«Ma questo che ha a che fare con te, Elijah?»

Baley sogghinò, ma la faccia lunga non era affatto allegra. «Molto, Daneel. L’irraggiatore è stato preso nella centrale di Williamsburg, dove tu e io siamo passati ieri. Ci hanno visti e la notizia verrà risaputa. Questo mi avrebbe permesso di appropriarmi dell’arma, fattore che si unisce volentieri al movente già individuato. Somma a questi fatti il particolare che tu e io siamo stati gli ultimi a vedere R. Sammy vivo… a parte il vero assassino, si capisce… e avrai un bel quadro.»

«Ero con te alla centrale e posso testimoniare che non hai avuto l’opportunità di rubare l’irraggiatore.»

«Grazie» disse Baley «ma sei un robot e la tua testimonianza non sarebbe valida.»

«Il questore è tuo amico, ti ascolterà.»

«Il questore ha un posto da difendere e ha già avuto guai per colpa mia. C’è un solo modo per salvarmi da quest’orribile situazione.»

«E cioè?»

«Domandarmi perché mi vogliono incastrare. Per liberarsi di me, è ovvio, ma perché? Di nuovo la risposta è chiara: sono diventato pericoloso per qualcuno. Sto facendo del mio meglio per rendere dura la vita a chi ha assassinato il dottor Sarton a Spacetown, e se l’assassino si nasconde in un gruppo medievalista, o magari in una frangia estremista del suo interno, è probabile che abbia saputo del mio passaggio a Williamsburg ieri. Forse uno del gruppo è riuscito a seguirci fin laggiù, anche se tu pensavi che li avessimo seminati.

«Quindi ci sono buone probabilità che se trovo l’assassino del dottor Sarton troverò anche l’uomo o gli uomini che stanno cercando di incastrarmi. Se risolvo il caso, se riesco a risolverlo, salverò il collo… Ma non mi resta molto tempo.» Aprì e chiuse il pugno spasmodicamente. «Non mi resta molto tempo.»

Baley guardò la faccia scultorea di R. Daneel con un’improvvisa speranza: qualunque cosa fosse era una creatura forte e fedele, non viziata dall’egoismo. Che altro si poteva chiedere a un amico? Baley aveva bisogno di un amico, e non se la sentiva di cavillare se in lui una rotella sostituiva un vaso sanguigno.

Ma R. Daneel scuoteva ancora la testa.

«Mi dispiace, Elijah» (anche se nei suoi lineamenti, com’è ovvio, non c’era traccia di dispiacere). «Non avevo previsto niente di tutto ciò. Forse il mio modo di agire ti danneggerà. Se il bene comune richiede questo sacrificio, nondimeno ne sono addolorato.»

«Che bene comune?» balbettò Baley.

«Ho parlato con il dottor Fastolfe.»

«Perdinci, quando?»

«Mentre mangiavi.»

Baley strinse le labbra.

«E allora?» si sforzò di dire. «Che cos’è successo?»

«Dovrai trovare un altro metodo per liberarti dei sospetti sull’assassinio di R. Sammy. Non servirà trovare i colpevoli del caso Sarton. La nostra gente a Spacetown, come risultato del mio rapporto, ha deciso di chiudere l’inchiesta oggi stesso e di cominciare i preparativi per abbandonare la Terra.»

XVII

Conclusione di un progetto

Baley guardò l’orologio quasi con distacco. Erano le 21,45. Fra due ore e un quarto sarebbe stata mezzanotte e lui era sveglio dalle sei, senza contare la tensione degli ultimi due giorni e mezzo.

Prese la pipa e la piccola borsa del tabacco, ridotta a contenere ormai poche briciole, e sforzandosi di mantenere la voce calma, disse: «Cos’è questa storia, Daneel?».

«Vuoi dire che non capisci? Non è chiaro?»

Paziente, Baley ammise: «Non capisco. Non è chiaro».

«Noi ci troviamo su questo mondo» disse il robot «per spezzare la cortina che circonda la Terra e costringere i suoi popoli a una nuova espansione e alla colonizzazione di altri pianeti. Quando dico "noi" intendo riferirmi alla gente di Spacetown.»

«Questo lo so. Per favore, non ricamarci sopra.»

