— Lo ricorderò, Signore, se mai incontrerò un Nemico.
— Non ne incontrerai, a meno che non vada tu da loro.
L'apprensione che c'era sul volto di Falk svanì, lasciando il posto a uno sguardo calmo e attento. Ciò che aveva aspettato stava arrivando. — Vuoi dire che devo lasciare la Casa — disse.
— Tu stesso ci hai pensato — disse Zove pacificamente.
— Sì, è vero. Ma non c'è mezzo per farlo. Voglio vivere qui. Parth e io…
Esitò, e Zove lo interruppe, deciso e garbato. — Io onoro l'amore cresciuto tra te e Parth, la vostra gioia e la vostra fedeltà. Ma quando sei arrivato qui tu eri in cammino verso un altro posto, Falk. Sei benvenuto qui; sei sempre stato il benvenuto. Il tuo legame con mia figlia deve essere senza figli; anche così, mi ha dato molta gioia. Ma io credo che il mistero di ciò che tu sei, e della tua venuta qui, sia molto importante, non una cosa trascurabile che si può dimenticare; credo che tu stia percorrendo un cammino che porta lontano, molto lontano da qui; e che tu abbia una missione da compiere…
— Quale missione? Chi può dirmelo con tanta sicurezza?
— Ciò che è stato tolto a noi, e rubato a te, l'hanno gli Shing. Puoi starne certo.
Nella voce di Zove c'era un'asprezza dolorosa e sarcastica che Falk non aveva mai udito.
— Ma coloro che non dicono mai la verità daranno una risposta vera alle mie domande? E come riconoscerò ciò che cerco quando lo incontrerò?
Zove restò in silenzio un attimo e poi, con il suo solito tono calmo e controllato, disse: — Io resto attaccato alla mia idea, figlio mio, che in te sia riposta qualche speranza per il destino dell'uomo. Non mi pare di dover abbandonare questa idea. Ma solo tu puoi decidere qual è la tua verità; e se a te pare che la tua strada termini qui, allora questa, forse, è la verità.
— Se parto — disse Falk di getto — lascerai che Parth venga con me?
— No, figliolo.
Un bambino stava cantando in giardino — la figlia di Garra, che ora aveva quattro anni — tracciava goffe capriole sul sentiero e cantava parole dolci e acute senza senso. Nel cielo, nelle lunghe formazioni a V delle grandi migrazioni, uno stormo dopo l'altro di oche selvatiche si muoveva verso il sud.
— Devo andare con Metock e Thurro a prendere la sposa di Thurro — disse Falk. — Avevamo pensato di partire presto, prima che il tempo peggiori. Se decido di partire, partirò dalla Casa di Ransifel.
— In inverno?
— Senza dubbio ci sono altre case a ovest di quella di Ransifel, dove posso chiedere riparo, se ne avrò bisogno.
Non disse, e Zove non glielo chiese, perché voleva andare proprio verso ovest.
— Può darsi, non lo so. Non so se essi diano ospitalità agli stranieri, come facciamo noi. Se parti sarai solo, e dovrai essere solo. Fuori di questa Casa non c'è posto sicuro per te in tutta la Terra.
Aveva parlato, come sempre, con assoluta sincerità… e la sincerità lo obbligava a controllarsi e a soffrire. In tono rapido e rassicurante, Falk disse: — Lo so, Signore. Non è la sicurezza che rimpiango…
— Ti dirò ciò che penso di te. Credo che tu venga da un mondo perduto; che tu non sia nato sulla Terra. Credo che tu sia arrivato qui, il primo Alieno che ci tornava dopo mille anni o più, per portarci un messaggio, o un segno. Gli Shing ti hanno chiuso la bocca, e ti hanno abbandonato nelle foreste, perché nessuno potesse dire che ti avevano ucciso. Tu sei venuto da noi. Se te ne vai, soffrirò e avrò paura per te, sapendo in che solitudine ti troverai. Ma avrò una speranza, per te e per noi! Se avevi parole da dire agli uomini, le ricorderai, alla fine. Deve esserci una speranza, un segno: noi non possiamo andare avanti così per sempre.
— Forse la mia razza non è amica del genere umano — disse Falk fissando Zove con i suoi occhi gialli. — Chissà cos'ero venuto a fare.
