«Ti ho raccontato delle due megattere che sono emerse improvvisamente vicino alla barca», spiegò lui. Le aveva chiamate «megattere» e non «balene». La sua idea era così folle che, usando il nome scientifico, sperava di darle almeno una parvenza di serietà.
«Sì, e allora?» lo incalzò lei.
«Ma sì. È strano.»
«Me l'hai già raccontato. Una per parte. T'invidio. Assolutamente mitico. E io non c'ero», disse Susan.
«Non so se sia stato mitico. Mi sembrava quasi che stessero valutando la situazione… come se stessero tramando qualcosa…»
«Parli per enigmi.»
«Non è stato molto piacevole», concluse Anawak.
«Non è stato piacevole?» Susan scosse la testa, sbigottita. «Ti devo consolare? Quello è proprio il tipo d'incontro che sogno. Vorrei essere stata al tuo posto.»
«No, non è vero, al mio posto non ti saresti divertita. Continuavo a chiedermi chi era a osservare l'altro e a che scopo…»
«Leon. Erano megattere, mica agenti segreti.»
Lui si passò una mano sugli occhi. «Okay, dimenticatelo. Ma sì, è una follia. Mi devo essere sbagliato.»
Il walkie-talkie di Susan gracchiò e si sentì la voce di Tom Shoemaker. «Susan? Vai sulla 99.»
Tutte le stazioni trasmettevano e ricevevano sulla frequenza 98. Era comodo perché così si aveva sempre il quadro degli avvistamenti. Anche la guardia costiera di Tofino usava la frequenza 98 e purtroppo lo facevano pure diversi pescatori sportivi, che avevano un'idea non proprio positiva del whale watching. Ma ogni stazione aveva un proprio canale per le conversazioni private. Susan cambiò frequenza.
«C'è Leon, lì vicino?» chiese Shoemaker.
«Sì, è qui.»
Passò ad Anawak la radio. Lui la prese e parlò per un po' con Shoemaker. Poi disse: «Va bene, arrivo… Sì, si può fare anche senza preavviso… Comunicagli che vado non appena torniamo. A presto.»
«Di che si tratta?» chiese Susan non appena lui le ebbe restituito la radio.
«Di una richiesta. Dalla Inglewood.»
«La Inglewood? La società armatrice?»
«Sì. La chiamata è arrivata dalla direzione. Non hanno fornito molti dettagli. Hanno detto solo che hanno bisogno di un parere, e piuttosto in fretta. Strano. A Tom è sembrato che avessero così tanta fretta che avrebbero voluto teletrasportarmi.»
La Inglewood aveva mandato un elicottero. Nemmeno due ore dopo aver parlato per radio con Shoemaker, Anawak vedeva scorrere sotto di sé lo spettacolare paesaggio di Vancouver Island. Colline ricoperte di abeti si alternavano a montagne scoscese, fiumi scintillanti e invitanti laghetti di colore verde-azzurro. Tuttavia la bellezza dell'isola non poteva nascondere il fatto che l'industria del legno aveva colpito duramente le foreste. Nel corso degli ultimi cento anni, si era sviluppata fino a diventare il ramo industriale più importante della regione. In ampie aree il diboscamento aveva lasciato il segno.
Superarono l'isola di Vancouver Island e sorvolarono il trafficatissimo Georgia Strait: navi di linea, traghetti, cargo e yacht privati. In lontananza si dipanavano le imponenti catene montuose delle Montagne Rocciose, con le loro vette innevate. Torri di vetro blu e rosa contornavano un'ampia insenatura, su cui atterravano e decollavano idrovolanti che sembravano uccelli colorati.
Il pilota parlò con la stazione di terra. L'elicottero si abbassò, effettuò una virata e si fermò sopra l'area di carenaggio. Poco dopo, atterrarono su uno spazio libero delle dimensioni di un gigantesco parcheggio. Su entrambi i lati c'erano cataste di legno di cedro in attesa di essere spedite. Un po' più lontano, si scorgevano mucchi di zolfo e carbone. Al molo era ormeggiato un gigantesco cargo. Anawak vide un gruppo di persone da cui si staccò un uomo che venne incontro a loro. I suoi capelli svolazzavano nei vortici creati dall'elica. Indossava un cappotto e stava curvo per difendersi dal vento. Anawak slacciò la cintura di sicurezza e si preparò a scendere.
