttamente interpretate, contengono un codice di comportamento che molti considerano ideale per raggiungere la suprema felicità.»

R. Daneel sembrò riflettere. «E questo codice è inserito nelle vostre leggi?»

«Temo di no. Non è qualcosa che si possa far rispettare con la forza, ma dev’essere osservato spontaneamente da ogni individuo che desidera farlo. In un certo senso è più importante della legge.»

«Più importante della legge? Non è una contraddizione in termini?»

Baley sorrise, asciutto. «Posso citarti un passo della Bibbia? Non sei curioso di sentirlo?»

«Fallo, ti prego.»

Baley fermò l’autopattuglia e chiuse gli occhi, ricordando. Gli sarebbe piaciuto usare l’antico inglese della Bibbia medievale, ma per R. Daneel sarebbe stato incomprensibile.

Usò quindi le parole della Revisione Moderna, recitandole con la naturalezza di chi racconta un fatto della vita d’ogni giorno e non un episodio dell’antichissimo passato:

«Gesù salì sul monte degli Olivi e all’alba tornò al tempio. La gente venne a lui ed egli predicò loro. Gli scribi e i farisei gli portarono una donna sorpresa nell’adulterio, e quando l’ebbero messa di fronte a lui dissero: "Maestro, questa donna è stato sorpresa a commettere adulterio. Mosè, nella sua legge, comanda che simili peccatori vengano lapidati. Che cos’hai da dire?"

«Dicevano questo nella speranza d’intrappolarlo, perché cercavano un capo d’accusa contro di lui. Ma Gesù si chinò e con il dito cominciò a scrivere nella polvere, come se non li avesse sentiti. Poiché quelli continuavano a domandare, alzò la testa e disse: "Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra."

«E di nuovo si chinò a scrivere nella polvere. Quelli che l’avevano ascoltato, persuasi dalla propria coscienza, sene andarono uno a uno, dal più vecchio al più giovane; e Gesù rimase solo con la donna. Quando Gesù alzò la testa e vide che non era rimasto nessuno, tranne la donna, le chiese: "Donna, dove sono i tuoi accusatori? Nessuno dunque ti condanna?"

«E lei rispose: "Nessuno, Signore."

«E Gesù le disse: "Nemmeno io ti condanno. Vai, e non peccare più."»

R. Daneel che aveva ascoltato attentamente, chiese: «Che cos’è l’adulterio?».

«Non ha importanza. Era un misfatto per cui all’epoca si veniva lapidati. Si tiravano pietre addosso al colpevole finché non veniva ucciso.»

«Ma la donna era colpevole?»

«Sì.»

«Allora perché non venne lapidata?»

«Nessun accusatore se la sentì, dopo le parole di Gesù. La parabola significa che c’è sempre qualcosa di più alto del comune senso di giustizia: un impulso umano che chiamiamo pietà, un atto umano che chiamiamo perdono.»

«Non conosco queste parole, collega Elijah.»

«Lo so» borbottò Baley. «Lo so.»

Rimise in moto l’autopattuglia e accelerò bruscamente. La spinta lo sciacciò sullo schienale imbottito.

«Dove andiamo?» chiese R. Daneel.

«A Lievitown, per strappare la verità al cospiratore Francis Clousarr.»

«Sai come fare, Elijah?»

«Io no, Daneel, ma tu sì. Tu hai il metodo infallibile.»

E partirono a gran velocità.

XV

Arresto di un cospiratore

Baley sentiva l’odore di Lievitown diventare più forte, più penetrante. Non lo trovava sgradevole, come succedeva a Jessie e a tanti altri, anzi gli piaceva. Aveva del buono.

Ogni volta che respirava il lievito grezzo, l’alchimia dei sensi lo portava indietro di trent’anni: era di nuovo un ragazzino di dieci anni e si trovava a casa di zio Boris, che era appunto un coltivatore di lievito. Lo zio aveva sempre un po’ di dolciumi da parte: pasticcini, tavolette che sembravano cioccolata ed erano ripiene di un liquido dolce, biscotti a forma di cani e gatti. Tutti a base di lieviti. Pur essendo un ragazzo Lije sapeva che cose come quelle non abbondano in casa di nessuno, ma ne mangiava lo stesso in tranquillità, seduto in un angolo, la schiena rivolta al centro della stanza. Per paura di essere sorpreso cercava di finirle in fretta, e questo aggiungeva un sapore speciale.

Povero zio Boris! Era morto in un incidente, ma a Lije nessuno aveva raccontato i particolari; lui aveva pianto disperatamente, convinto che lo zio fosse stato arrestato per furti di lievito in fabbrica, e per un po’ aveva temuto di essere arrestato a sua volta e condannato a morte… Anni dopo aveva frugato gli schedari della polizia e scoperto la verità: lo zio era caduto sotto i cingoli di un trasporto. Era stata la fine di un mito romantico.

Ma ogni volta che sentiva odore di lievito grezzo, il mito tornava in vita per un po’.

Lievitown non era un nome ufficiale: nessun atlante e nessuna carta dei quartieri di New York lo riportava. Quello che la gente, nel linguaggi corrente, chiamava "Lievitown" era semplicemente l’insieme dei distretti di Newark, New Brunswich e Trenton (secondo la classificazione dell’Ufficio Postale). Si stendeva come una lunga striscia in quello che una volta era stato il New Jersey, ed era punteggiato di quartieri d’abitazione che per lo più si addensavano intorno a Newark Center e Trenton Center; la maggior parte del territorio, tuttavia, era occupata dalle fattorie multistrato in cui crescevano e si moltiplicavano migliaia di varietà di lieviti.

Un quinto della popolazione della Città lavorava alla coltivazione dei lieviti e nelle industrie sussidiarie. Cominciando dalle montagne di legno e cellulosa grezza che affluivano in Città dalle foreste degli Allegheny, e continuando per le vasche d’acido che tramite idrolisi li trasformavano in glucosio, i carichi di nitrati e fosfati che costituivano i principali additivi, giù giù fino alle sostanze organiche fornite dai laboratori chimici, tutto mirava a un solo scopo: produrre lieviti, sempre più lieviti.

Senza di essi, otto miliardi d’uomini sarebbero morti di fame in un anno.

Baley si sentì gelare al pensiero. Tre giorni prima l’eventualità di una simile catastrofe c’era stata come ora, ma tre giorni prima non ci avrebbe mai pensato.

Trovarono l’uscita della periferia di Newark e la imboccarono. Le corsie scarsamente popolate, fiancheggiate dagli enormi blocchi delle "fattorie", offrivano uno spettacolo ben poco attraente: tanto valeva accelerare.


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