E così cercava di guadagnar tempo, nella speranza di escogitare una via di scampo, mentre con Orry e l'uno o l'altro degli Shing volava qua e là per la Terra che si stendeva sotto di loro come un giardino grande e bello, ma invaso dalle erbe, diventato una landa incolta. Con tutte le forze della sua acuta intelligenza cercava un modo per capovolgere la situazione e assumerne il controllo, anziché esserne controllato: perché in tal modo la sua mentalità kelsiana gli faceva valutare la situazione. Vista con chiarezza, ogni situazione, anche la più caotica o insidiosa, diventa semplice e conduce da sé alla soluzione più adeguata: perché nei tempi lunghi non esistono disarmonie, ma solo malintesi; non fortuna o sfortuna, ma solo incapacità di capire. Così pensava Ramarren e la seconda anima, Falk, non si mise a discutere le sue conclusioni; non perse tempo per accettarle. Perché Falk aveva visto le pietre opache o brillanti scivolare lungo i fili del telaio crea-forme e aveva vissuto con gli uomini nella loro estate in declino, re in esìlio nei loro domini terrestri, e a lui non pareva che gli uomini potessero decidere il proprio destino o tenere il gioco sotto controllo, ma solo aspettare che il gioiello brillante della fortuna infilasse il filo giusto del tempo. L'armonia esiste, ma non è capita; la Via non può essere percorsa. Così, mentre Ramarren si spremeva il cervello, Falk aspettava in subordine. Ma quando si presentò l'occasione, non mancò di coglierla.
O meglio, al verificarsi dell'occasione stessa, fu preso in mezzo.
Non era successo nulla di speciale in quel momento. Erano con Ken Kenyek in un agile aeromobile a pilota automatico, una delle splendide, ottime macchine che consentivano agli Shing di controllare e vigilare sul mondo con tanta prontezza. Stavano tornando a Es Toch dopo aver sorvolato un gruppo di isole dell'Oceano Occidentale, in una delle quali erano scesi fermandosi per varie ore in un insediamento umano. La popolazione dell'arcipelago che avevano visitato era bella, contenta, totalmente assorbita dagli svaghi marini e dal sesso. Lì, in mezzo a quell'amniotico mare azzurro, era un esempio chiarissimo di felicità umana e insieme di arretratezza da mostrare ai Wereliani. Nulla di cui preoccuparsi, nulla di cui aver timore.
Orry sonnecchiava, con un tubicino di pariitha in mano. Ken Kenyek aveva innestato il pilota automatico e con Ramarren, ma a circa un metro da lui, come sempre, perché gli Shing non si avvicinavano mai fisicamente a nessuno, guardava fuori dall'oblò dell'aeromobile verso la distesa di cinquecento miglia di bel tempo e mare azzurro che li circondava. Ramarren era stanco e si era abbandonato rilassato a quel piacevole attimo di sospensione, lassù, in una bolla di vetro al centro della grande sfera azzurro-dorata.
— È bello questo mondo — disse lo Shing.
— Molto.
— Il giojello di tutti i mondi… Werel è altrettanto bello?
— No. È più accidentato.
— Naturale, l'anno lungo lo rende così. Quanti anni? Sessanta anni terrestri?
— Sì.
— Sei nato d'autunno, hai detto. Il che significa che non avevi mai visto il tuo mondo d'estate, quando sei partito.
— Una volta, quando ho fatto un volo sull'Emisfero Meridionale. Ma queste estati sono più fresche, come gli inverni sono più temperati, che non presso i Kelshiani. Io non ho mai visto la Grande Estate del nord.
— Fai ancora in tempo. Se ritorni tra pochi mesi che stagione ci sarà su Werel?
Ramarren fece il calcolo in un paio di secondi, poi rispose: — Estate avanzata; circa la ventesima fase lunare estiva, probabilmente.
— Avevo calcolato che fosse autunno… quanto ci vuole per il viaggio?
— Centoquarantadue anni terrestri — disse Ramarren, e nel dirlo una folata di panico gli spazzò il cervello, ma subito si dileguò. Avvertì la presenza della mente dello Shing nella sua; mentre stavano parlando Ken Kenyek l'aveva indagato mentalmente, aveva trovato sguarnite le sue difese, e aveva messo sotto controllo la sua mente. Tutto bene. Da parte dello Shing indicava un'incredibile dose di pazienza e di capacità telepatica. Ne aveva avuto timore, ma ora che era successo, andava perfettamente.
