L’interruzione era causata da un gran fracasso improvviso e da un turbine di neve e di scintille che fecero volare il fuoco nell’oscurità della capanna: vi fu una rapida visione confusa e poi il muro opposto si squarciò e l’apparizione svanì.
Seguì un lungo silenzio. Poi un silenzio più breve. Quindi il vecchio sciamano chiese: — Tu non hai visto due uomini volare a testa in giù su una scopa, urlandosi improperi, vero?
Il ragazzo lo guardò senza scomporsi. — Certamente no — rispose.
Il vecchio ebbe un sospiro di sollievo. — Grazie al cielo. Nemmeno io.
Nel cottage c’era il caos perché, non soltanto i maghi volevano seguire la scopa, ma volevano anche impedirsi l’un l’altro di farlo. E questo causò vari incidenti spiacevoli. Il più spettacolare e di certo il più tragico si ebbe quando uno dei Vedenti tentò di usare i suoi stivali delle sette leghe senza la debita sequenza d’incantesimi e di preparativi.
Come già accennato, gli stivali delle sette leghe sono, nel migliore dei casi, una forma rischiosa di magia. E il mago si rammentò troppo tardi che occorre prendere le massime precauzioni nel servirsi di una forma di trasporto che, in fin dei conti, basa la sua efficienza nel cercare di mettere un piede trentatré chilometri davanti all’altro.
Le prime tempeste di neve dell’inverno imperversavano e infatti una pesante coltre di nubi si stendeva sulla quasi totalità del Disco, lasciando prevedere il peggio. Eppure, molto più in alto, alla luce argentea della minuscola luna del mondo-Disco, si presentava una delle viste più belle del multiverso.
Grandi nastri di nuvole, lunghi centinaia di chilometri, turbinavano dalla cascata dell’Orlo alle montagne del Centro. Nel freddo silenzio cristallino l’enorme spirale bianca scintillava come ghiaccio sotto le stelle, roteando appena, come se Dio avesse rimescolato il suo caffè e poi ci avesse versato dentro la panna liquida.
Nulla disturbava la scena meravigliosa, che…
Attraverso lo strato di nubi sbucò un oggetto piccolo e distante, in una scia di vapore. Nella calma stratosferica si udì distintamente il suono di due voci che litigavano.
— Hai detto che sapevi volare su uno di questi arnesi!
— Ma non sono mai salito su uno di questi prima di ora!
— Che coincidenza!
— Comunque, tu hai detto… guarda il cielo!
— No che non l’ho detto!
— Che è successo alle stelle?
E fu così che Scuotivento e Duefiori furono le prime due persone sul Disco a vedere ciò che teneva in serbo il futuro.
A più di mille chilometri dietro di loro la montagna del Centro, Cori Celesti, forava il cielo e gettava un’ombra scintillante come una lama attraverso le nuvole vorticose, tanto che anche gli dei avrebbero dovuto accorgersene… Ma di solito gli dei non guardano il cielo e in ogni caso erano occupati a litigare con i Giganti del Ghiaccio, che si erano rifiutati di abbassare la loro radio.
A Rimwards, verso l’Orlo, nella direzione in cui viaggiava la Grande A’Tuin, dal cielo erano state spazzate via le stelle.
Nel cerchio di oscurità c’era una sola stella, una stella rossa e funesta, una stella simile allo scintillio nell’occhiaia di un visone rabbioso. Era piccola e orribile e inflessibile. E il Disco veniva trasportato diritto verso di lei.
Scuotivento sapeva esattamente cosa fare in tali circostanze. Con uno strillo, puntò la scopa in basso.
In piedi al centro dell’ottogramma, Galder Weatherwax alzò le mani.
— Urshalo, dileptor, c’hula, ubbiditemi!
Sulla sua testa si formò un anello di foschia. Il mago lanciò un’occhiata di traverso a Trymon, che se ne stava imbronciato all’orlo del cerchio magico.
— Il pezzetto che segue è proprio impressionante — annunciò Galder. — Osserva. Kot-b’hai! Kot-sham! A me, o spiriti delle piccole rocce solitarie e dei topi inquieti lunghi non meno di cinque centimetri!
— Cosa? — disse Trymon.
