Un momento c’era una comunissima roccia e un momento dopo normali crepacci assumevano l’esatta apparenza di una bocca o di un orecchio appuntito. Subito dopo, senza che in realtà nulla cambiasse, c’era lì seduto un troll che gli sorrideva con la bocca piena di diamanti.
"Ma loro non potrebbero digerirmi" si disse il mago "li farei sentire malissimo."
Non era una grande consolazione.
— Così, tu sei Scuotivento il mago — gli disse il più vicino; la sua voce ricordava il rumore di passi che corressero sulla ghiaia. — Non so, ti immaginavo più alto.
— Forse si è eroso un po’ — aggiunse un’altra voce. — La leggenda è antichissima.
Scuotivento si dimenò a disagio. Era quasi certo che la roccia su cui sedeva stava cambiando forma. Ed ecco un minuscolo troll, poco più di un ciottolo, sedere con aria socievole sul suo piede e fissarlo con interesse.
— Leggenda? Quale leggenda? — domandò il mago.
— È una leggenda tramandata dalla montagna alla ghiaia fin dal tramonto dei tempi [Metafora interessante. Per i troll notturni, naturalmente, l’alba dei tempi si situa nel futuro.] — spiegò il primo troll. — "Quando la stella rossa illumina il cielo, Scuotivento il mago verrà a cercare le cipolle. Non mordetelo. Aiutarlo a restare in vita è della massima importanza."
Vi fu una pausa.
— È così? — chiese il mago.
— Sì. Questa leggenda ci ha sempre intrigati. La maggior parte delle altre sono molto più eccitanti. Essere una roccia nei vecchi tempi era più interessante.
— Davvero? — disse debolmente Scuotivento.
— Oh sì. Uno spasso senza fine. Vulcani dappertutto. Essere una roccia allora voleva dire veramente qualcosa. Nulla di tutte queste sciocchezze della sedimentazione. O si era ignei o niente. Ora, tutto ciò è finito. Oggi, certi che si chiamano troll, be’, sono poco più che ardesia. Perfino gesso. Io non mi darei delle arie se tu potessi usarmi per disegnare, non credi?
— No — si affrettò a rispondere Scuotivento. — Assolutamente no. Questo, ehm, quest’affare della leggenda. Diceva che non dovevate mordermi?
— È esatto — disse il piccolo troll seduto sul suo piede — e sono stato io a dirti dov’erano le cipolle!
— Siamo contenti che tu sia venuto — affermò il primo troll, il più grosso di tutti, notò il mago. — Siamo un po’ preoccupati per questa nuova stella. Che significa?
— Non lo so — rispose Scuotivento. — Pare che tutti pensino che io lo sappia, invece no…
— Non che ci importerebbe di venire liquefatti — osservò il grosso troll. — È così, comunque, che abbiamo cominciato tutti. Ma pensavamo che, forse, potrebbe significare la fine di tutto, il che non sembra una buona cosa.
— Diventa sempre più grande — disse un altro troll. — Guardala adesso. Più grande della notte scorsa.
Scuotivento guardò. Era decisamente più grande della notte scorsa.
— Così credevamo che tu potessi darci qualche indicazione — osservò il capo dei troll, in tono mite quanto può esserlo il suono di una voce simile a un gargarismo di granito.
— Potreste saltare giù dal Bordo — suggerì il mago. — Nell’universo dovrebbero esserci un sacco di posti dove farebbero comodo delle rocce in più.
— Ne abbiamo sentito parlare. Abbiamo conosciuto delle rocce che ci hanno provato. Dicono che si fluttua nell’aria per milioni di anni, finché non si diventa bollenti e ci si consuma per finire poi in fondo a un grosso buco nello scenario. Non sembra una prospettiva molto allegra.
Il troll si alzò con il rumore del carbone scaricato in uno scivolo e si stiracchiò le grosse braccia bitorzolute.
— Be’, s’intende che dovremmo aiutarti — disse. — C’è qualcosa che vuoi fare?
— Avrei dovuto fare una zuppa. — Scuotivento agitò il mazzo di cipolle. Probabilmente non il gesto più eroico e significativo che fosse mai stato fatto.
— Zuppa? Questo è tutto?
— Se’, forse anche dei biscotti.
I troll si guardarono, mettendo in mostra nelle bocche spalancate gioielleria sufficiente a comperare una città di media grandezza.
