— No — replicò lei, pensierosa; e poi: — No… — Congedò le ancelle che erano con lei, e quando rimasero soli si rivolse a Ged. — Mio ospite, amico mio — disse, — tu vedi molto chiaramente, ma forse non vedi tutto ciò che c’è da vedere. A Gont, a Roke, insegnano magia superiore. Ma non insegnano tutte le magie. Questa è Osskil, la Terra dei Corvi; non è una terra hardese: i maghi non la dominano, e non la conoscono molto. Qui avvengono cose ignote ai maestri della tradizione del sud, e cose che non sono nominate negli elenchi dei maestri dei nomi. E si teme ciò che non si conosce. Ma tu non hai nulla da temere, qui alla corte del Terrenon. Un uomo più debole avrebbe paura, certamente. Non tu. Tu sei nato col potere di dominare ciò che sta nella camera sigillata. Lo so. È per questo che sei qui, ora.
— Non capisco.
— Il mio signore, Benderesk, non è stato del tutto sincero con te. Io lo sarò. Vieni, siediti accanto a me.
Ged le si sedette accanto sui cuscini del divanetto sotto la finestra. I raggi del sole morente entravano orizzontali inondandoli di una luce priva di calore; laggiù, nella brughiera che già sprofondava nell’ombra, si stendeva la neve della notte precedente, come un opaco sudario bianco disteso sulla terra.
Serret parlò sommessamente. — Benderesk è signore ed erede del Terrenon, ma non può usarlo, non può costringerlo a servire interamente la sua volontà. E non posso farlo neppure io, da sola o insieme a lui. Io e lui non ne abbiamo né la capacità né il potere. Tu li possiedi entrambi.
— E come lo sai?
— Dalla stessa pietra! Ti ho detto che aveva parlato della tua venuta. Conosce il suo padrone. Ha atteso che tu arrivassi. Ti attendeva già prima che tu nascessi, perché sei colui che può dominarla. E chi può costringere il Terrenon a rispondere alle sue domande e a fare ciò che vuole, ha potere sul proprio destino: la forza di schiacciare il nemico, mortale o dell’altro mondo; preveggenza, conoscenza, ricchezza, dominio, e una magia al suo comando che potrebbe umiliare lo stesso arcimago! E tutto questo sarà tuo: basta che tu lo chieda.
Ancora una volta Serret levò su di lui gli strani occhi fulgidi, e quello sguardo lo trapassò e lui tremò, come di freddo. Eppure c’era paura sul volto di lei, come se cercasse il suo aiuto ma fosse troppo orgogliosa per chiederlo. Ged era sconcertato. Serret gli aveva posato la mano sulla mano, mentre parlava: era una mano lieve, esile e chiara su quella forte e scura di lui. Ged disse implorante: — Serret! Non ho il potere che credi: quello che avevo l’ho gettato via. Non posso aiutarti, non ti sono di nessuna utilità. Ma questo lo so: le Vecchie Potenze della Terra non possono essere usate dagli umani. Non sono mai state affidate alle nostre mani, e nelle nostre mani causano soltanto rovine. Se il mezzo è stato malvagio, malvagio è anche il fine. Io non sono stato attirato qui ma spinto, e la forza che mi ha spinto opera per annientarmi. Non posso aiutarti.
— Colui che getta via il suo potere possiede talvolta un potere assai più grande — disse lei, sorridendo, come se le paure e gli scrupoli di Ged le sembrassero puerili. — Forse io conosco meglio di te chi ti ha condotto qui. Non c’è stato un uomo che ti ha parlato per le vie di Orrimy? Era un messaggero, un servitore del Terrenon. Un tempo era anche lui un mago, ma gettò via il bastone per servire un potere più grande di quello di qualunque mago. E tu sei venuto a Osskil, e sulla brughiera hai cercato di combattere un’ombra col tuo bastone di legno; e a malapena siamo riusciti a salvarti, perché la cosa che ti segue è molto più astuta di quanto ritenessimo e aveva già preso molta forza da te… Solo l’ombra può combattere l’ombra. Solo la tenebra può sconfiggere la tenebra. Ascolta, Sparviero! Cosa ti occorre, dunque, per sconfiggere quell’ombra, che ti attende fuori da queste mura?
— Mi occorre ciò che non posso sapere. Il suo nome.