— Troverai qualcuno che lo sa. Poi lo farai. Io non ho paura. Se tu sei al servizio del Nemico, anche tutti noi lo siamo già: tutto è perduto e non resta nulla da perdere. Ma se non è così, allora tu possiedi ciò che gli uomini hanno perduto: un destino, una missione da compiere; e seguendo questo destino puoi portare la speranza a tutti noi…
2
Zove aveva sessanta anni, Parth venti; ma quel freddo pomeriggio nei Campi Lunghi ella pareva vecchia in un modo che nessun uomo può arrivare a essere: senza età. Non la confortavano le idee di un grandioso trionfo ultra-stellare, né la vittoria della verità. Il dono profetico posseduto dal padre, in lei era soltanto mancanza di illusioni. Aveva saputo che Falk partiva. Disse solo: — Non tornerai più.
— Tornerò, Parth.
Lei lo strinse tra le braccia, senza credergli.
Egli tentò di entrare in contatto con i pensieri di lei, pur avendo scarsa abilità nella comunicazione telepatica. L'unica capace veramente di Udire, in tutta la casa, era la cieca Kretyan; nessuno di loro aveva molto approfondito la comunicazione diretta del pensiero. Le tecniche del discorso mentale non erano andate perdute, ma non venivano praticate. Il maggior pregio della più intensa e perfetta forma di comunicazione era divenuto un pericolo per gli uomini. Il discorso mentale tra due intelligenze può essere incoerente, o folle, e naturalmente può contenere errori o convinzioni infondate; ma è impossibile compiere truffe o errori nell'usarlo. Tra il pensiero e la parola pronunciata c'è un passaggio, di cui può approfittare l'intenzione scorretta, distorcendo il significato del simbolo o usandolo ambiguamente — e per questo varco entra facilmente la menzogna. Tra pensiero concepito e pensiero comunicato telepaticamente non c'è invece nessun passaggio: è un'unica azione. Non v'è posto per la menzogna.
Nell'Era della Lega, a quanto mostravano i racconti e le frammentarie testimonianze che Falk aveva studiato, l'uso del discorso mentale era largamente diffuso, e l'abilità telepatica aveva raggiunto comunemente livelli assai raffinati. Era un'abilità che gli abitanti della Terra avevano raggiunto tardi, imparandone le tecniche da qualche razza; l'Ultima Arte, la chiamava un libro. Da certi indizi si capiva che la Lega dei Mondi aveva dovuto affrontare difficoltà e discordie, provocate anche dal prevalere di una forma di comunicazione che impediva la menzogna. Ma tutto questo era nebuloso e semileggendario, come tutta la storia umana. Indubbiamente, dopo l'arrivo degli Shing e il crollo della Lega, la dispersa comunità degli uomini era divenuta meno fiduciosa nel prossimo, ed era tornata al linguaggio parlato. Un uomo libero può parlare liberamente, ma uno schiavo o un fuggiasco ha bisogno di nascondere i suoi pensieri, e mentire. Questo Falk aveva imparato nella Casa di Zove, e per questo motivo egli aveva poca pratica nel sintonizzarsi con le menti altrui. Ma ora tentava di mettersi in contatto con quella di Parth, perché lei vedesse che non mentiva.
Ma lei non voleva ascoltare. — No, non voglio entrare in telepatia — disse forte.
— Tu mi nascondi i tuoi pensieri.
— Certo. Non voglio che tu veda la mia pena. Che vantaggio c'è a essere sinceri? Se tu mi avessi mentito, ieri, crederei ancora che tu debba solo andare a Ransifel ed essere di ritorno tra dieci giorni. Avrei ancora dieci giorni e dieci notti. Adesso non mi resta né un giorno né un'ora. Tutto finito. Che vantaggio c'è?
— Parth, mi aspetterai un anno?
— No.
— Solo un anno.
— Un anno e un giorno e tu ritornerai su un cavallo d'argento, per portarmi nel tuo regno e farmi regina. No, non starò ad aspettare, Falk. Assurdo aspettare un uomo che finirà morto nella foresta, o ucciso dai Vagabondi nella prateria, o senza cervello nella città degli Shing, oppure lontano cento anni su un'altra stella. Cosa devo aspettare? Non c'è bisogno che tu creda che mi prenderò un altro. Resterò qui, nella casa di mio padre. Voglio tinger fili neri e tesser tela nera da indossare. Nero e morte, ma non stare ad aspettare qualcuno o qualcosa. Mai.