«Non siamo capaci di costruire robot che valgano quanto un essere umano, nelle cose che contano. Figuriamoci migliori! Non siamo capaci di costruire robot con il senso della bellezza, dell’etica o della religione. Non c’è modo di elevare il cervello positronico di un centimetro sopra il perfetto materialismo.

«L’ho detto, non siamo capaci. E continuerà ad essere così finché non capiremo cos’è che muove il nostro cervello, finché esisteranno cose che la scienza non può misurare. Che cos’è la bellezza, o la bontà, o l’arte, o l’amore, o Dio? Ci muoviamo sulla frontiera dell’inconoscibile e cerchiamo di capire ciò che non può essere capito. È questo che ci fa uomini.

«Il cervello di un automa dev’essere finito, limitato, o non potremo costruirlo. Dev’essere tutto prevedibile, tutto calcolabile. Quindi, di che hai paura? Un robot può essere bello come Daneel, bello come un dio, e non essere più umano di un mucchio di legna. Non riesci a capire?»

Clousarr aveva tentato di interromperlo parecchie volte ma aveva fallito davanti al torrente di Baley. Quando il poliziotto tacque, esausto, l’enzimologo disse debolmente: «Un piedipiatti diventato filosofo. Vai a capire!».

R. Daneel rientrò.

Baley gli dette un’occhiata e si fece scuro, in parte per la foga non del tutto placata e in parte per le brutte notizie che presagiva.

«Come mai ci hai messo tanto?»

«Ho avuto qualche problema nel rintracciare il questore, Elijah. Poi ho scoperto che era ancora in ufficio.»

Baley guardò l’orologio: «A quest’ora? E perché?».

«C’è una certa confusione, al momento. È stato trovato un cadavere alla centrale.»

«Cosa? Per l’amor di Dio, e chi è?»

«Il fattorino, R. Sammy.»

Baley spalancò gli occhi, poi disse, infuriato: «Credevo che avessi detto un cadavere».

R. Daneel si scusò affabilmente: «Un robot con il cervello completamente disattivato, se preferisci».

Clousarr scoppiò a ridere e Baley si voltò verso di lui, minaccioso: «Non farti scappare neppure una parola di tutto questo, capito?». E tolse la sicura al fulminatore, deliberatamente. Clousarr piombò in un improvviso silenzio.

«Bene, e allora? A Sammy sono saltate le valvole. Che ci possiamo fare?»

«Il questore è stato evasivo, Elijah, ma anche se non l’ha detto esplicitamente la mia impressione è che R. Sammy sia stato disattivato di proposito.»

Poi, mentre Baley assorbiva la notizia in silenzio, R. Daneel aggiunse con gravità: «O, se preferisci… È stato assassinato».

XVI

In cerca di un movente

Baley rimise a posto il fulminatore ma tenne la mano sul calcio, senza che si notasse troppo. «Precedici, Clousarr. Siamo diretti alla Diciassettesima Strada, uscita B.»

Il prigionero disse: «Non ho mangiato».

«È dura» fece Baley, impaziente. «Ma il pranzo sul pavimento l’hai buttato tu.»

«Ho il diritto di mangiare.»

«Mangerai in guardina, o alla peggio salterai un pasto. Non morirai per questo, muoviti.»

Attraversarono in silenzio il labirinto della Lieviti Newyorchesi, Clousarr che apriva imbronciato la processione, Baley dietro di lui e R. Daneel in retroguardia.

Baley e R. Daneel passarono dall’impiegata che li aveva ricevuti per le formalità; Clousarr firmò un foglio di congedo, avvertendo che mandassero un uomo a pulire la stanza delle bilance. Erano ormai all’esterno, accanto all’autopattuglia parcheggiata, quando Clousarr disse: «Un momento».

Si voltò verso R. Daneel, e, prima che Baley potesse fare qualcosa per fermarlo, colpì la faccia del robot con la mano aperta.

«Che diavolo ti piglia?» gridò Baley, afferrando Clousarr violentemente.

L’enzimologo non fece resistenza. «Va bene, vengo. È solo che volevo controllare da me.» Sorrideva, ora.

R. Daneel si era tirato indietro, ma senza riuscire a evitare completamente lo schiaffo. Ora guardava Clousarr tranquillamente, ma la guancia non si arrossava e non c’era segno del colpo ricevuto.