— Il Terrenon, che conosce tutte le nascite e le morti e gli esseri prima e dopo la morte, i non nati e gli immortali, il mondo luminoso e quello buio, ti dirà quel nome.
— E il prezzo?
— Nessun prezzo. Ti dico che ti ubbidirà, ti servirà come uno schiavo.
Scosso e tormentato, Ged non replicò. Adesso Serret gli teneva la mano tra le sue e lo guardava in faccia. Il sole era calato tra le nebbie che offuscavano l’orizzonte, e anche l’aria si era incupita: ma il volto di Serret era radioso di gioia e di trionfo mentre lei lo scrutava e vedeva scossa la sua volontà. Bisbigliò sottovoce: — Sarai più potente di tutti gli uomini, sarai un re tra gli umani. Tu regnerai, io regnerò con te…
Ged si alzò di scatto: un passo avanti lo condusse dove poté vedere, appena oltre la curva della parete della lunga sala, il signore del Terrenon che stava lì ad ascoltare sorridendo lievemente.
Gli occhi e la mente di Ged si schiarirono. Abbassò lo sguardo su Serret. — È la luce che sconfigge la tenebra — disse, balbettando. — La luce.
E mentre parlava vide chiaramente, come se le sue parole fossero luce, di essere stato attirato lì: avevano sfruttato la sua paura per guidarlo, e quando l’avessero avuto in pugno l’avrebbero tenuto stretto. L’avevano salvato davvero dall’ombra, perché non volevano che l’ombra lo possedesse prima che diventasse schiavo della pietra. Quando la sua volontà fosse stata catturata dal potere della pietra, avrebbero lasciato entrare l’ombra tra quelle mura, perché un gebbeth era uno schiavo ancora migliore di un uomo. Se lui avesse toccato una sola volta la pietra, o le avesse parlato, sarebbe stato completamente perduto. Eppure, come l’ombra non aveva potuto raggiungerlo e afferrarlo, così la pietra non aveva potuto servirsi di lui… non del tutto. Lui aveva quasi ceduto, ma non del tutto. Non aveva acconsentito. Al male è molto difficile impadronirsi dell’anima non consenziente.
Stava in mezzo ai due che avevano ceduto, che avevano acconsentito, guardando ora l’uno ora l’altra, mentre Benderesk si faceva avanti.
— Te l’avevo detto — commentò con voce asciutta il signore del Terrenon rivolgendosi alla sua dama, — che ti sarebbe sfuggito dalle mani. I tuoi incantatori di Gont sono pazzi astuti. E anche tu sei pazza, donna di Gont, se pensi di ingannare lui e me e di dominare entrambi con la tua bellezza, e di usare il Terrenon per i tuoi fini. Ma io sono il signore della pietra, io, e alla moglie infedele faccio questo: ekavroe ai oelwantar… - Era un incantesimo di metamorfosi, e le lunghe mani di Benderesk erano levate per modellare la donna tremante in qualcosa di orrendo, un maiale o un cane o una vecchia megera. Ged avanzò e colpì le mani del signore, abbassandole e pronunciando un’unica breve parola. E sebbene non avesse il bastone, e si trovasse su un terreno estraneo e maligno, dominio di un potere tenebroso, la sua volontà ebbe il sopravvento. Benderesk rimase immobile, con gli occhi annebbiati fissi su Serret, ciechi e pieni di odio.
— Vieni — disse lei con voce tremante. — Vieni, Sparviero, vieni, presto, prima che lui possa evocare i servitori della pietra…
Come in un’eco, un mormorio scorse attraverso la torre, attraverso le pietre del pavimento e dei muri: un mormorio arido e tremulo, come se a parlare fosse la terra stessa.
Afferrata la mano di Ged, Serret corse con lui per le sale e le anticamere, giù per la lunga scalinata a spirale. Uscirono nel cortile, dove l’ultima luce argentea del giorno aleggiava ancora sulla neve calpestata e sporca. Tre dei servitori del castello sbarrarono loro la strada, cupi e indagatori come se sospettassero un complotto contro il loro padrone. — Si fa buio, signora — disse uno; e un altro: — Non puoi uscire, adesso.
— Toglietevi di mezzo, bricconi! — gridò Serret, parlando nella sibilante lingua osskiliana. Gli uomini arretrarono e si accovacciarono al suolo, rabbrividendo, e uno urlò.
— Dobbiamo uscire dalla porta, non c’è altra via. Puoi vederla, Sparviero? Riesci a trovarla?