Ramarren la guardò con intensa curiosità, senza cautele o timori. Soltanto, sentendosi vulnerabile, accentuò l'autorevolezza e l'inquisità dello sguardo, cui la sua nascita, di Livello Buono, gli dava diritto. Per nulla intimidita, la donna lo osservò a sua volta. Stettero un attimo in silenzio.

La donna era bella e delicata, vestita in modo fantasioso, con capelli ramati o tinti di rosso. Gli occhi erano due carboni in un candido ovale. Occhi simili a quelli dei volti dipinti nella Sala della Vecchia Città, ritratti di gente alta dalla pelle scura che costruiva città, combatteva con i Migratori, osservava le stelle: i Colonizzatori, i Terraniani di Alterra…

Ramarren sapeva fuor di dubbio di essere veramente sulla Terra, di aver fatto il Viaggio. Mise da parte orgoglio e diffidenza, e si inchinò davanti a lei. Per lui, per tutti quelli che lo avevano inviato in una missione di ottocentoventicinque trilioni di nulla, quella donna apparteneva a una razza cui il tempo e la memoria dell'oblio avevano attribuito la qualità del divino. Sola e una, lì, e di fronte a lei, ella tuttavia era parte della Razza dell'Uomo, e guardava a lui con gli occhi di quella Razza, ed egli onorava la storia e il mito e il lungo esilio dei suoi antenati chinando la testa, inginocchiato davanti a lei.

Si alzò e tese le mani aperte nel gesto Kelshiano di ricevere; ella gli parlò. La sua voce suonò strana, stranissima. Anche se non T'aveva mai vista prima, la voce suonò infinitamente familiare al suo orecchio; anche se non conosceva la sua lingua, ne capì prima una parola poi un'altra. Si smarrì per un attimo; temette che usasse qualche forma di telepatia per penetrare la sua barriera di desintonizzazione. L'attimo dopo si rese conto che la capiva perché parlava la Lingua dei Libri, il Galaktika. Era solo il suo accento, la scioltezza del discorso che gli avevano impedito di riconoscerla immediatamente.

Gli aveva già detto parecchie frasi, parlandogli in modo distaccato, svelto, inerte — … non sanno che sono qui — gli stava dicendo. — Dimmi ora chi di noi è il bugiardo, lo sleale. Ho percorso con te tutto quell'interminabile cammino, con te ho trascorso un centinaio di notti, e ora non sai nemmeno il mio nome. Oppure sì, Falk? Sai il mio nome? Sai il tuo?

— Io sono Agad Ramarren — rispose, ma il suo nome, detto dalla sua stessa voce, gli suonò strano.

— Chi ti ha detto così? Sei Falk. Non conosci uno che si chiama Falk? Era uno che si rivestiva della tua carne. Ken Kenyek e Kradgy mi hanno vietato di farti questo nome, ma sono stufa di stare al loro gioco e non fare di testa mia. Mi piace anche fare da me. Non ricordi il tuo nome, Falk?… Falk… non ricordi, il tuo nome? Ah, sei ancora lo stupido che sei sempre stato, stai lì a occhi aperti come un pesce attonito!

Abbassò subito lo sguardo. Tra i Wereliani guardare una persona direttamente negli occhi era una questione delicatissima, controllata da tabù e regole rigide. Fu la sua prima reazione esterna alle parole di lei, ma le reazioni interiori furono simultanee e diverse. In primo luogo, doveva essere drogata, forse da uno stimolante-allucinogeno: le sue esperte percezioni gli consentivano di esserne sicuro, che gli piacessero o meno le implicazioni che ne derivavano sulla Razza Umana. D'altra parte, non era sicuro di aver capito tutto ciò che aveva detto. Certo non aveva idea di che cosa parlasse, ma l'intento che si proponeva era aggressivo, distruttivo. E l'aggressione riuscì. Malgrado non avesse affatto capito gli strani scherzi di lei, il nome che ripeteva continuamente lo agitò, addolorò, scosse, colpì.

Mosse la testa, a significare che non intendeva incrociarne lo sguardo, a meno che lei lo volesse. Infine disse, piano, nell'antica lingua che il suo popolo conosceva solo dagli antichi Libri della Colonia: — Sei della Razza degli Uomini, oppure del Nemico?

Ella rise, con voce forzata, beffarda. — Entrambi, Falk. Non c'è Nemico, e io lavoro per loro. Ascoltami, di' ad Abundibot che il tuo nome è Falk. Dillo a Ken Kenyek. Dillo a tutti i Signori che il tuo nome è Falk… li farà preoccupare di qualcosa! Falk…

— Basta.