Ken Kenyek gli comunicava, non nel gracchiante sussurro verbale degli Shing, ma con una chiara e piacevole telepatia: — Adesso va bene, bene ottimamente. Non è piacevole che ci siamo sintonizzati, infine?
— Molto piacevole — convenne Ramarren.
— Davvero. Adesso possiamo rimaner sintonizzati e tutte le nostre preoccupazioni svaniranno. Bene, dunque… centoquarantadue anni luce da qui… ciò significa che il vostro sole deve essere quello della costellazione Drago. Come si chiama in Galaktika? No, hai ragione, non puoi dirlo o comunicarlo qui. Eltanin, è questo il nome del tuo sole?
Ramarren non diede risposta, di nessun tipo.
— Eltanin, l'Occhio del Drago, sì, molto bella. Le altre che avevamo ritenuto possibili sono un po' più vicine. E adesso questo ci fa risparmiare un mucchio di tempo. Avevamo quasi…
La telepatia veloce, chiara, ironica, tranquilizzante, si interruppe all'improvviso e Ken Kenyek ebbe un movimento convulso; lo stesso fece Ramarren nel medesimo istante. Lo Shing si girò di scatto verso i controlli dell'aeromobile, poi altrove. Si chinò su se stesso in uno strano atteggiamento, troppo distaccato, come una marionetta a fili guidata maldestramente, poi tutto d'un colpo scivolò sul pavimento della macchina, e restò immobile, con la bella faccia immota rivolta rigida all'insù.
Orry, rinvenuto dal suo assopimento euforico, guardava stupito. — Qualcosa non va? Cos'è successo?
Non ebbe risposta. Ramarren era in piedi, rigido quanto lo Shing adagiato a terra, e i suoi occhi erano fissati su quelli dello Shing, in un reciproco fissare senza vedere. Quando infine si mosse, parlò in una lingua che Orry non conosceva. Allora, faticosamente, parlò in Galaktika. — Metti in assetto la nave — disse.
Il ragazzo restò a bocca aperta. — Cos'è successo al Signore Ken, predi Ramarren?
— In piedi. Fai alzare la nave!
Ora parlava il Galaktika non con il suo accento wereliano, ma nella forma degradata in uso presso i nativi della Terra. Però, per cattivo che fosse il suo modo di esprimersi, la forza esercitata da quelle parole era potentissima. Orry gli obbedì. La piccola sfera di vetro si sollevò in verticale, poi restò immobile al centro della cavità dell'oceano, a est del sole.
— Prechna, è…
— Sta' zitto!
Silenzio. Ken Kenyek giaceva immobile. Molto gradualmente, la evidente e intensa tensione di Ramarren calò, ed egli tornò calmo.
In campo mentale, tra lui e Ken Kenyek era avvenuta una specie di imboscata e contro-imboscata. Tradotto in termini fisici: lo Shing era piombato su Ramarren, pensando di catturare un uomo solo, ed era stato a sua volta sorpreso da un secondo uomo, una mente in agguato: Falk. Solo per un secondo Falk era stato in grado di dominare la situazione, e solo grazie alla sorpresa, ma quel tempo era stato lungo abbastanza per liberare Ramarren dal controllo di sintonia dello Shing. Nell'istante in cui fu libero, e la mente di Ken Kenyek era ancora in sintonia con la sua, e quindi vulnerabile, Ramarren aveva preso il controllo della situazione. C'era voluta tutta la sua abilità e la sua forza per costringere la mente di Ken Kenyek a restare in sintonia, dominata e senza speranze, come era stata la sua mente un attimo prima. Ma aveva sempre quel suo vantaggio: era un uomo dalla doppia mente, e mentre Ramarren teneva bloccato lo Shing, Falk era libero di pensare e agire.
Quella era l'occasione, il momento buono; non ce ne sarebbe più stato un altro.
Falk chiese a voce alta: — Dov'è la nave a velocità della luce pronta per decollare?
Era curioso sentire lo Shing rispondere con la sua voce sussurrante, e sapere, una volta tanto con certezza assoluta, che non mentiva. — Nel deserto, a nordovest di Es Toch.