Alla fine, il troll più grosso decretò: — E zuppa sia, allora. — Scrollò le spalle con un cigolio. — È solo che noi immaginavamo che la leggenda sarebbe stata un po’ più… be’, non so… credevo… tuttavia, suppongo che non abbia importanza.
Tese una mano come un grappolo di banane fossili.
— Io sono Kwartz — si presentò. — Quello laggiù è Krysoprase, e poi Breccia e Jasper e mia moglie Beryl. Lei è un po’ metamorfica. ma chi non lo è oggigiorno? Jasper, levati dal suo piede.
Scuotivento prese la mano con precauzione, preparandosi a sentire il rumore di ossa spezzate. Che non ci fu. La mano del troll era ruvida e un tantino lichenosa intorno alle unghie.
— Scusatemi — disse Scuotivento. — Non ho mai incontrato dei troll finora.
— Siamo una razza in estinzione — disse Kwartz in tono triste mentre si avviavano sotto le stelle. — Il giovane Jasper è l’unico ciottolo della nostra tribù. Soffriamo di filosofia, sai.
— Sì? — Scuotivento si sforzava di tenere il passo. La banda dei troll si muoveva molto in fretta, ma anche silenziosamente, grosse sagome scure come fantasmi nella notte. Di quando in quando soltanto lo squittio di una creatura notturna che non li aveva uditi avvicinarsi indicava il loro passaggio.
— Oh, sì. Siamo dei martiri. Ci succede a tutti presto o tardi. Una sera, tu cominci a svegliarti e poi pensi "Perché disturbarsi?" e non lo fai. Vedi quei massi laggiù?
Scuotivento scorse delle grosse sagome adagiate nell’erba.
— Quella in fondo è mia zia. Non so a che sta pensando, ma non si è mossa da duecento anni.
— Perbacco, mi rincresce.
— Oh, non c’è nessun problema con noi nei paraggi che ci prendiamo cura di loro — affermò Kwartz. — Come vedi, non ci sono molti esseri umani da queste parti. So che non è colpa tua, ma non mi sembri in grado di afferrare la differenza fra un troll pensante e una comune roccia. Pensa, un mio prozio è stato proprio scavato.
— Ma è terribile!
— Già, un attimo prima era un troll e quello dopo era un caminetto ornamentale.
Si fermarono davanti a un dirupo dall’aria familiare. Nell’oscurità fumavano i resti di un fuoco.
— Sembra che ci sia stata una lotta — osservò Beryl.
— Sono tutti andati via! — Scuotivento corse fino al limite della radura. — Anche i cavalli! Perfino il Bagaglio!
Kwartz s’inginocchiò. — Da uno di loro è colata quella roba rossa e acquosa che voi avete dentro. Guarda.
— Sangue!
— Si chiama così? Non ne ho mai capito la ragione.
Scuotivento si aggirava qua e là come uno che avesse perso la testa e guardava perfino dietro i cespugli nel caso qualcuno ci si fosse nascosto. Per questo inciampò in una bottiglietta verde.
— Il linimento di Cohen — gemette. — Lui non va mai da nessuna parte senza.
— Be’ — disse Kwartz — almeno voi umani potete fare qualcosa. Voglio dire, come quando noi ci accasciamo colpiti dalla filosofia. Voi, invece, cadete a pezzi…
— Si chiama morire! — gridò il mago.
— Appunto. Loro non l’hanno fatto, perché qui non ci sono.
— A meno che non siano stati divorati — suggerì eccitato Jasper.
— Uhm. — Questo era Kwartz e — Lupi? — azzardò Scuotivento.
— Da anni abbiamo schiacciato tutti i lupi qui intorno — disse il troll. — O almeno, l’ha fatto il Vecchio Nonnetto.
— Non gli erano simpatici?
— No. È solo che non aveva l’abitudine di guardare dove andava. Uhm. — Il troll esaminò di nuovo il terreno.
— Qui c’è un sentiero — continuò. — Un gran numero di cavalli. — Alzò gli occhi alle vicine colline, con i loro ripidi pendii e le pericolose spaccature, che sovrastavano le foreste sotto la luce lunare.
— Il Vecchio Nonnetto vive lassù — dichiarò.
Il tono delle sue parole convinse Scuotivento che non avrebbe mai voluto incontrare il Vecchio Nonnetto.
— Lui è pericoloso, vero? — si avventurò a domandare.