Parlava piano come prima, ma con tono autorevole: ella rimase a bocca aperta, per la meraviglia. Quando poi parlò ancora, fu solo per ripetere il nome con cui l'aveva chiamato, con una voce che si era fatta trepida, quasi supplichevole. Faceva pietà, ma egli non diede risposta. Quella donna era in uno stato psicotico, temporaneo o permanente, ed egli si sentiva troppo vulnerabile e insicuro, in circostanze simili, per permetterle di comunicare ancora con lui. Si sentì troppo instabile, e allontanandosi da lei si ritirò in se stesso, restando solo secondariamente consapevole della sua presenza e della sua voce. Aveva bisogno di raccogliersi in sé; c'era qualcosa di troppo strano che lo riguardava, non le droghe, per lo meno non droghe che conosceva, ma un profondo sdoppiamento e squilibrio, peggiore di ogni insanità indotta della disciplina mentale del Settimo Livello. Ma aveva poco tempo. La voce alle sue spalle si fece più acuta in uno stridulo rancore, poi avvertì i toni della violenza e, insieme, la sensazione di una seconda presenza. Si girò di scatto: ella aveva cominciato a tirar fuori dal suo bizzarro abbigliamento quella che era, evidentemente, un'arma ma era rimasta raggelata a guardare con occhi sbarrati non lui, ma una persona alta che si profilava nel vano della porta.

Non fu pronunciata una sola parola, ma il nuovo venuto inviò alla donna un comando telepatico di forza così coercitiva e schiacciante che fece rabbrividire anche Ramarren. L'arma cadde a terra e la donna, con un suono sottile e lamentoso, corse via dalla stanza piegata su se stessa, cercando di sfuggire alla micidiale insistenza di quell'ordine mentale. La sua ombra sfocata ondeggiò per un momento dietro la parete, quindi svanì.

L'uomo alto volse a Ramarren gli occhi bordati di bianco, e gli parlò con i poteri normali. — Chi sei?

Ramarren rispose con un gentile — Agad Ramarren — ma nulla di più, né si chinò. Le cose erano andate anche peggio di quanto avesse pensato in un primo momento. Che gente era questa? Nello scontro di cui era stato testé testimone c'erano insania, crudeltà, terrore e null'altro; certamente non c'era nulla che lo rendesse incline al rispetto o alla fiducia.

Ma l'uomo avanzò un poco, con un sorriso nel volto grave, rigido, parlò con voce cortese, nella Lingua dei Libri. — Io sono Pelleu Abundibot, e ti do un caloroso benvenuto sulla Terra, fratello, figlio del lungo esilio, messaggero della Colonia Perduta!

A queste parole Ramarren fece un veloce inchino e, rimasto un momento in silenzio, disse. — Pare che sia rimasto per qualche tempo sulla Terra, inimicandomi quella donna e procurandomi delle cicatrici. Mi sai dire come è stato, e come sono morti i miei compagni di viaggio? Comunica telepaticamente, se vuoi: non parlo il Galaktika bene come te.

— Prech Ramarren — disse l'altro, evidentemente prendendo da Orry quel nome come se fosse onorifico, ma senza sapere in che cosa consistesse il rapporto di prechnoye — perdonami intanto se userò le parole. Non è nostra abitudine servirci della telepatia, tranne nei casi urgenti o con inferiori. Perdona anche l'intrusione di quella creatura, una serva che per la sua pazzia ha oltrepassato i limiti della Legge. Ci occuperemo della sua mente. Non ti disturberà più. Quanto alle tue domande ti sarà data risposta. In breve, abbiamo una storia triste che porta infine a un esito felice. La tua astronave Alterra è stata attaccata mentre entrava nell'atmosfera terrestre dai nostri nemici, dei ribelli fuorilegge. Hanno preso due o tre di voi trasportandovi dall'Alterra nei loro aeromobili interplanetari prima che arrivassero le nostre guardie. Quando arrivò il nostro corpo di guardia, distrussero l'Alterra con tutto ciò che rimaneva a bordo, e si allontanarono a bordo delle loro piccole navi. Ne catturammo una dove era imprigionato Har Orry, mentre tu sei stato portato via, non so a che scopo. Non ti hanno ucciso, ma hanno cancellato la tua memoria fino allo stadio pre-verbale, quindi ti hanno lasciato libero in una foresta selvaggia perché vi trovassi la morte. Sei sopravvissuto, i barbari della foresta ti hanno dato ricovero; infine i nostri ricercatori ti hanno trovato, portato qui e con delle tecniche paraipnotiche siamo riusciti a restituirti la memoria. Era quanto potevamo fare, poco, in realtà, ma non potevamo di più.


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