L'uomo spalancò il portello. Era alto e imponente, aveva poco più di sessant'anni e un viso tondo, dall'aria gentile e dagli occhi vivaci. Sorrise tendendo la mano ad Anawak. «Sono Clive Roberts, il managing director.»
Si strinsero la mano. Anawak seguì Roberts fino al gruppo, evidentemente impegnato a ispezionare il cargo. Vide marinai e persone in abiti civili. Continuavano a guardare la parte destra della nave, le camminavano di fianco, si fermavano e gesticolavano.
«È stato molto gentile a venire subito», disse Roberts. «Ci scusi. Normalmente non siamo così poco diplomatici, ma la faccenda è maledettamente urgente.»
«Non c'è problema», rispose Anawak. «Di che si tratta?»
«Di un incidente. Probabilmente», fu la risposta di Roberts.
«Quella nave laggiù?»
«Sì, la Barrier Queen. Per essere precisi, abbiamo avuto problemi coi rimorchiatori che avrebbero dovuto trainarla in porto.»
«Lo sa, vero, che sono un esperto di cetacei? Uno studioso del comportamento di balene e delfini?» chiese Anawak.
«Si tratta proprio di questo, del loro comportamento.»
Roberts lo presentò agli altri. Tre erano del management della società armatrice, gli altri rappresentavano i partner tecnici. Un po' più in là, due uomini scaricavano l'equipaggiamento da sub da un furgone. Roberts prese in disparte Anawak. «Al momento, purtroppo, non possiamo parlare con l'equipaggio», disse in tono preoccupato. «Ma le farò avere una copia del rapporto non appena sarà disponibile. Non vorremmo che la faccenda venisse divulgata inutilmente. Posso fidarmi di lei?»
«Ma certo.»
«Bene. Le faccio un riassunto degli avvenimenti. Poi toccherà a lei decidere se restare o andarsene. In un caso o nell'altro, provvederemo a tutte le spese e a risarcire il disturbo che le abbiamo procurato.»
«Non c'è nessun disturbo», disse Anawak.
Roberts lo guardò, pensieroso. «Deve sapere che la Barrier Queen è una nave praticamente nuova. Rigirata come un calzino poco tempo fa, perfetta in tutto e certificata. Un cargo da sessantamila tonnellate, che finora abbiamo spedito via mare senza problemi, anche con carichi pesanti; di solito fa la rotta per il Giappone. Per la sicurezza spendiamo cifre da capogiro, molto più di quanto dovremmo. Insomma, la Barrier Queen era sulla via del ritorno, completamente carica.»
Anawak annuì.
«Sei giorni fa, intorno alle tre di notte, ha raggiunto la zona delle duecento miglia marine al largo di Vancouver. Il timoniere ha virato di cinque gradi, una correzione di routine. Non ha ritenuto necessario guardare la strumentazione. In lontananza si vedevano le luci delle altre navi, che permettevano di orientarsi anche a occhio nudo, e infatti quelle luci avrebbero dovuto spostarsi verso destra. Invece sono rimaste dov'erano. La Barrier Queen ha continuato a procedere diritta. Il timoniere ha girato ancora il timone, senza nessun visibile cambiamento di rotta; allora l'ha girato del tutto e, improvvisamente, esso ha cominciato a funzionare. Fin troppo.»
«La nave è andata addosso a qualcuno?» chiese Anawak.
«No. Le altre imbarcazioni erano troppo lontane. Ma evidentemente il timone si era bloccato a fine corsa. E l'uomo non riusciva più a raddrizzarlo. Un timone bloccato a fine corsa a una velocità di venti nodi… Voglio dire, le grandi navi non si possono fermare così, come se niente fosse! A causa dell'elevata velocità, la Barrier Queen ha iniziato a girare in un cerchio molto stretto e poi si è piegata di lato. Dieci gradi di pendenza… Ha idea di che cosa voglia dire?»
«Posso immaginarlo.»
«Poco sopra lo specchio dell'acqua, ci sono le aperture per il drenaggio del ponte dei veicoli. Quando c'è il mare grosso vengono incessantemente svuotati, ma altrettanto velocemente l'acqui torna a riempirli. Con un'inclinazione di quel genere, può succedere che rimangano sott'acqua. Allora la nave si riempie in un batter d'occhio. Per fortuna il mare era calmo, ma la situazione si presentava comunque critica. Non si riusciva a raddrizzare il timone.»