Disse: «È stata una mossa pericolosa, Francis. Se non mi fossi scostato in tempo, ti saresti fratturato la mano. Mi spiace di averti causato dolore.»

Clousarr scoppiò a ridere.

Baley disse: «Entra, Clousarr. Anche tu, Daneel, nel sedile posteriore con lui. Assicurati che non si muova, e se lo fa bloccalo a tutti i costi, dovessi anche rompergli un braccio. È un ordine».

«Che fine ha fatto la Prima Legge?» sfotté Clousarr.

«Credo che Daneel sia abbastanza forte e abbastanza svelto da bloccarti senza farti del male, ma ti meriteresti un braccio appeso al collo.»

Baley passò al volante e l’autopattuglia prese velocità. Lo spostamento d’aria gli scompigliava i capelli, e anche quelli di Clousarr, ma la testa di R. Daneel rimase perfetta e immacolata.

L’automa chiese tranquillamente: «Temi i robot, perché pensi che ti ruberanno il lavoro, Clousarr?».

Baley non poté girarsi per vedere l’espressione del prigioniero, ma se l’immaginava come una rigida maschera di disapprovazione, mentre il corpo tentava, per quel che poteva, di tenersi lontano da Daneel.

L’enzimologo disse: «Non solo ruberanno il lavoro a me, ma ai miei figli e ai figli degli altri».

«Sono certo che si può trovare una soluzione» disse il robot. «Se i tuoi figli, per esempio, facessero una scuola per emigranti…»

Clousarr l’interruppe. «Anche tu? Il tuo amico poliziotto mi ha già riempito la testa con questa storia dell’emigrazione su altri mondi. Vedo che l’indottrinamento di voi robot ha funzionato: a quest’ora sarà un robot pure lui.»

Baley gridò: «Basta, adesso!».

R. Daneel disse, calmo: «Una scuola per emigranti rappresenterebbe sicurezza, qualifica garantita e una carriera sicura. Se sei preoccupato per i tuoi figli, devi farci un pensiero».

«Non accetto consigli dai robot, dagli Spaziali o dalle iene ammaestrate che stanno al governo.»

E questo concluse la discussione. Il silenzio dell’autostrada li avviluppò, interrotto solo dal ronzio del motore e dal sibilo delle ruote sull’asfalto.

Arrivato al Dipartimento, Baley firmò un certificato di detenzione per Clousarr e lo lasciò in buone mani. Poi prese la motospirale e salì con R. Daneel ai livelli del quartier generale.

R. Daneel non dimostrò sorpresa per il fatto che non avevano preso gli ascensori, né Baley se l’aspettava. Cominciava ad abituarsi alla strana mistura di destrezza e sottomissione che formavano la personalità del robot e non riteneva necessario metterlo a parte delle sue riflessioni personali. L’ascensore era il mezzo più logico per risalire il pozzo verticale che separava la prigione dal quartier generale, mentre la scala a chiocciola che chiamavano motospirale serviva solo per i percorsi non superiori ai due-tre piani. In meno di un minuto gente di tutti i tipi, che lavorava per i settori amministrativi della centrale di polizia, salì e scese più volte dalla scala; solo Baley e R. Daneel ci rimasero su ostinatamente, continuando la lenta e progressiva ascesa.

Baley aveva bisogno di tempo. Con la scala non avrebbe guadagnato più di qualche minuto, ma era meglio che niente; una volta arrivato in ufficio si sarebbe trovato fino al collo nella nuova svolta del caso, e prima di affrontarla aveva bisogno di un attimo di riposo. Voleva pensare e orientarsi, e il lento movimento della scala a chiocciola era fin troppo rapido per soddisfare queste esigenze.

R. Daneel disse: «A quanto pare non possiamo ancora interrogare Clousarr».

«Aspetterà» disse Baley, irritato. «Dobbiamo scoprire cos’è questa faccenda di R. Sammy.» Poi aggiunse fra i denti, più a se stesso che a Daneel: «Non può essere un caso. Esiste un legame».

«È un peccato» ribatté l’automa. «Le onde cerebrali di Clousarr…»

«Che hanno?»

«Sono cambiate stranamente. Che vi siete detti nella stanza delle bilance mentre io non c’ero?»


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