«Devo, è un punto essenziale. Se eravamo ansiosi di punire gli assassini del dottor Sarton non era perché ci aspettassimo di riportarlo in vita, ma solo perché se non ci fossimo riusciti le forze politiche contrarie all’esistenza di Spacetown, e che già fanno la voce grossa, si sarebbero rafforzate ancora di più.»

«Ma ora» esplose Baley, incapace di contenersi oltre «dici che avete deciso di togliere le tende di vostra spontanea volontà. Perché? Per l’amore del cielo, perché? La soluzione del caso Sarton è vicina. Deve essere vicina, o non cercherebbero di incastrarmi come hanno fatto. Ho la sensazione di possedere tutti gli elementi per arrivare alla risposta. Dev’essere qui dentro, da qualche parte.» Si batté le nocche sulla fronte. «Basterebbe una frase, una parola a farmela trovare.»

Chiuse gli occhi e strizzò le palpebre, come se la matassa opaca che si era aggrovigliata nelle ultime sessanta ore fosse sul punto di sbrogliarsi e diventare trasparente. Ma non vide niente. Niente.

Baley rabbrividì e si sentì pieno di vergogna. Stava dando spettacolo di sé davanti a una macchina fredda e indifferente che poteva solo guardarlo in silenzio.

Disse, bruscamente: «Non ci pensare. Perché gli Spaziali hanno deciso di andarsene?».

«Il nostro progetto è concluso» rispose il robot. «Riteniamo che la Terra colonizzerà altri mondi.»

«Siete diventati ottimisti, allora?». Il poliziotto fumò la prima pipata di tabacco, si calmò e si sentì più padrone delle proprie emozioni.

«Sì, o almeno lo sono diventato io. Per molto tempo noi di Spacetown abbiamo tentato di cambiare la Terra modificando la sua economia. Abbiamo cercato di introdurre fra voi la cultura C/Fe. Il governo planetario e quello di varie Città hanno collaborato con noi perché la ritenevano buona politica, ma in venticinque anni non siamo approdati a niente. Più ci sforziamo, più forte diventa la fazione dei medievalisti.»

«Tutto questo lo so» disse Baley. E poi: inutile, deve spiegarsi a modo suo, come un disco. Mentalmente gli gridò: "Macchina!".

R. Daneel continuò: «Il primo a teorizzare che la nostra tattica andava rovesciata è stato il dottor Sarton. Dovevamo trovare una piccola parte della popolazione terrestre che desiderasse ciò che anche noi desideravamo e che si lasciasse persuadere a tentare l’esperimento. Incoraggiandoli e aiutandoli, avremmo messo in piedi un movimento locale animato dalle nostre stesse intenzioni. Un movimento che, agli occhi degli altri terrestri, non sarebbe più apparso straniero e minaccioso. La difficoltà stava nel trovare questa piccola percentuale di terrestri. Tu, Elijah, sei stato un interessante soggetto d’esperimento.»

«Io? Io? Che vuoi dire?» chiese Balèy.

«Siamo lieti che il questore abbia affidato le indagini proprio a te. Il tuo profilo psichico ti qualifica come esemplare adatto. La cerebroanalisi, che ti ho fatta appena ci siamo incontrati, ha confermato il mio giudizio. Sei un uomo pratico, Elijah: non fantastichi inutilmente sul passato della Terra, anche se ti interessa profondamente, e non abbracci ciecamente l’attuale cultura delle Città. Sapevamo che individui come te erano quelli che potevano guidare gli uomini verso le stelle una seconda volta. Ecco perché il dottor Fastolfe era così ansioso d’incontrarti, ieri mattina.

«Questa tua natura pratica, tuttavia, si spinge fino al punto da diventare imbarazzante: per esempio ti sei rifiutato di capire che la fanatica dedizione a un ideale, anche un ideale sbagliato, può spingere un uomo a fare cose contrarie alle sue normali inclinazioni, come attraversare l’aperta campagna per distruggere qualcuno che egli considera un mortale nemico della sua causa. Dato che sei fatto così, non ci hanno troppo meravigliato la tua cocciutaggine e la tua temerarietà quando hai cercato di dimostrare che l’assassinio non era mai avvenuto. In un certo senso, quella è stata la prova che eri l’uomo che volevamo per il nostro esperimento.»

«Dio buono, quale esperimento?» chiese Baley, picchiando il pugno sul tavolo.


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