R. Daneel fece eco ai suoi pensieri chiedendo: «Che intendi per curiosità?».

Baley cercò di mostrarsi paziente. «È il termine con cui indichiamo il desiderio di estendere la nostra conoscenza.»

«Anch’io provo questo desiderio, ma solo quando è necessario al compimento di un determinato lavoro.»

«Già» osservò Baley sarcastico «come quando facevi domande sulle lenti a contatto di Baley. Era solo per imparare di più sui costumi della Terra.»

«Precisamente» ribatté R. Daneel, senza dar segno di aver colto l’ironia. «Estendere la conoscenza come fatto in sé, privo di scopo — cioè quello che tu chiami curiosità — è soltanto inefficienza. Io sono progettato per evitare l’inefficienza.»

Fu in quel modo che la "frase" tanto attesa da Lije Baley, la parola illuminante, lo raggiunse. L’intricata matassa si sbrogliò e al suo posto apparve una visione luminosa e trasparente.

E mentre R. Daneel parlava, la bocca di Baley si! aprì e rimase spalancata.

Non poteva essergli venuto in mente tutto d’un colpo: non è così che funzionano queste cose. Daqualche parte, nel profondo dell’inconscio, aveva ricostruito il caso, accuratamente e nei particolari, ma la verità non era salita alla coscienza per un’unica discrepanza, un punto che non combaciava. Non c’era modo di evitarlo, ignorarlo, cancellarlo: finché la discrepanza restava, la soluzione del problema sfuggiva alle sue facoltà coscienti.

Ma ora la parola era venuta; il punto che non combaciava era scomparso; la soluzione era sua.

L’improvvisa illuminazione aveva stimolato Baley. Finalmente conosceva il punto debole di R. Daneel, che è il punto debole di ogni macchina. Pensò febbrilmente, speranzosamente: "Quest’affare prende tutto alla lettera. Deve essere così…".

Disse: «Allora il progetto Spacetown si conclude oggi e con esso l’inchiesta sulla morte di Sarton. È giusto?».

«Così ha deciso la gente di Spacetown» assentì R. Daneel, calmo.

«Ma "oggi" non è ancora finito.» Baley dette una occhiata all’orologio: le 22,30. «C’è un’ora e mezza prima di mezzanotte.»

L’automa non disse niente, ma parve riflettere.

Il poliziotto riprese a parlare, rapidamente: «Fino a mezzanotte il progetto continua. Tu sei il mio collaboratore e le indagini vanno avanti». Nella fretta stava diventando telegrafico. «Continuiamo. Lasciami lavorare. Non farà nessun male alla tua gente. Anzi, sarà un bene per tutti, te l’assicuro. Se, a tuo giudizio, faccio qualcosa che è male, fermami. Ti chiedo solo un’ora e mezza.»

R. Daneel disse: «Quello che dici è giusto, la giornata non è finita. Non ci avevo pensato, Elijah».

Erano di nuovo colleghi, adesso.

Baley sogghignò: «Il dottor Fastolfe non ha parlato di un film che avete girato sulla scena del delitto?».

«Infatti.»

«Puoi averne una copia?»

«Sì, collega Elijah.»

«Intendo dire ora, subito!»

«In dieci minuti, se posso adoperare il trasmettitore del Dipartimento.»

Ci volle anche meno. Baley guardava, tremante, la scatola di alluminio che teneva fra le mani: all’interno di essa le sottile forze trasmesse da Spacetown avevano fissato stabilmente un certo modello atomico.

In quello stesso momento arrivò Julius Enderby. Vide Baley e un’ombra d’angoscia gli passò sul viso, lasciando presagire cose poco piacevoli.

Disse, incerto: «Lije, ci hai messo un’eternità a finire questo pranzo».

«Ero stanco morto, questore. Mi dispiace di aver fatto tardi.»

«Non importa, ma… è meglio che vieni nel mio ufficio.»

Gli occhi di Baley cercarono quelli di R. Daneel, ma non ebbero in risposta uno sguardo d’intesa. Uscirono insieme dalla mensa.

Julius Enderby camminava nervosamente davanti alla scrivania, su e giù. Baley lo seguiva, non certo calmo. Ogni tanto dava un’occhiata all’orologio: le 22,45.

Il questore spinse gli occhiali sulla fronte e si fregò gli occhi con il pollice e l’indice. Le dita arrossarono la pelle, finché rimise gli occhiali a posto e fissò Baley.