— Per questo pezzo ho dovuto fare un sacco di ricerche — convenne Galder — specie per i topi. A ogni modo, dov’ero? Ah, sì…
Alzò di nuovo le mani. Trymon lo osservava e si leccò distratto le labbra. Il vecchio pazzo si concentrava davvero, la mente tutta presa dall’incantesimo, senza fare attenzione a lui.
Le parole del potere rotolavano per la stanza, rimbalzavano sulle pareti e andavano a nascondersi dietro gli scaffali e i barattoli.
Galder chiuse per un momento gli occhi, il volto una maschera di estasi mentre pronunciava la parola finale.
Trymon s’irrigidì e le sue dita si richiusero di nuovo sul coltello. E Galder aprì un occhio, fece un cenno col capo nella sua direzione e scagliò obliquamente una scarica di potere che colse in pieno il giovane mago e lo mandò a spiaccicarsi contro la parete.
Galder gli fece l’occhiolino e sollevò di nuovo le braccia.
— A me, o spiriti di…
Un rombo di tuono, un’implosione di luce e un attimo di totale incertezza fisica durante il quale perfino le pareti sembrarono ripiegarsi su se stesse. Trymon udì un suono strozzato e poi un grosso tonfo.
A un tratto nella stanza si fece il silenzio.
Dopo qualche minuto Trymon strisciò fuori da sotto una poltrona e si spazzolò la polvere di dosso. Fischiettando poche note di un motivetto, si voltò verso la porta con una cautela esagerata, fissando il soffitto come se non lo avesse mai visto. Da come si muoveva, si sarebbe detto stesse cercando di battere il record mondiale di velocità dell’andatura disinvolta.
Il Bagaglio si acquattò nel centro del circolo e aprì il coperchio.
Trymon si fermò. Si girò con grande, grande precauzione, temendo cosa avrebbe visto.
Il Bagaglio conteneva della biancheria di bucato, lievemente odorosa di lavanda. Era in qualche modo la cosa più terrificante che il mago avesse mai visto.
— Be’, ehm, non avresti visto per caso un altro mago da queste parti? — domandò.
Il Bagaglio riuscì ad assumere un aspetto ancora più minaccioso.
— Oh! — esclamò Trymon. — Be’, ottimo. Non importa.
Si tirò con gesto vago l’orlo della tunica e si mise a guardare con interesse la cucitura. Quando, poco dopo, alzò gli occhi, l’orribile cassa era ancora lì.
— Addio — disse il mago e corse via. Gli riuscì di passare la porta giusto in tempo.
— Scuotivento?
Scuotivento aprì gli occhi. Senza grandi vantaggi. Perché, invece di non vedere altro che nero assoluto, adesso non vedeva altro che bianco assoluto. Il che, sorprendentemente, era peggio.
— Ti senti bene?
— No.
— Ah.
Scuotivento si mise a sedere. Si trovava su un masso chiazzato di neve, ma non sembrava proprio come avrebbe dovuto essere un masso. Per esempio, non avrebbe dovuto muoversi.
Intorno a lui turbinava la neve. A qualche centimetro da lui, sedeva Duefiori con un’espressione sinceramente preoccupata.
Scuotivento ebbe un gemito. Le sue ossa erano molto arrabbiate per il trattamento appena ricevuto e facevano la coda per lamentarsene.
— Che c’è? — chiese all’amico.
— Sai che quando stavamo volando e mi preoccupavo che andassimo a sbattere contro qualcosa nella tormenta e tu hai detto che a questa altezza l’unica cosa contro cui potessimo urtare era una nuvola imbottita di rocce?
— Be’?
— Come facevi a saperlo?
Scuotivento si guardò intorno. Ma, quanto a varietà e interesse della scena che lo circondava, avrebbero potuto benissimo trovarsi nell’interno di una pallina da pingpong.
Sotto a lui la roccia stava… be’, stava dondolando. Ci passò sopra le mani e sentì le tacche prodotte da uno scalpello. Accostò l’orecchio alla pietra fredda e umida e gli sembrò di udire un battito sordo e lento. Strisciò in avanti fino al bordo e si sporse con cautela a guardare.
In quel momento il masso doveva passare sopra un varco nelle nuvole, perché il mago ebbe una rapida visione, orribilmente distante, di picchi montagnosi frastagliati. Erano scesi di un bel po’.