«Lije» disse all’improvviso «quando sei stato l’ultima volta alla centrale di Williamsburg?»

«Ieri» rispose Baley «dopo aver lasciato l’ufficio. Dovevano essere le diciotto, o poco più tardi.»

Il questore scosse la testa. «Perché non me l’avevi detto?»

«Stavo per farlo. Non ho ancora firmata la dichiarazione ufficiale.»

«Che cosa facevi, laggiù?»

«Mi sono limitato a passarci Andavamo al nostro nuovo appartamento.»

Il questore lo interruppe bruscamente e, mettendoglisi davanti, disse: «Non va, Lije. Non si passa in una centrale solo per andare da qualche altra parte».

Baley si strinse nelle spalle: non c’era senso a raccontare la storia dell’inseguimento medievalista. Non ora.

Si limitò a dire: «Se vuole alludere al fatto che ho avuto l’opportunità di prendere l’irraggiatore alfa, ho qui R. Daneel che può testimoniare il contrario. È stato sempre con me, e quando sono uscito dalla centrale non avevo irraggiatori».

Il questore si sedette con lentezza. Non guardò dalla parte di R. Daneel e non lo interrogò. Mise le mani grassocce sulla scrivania e le fissò, con un’espressione addolorata.

«Lije, non so che dire o che pensare. Quanto al tuo collega, le sue parole non potranno scagionarti. Non è ammesso come teste.»

«Nego di aver preso un irraggiatore alfa.»

Il questore intrecciò le dita nervosamente. «Per quale ragione Jessie è venuta a trovarti oggi pomeriggio?»

«Me l’ha già chiesto, e la risposta è la stessa: questioni di famiglia.»

«Ho avuto l’informazione da Francis Clousarr, Lije.»

«Che informazione?»

«Jezebel Baley è membro di una società medievalista il cui scopo è rovesciare il governo con la forza.»

«È sicuro che parliate della stessa persona? Ci sono molti Baley.»

«Ma non molte Jezebel. L’ho sentito con queste orecchie, Lije, non è una notizia di seconda mano.»

«D’accordo, Jessie ha fatto parte di un’organizzazione un po’ lunatica, ma innocua. Si è limitata ad andare alle riunioni e a compiacersi dell’aria clandestina di questa doppia vita.»

«Sul tuo profilo personale non sarà una cosa altrettanto innocua.»

«Vuol dire che verrò sospeso e trattenuto per sospetta distruzione di proprietà governativa? Per la distruzione di R. Sammy?»

«Spero di no, Lije, ma è un brutto pasticcio. Tutti sanno che R. Sammy non ti piaceva e tua moglie è stata vista parlare con lui nel pomeriggio. Piangeva e alcune parole sono state sentite. In sé non erano compromettenti, ma somma due più due e ottieni quattro. Forse hai pensato che era pericoloso lasciare in giro quel robot… Forse ti sei detto che poteva parlare… Quanto all’arma, hai avuto l’opportunità di procurartela.»

Baley lo interruppe. «Se stessi cercando di togliere di mezzo tutti i sospetti che riguardano Jessie, perché porterei qui Francis Clousarr? A quanto pare lui sa molte più cose di R. Sammy. E un’altra cosa. Sono passato nella centrale di Williamsburg diciotto ore prima che R. Sammy parlasse con Jessie: come facevo a sapere che l’indomani avrei dovuto liquidarlo e che quindi mi serviva un irraggiatore? Non sono un chiaroveggente.»

Il questore disse: «Questi sono punti efficaci. Farò del mio meglio. Mi dispiace che debba succedere tutto questo, Lije».

«Sì? Crede davvero che io sia innocente, questore?»

Enderby rispose lentamente: «Sarò franco, Lije. Non so che cosa credere».

«Allora le darò un suggerimento. Questo è un piano per incastrarmi. Un piano molto accurato, questore.»

Enderby s’irrigidì. «Un momento, Lije, non metterti a tirare nel buio. Non ti attirerai la simpatia di nessuno con una linea di difesa come questa, l’hanno usata troppi cattivi soggetti.»

«Non cerco simpatia, ma la verità. Stanno cercando di togliermi di mezzo per impedirmi di concludere le indagini sul caso Sarton. Sfortunatamente per l’assassino, però, è troppo tardi.»


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