Gli uomini sorrisero, annuirono e ripresero a parlottare fra loro. Ma parevano più sollevati. Alec si mise a sedere e affibbiò la cintura.
— Separazione fra cinque minuti — disse all'altoparlante la voce del pilota. — Accensione fra sette minuti.
Alec si contrasse involontariamente. Se davvero riusciremo a sbrigarcela in così poco tempo, che probabilità avrò di trovare mio padre? Ma nel suo subconscio sapeva che lui e suo padre si sarebbero incontrati sulla Terra, in un modo o nell'altro. E uno dei due sarebbe morto.
Separazione e accensione avvennero con tale delicatezza che se il pilota non li avesse avvertiti Alec non se ne sarebbe accorto. Non c'erano finestrini nel compartimento passeggeri, e lui percepì solo una leggerissima pressione e la vibrazione dei retrorazzi.
— Siamo in rotta e tutti i sistemi funzionano alla perfezione — comunicò con voce soddisfatta il pilota.
Alec sfibbiò la cintura e si alzò. Tenendosi con una mano al sostegno inserito nella paratia, bussò al portello che divideva il compartimento dalla cabina di pilotaggio.
Il copilota aprì e Alec s'infilò nell'abitacolo gremito di pannelli dove brillavano luci verdi intermittenti, gli schermi proiettavano dati, e quadranti e interruttori circondavano letteralmente da ogni lato i due piloti. Attraverso i finestrini Alec poteva vedere la massa luminosa della Terra.
— Tutto in regola — disse allegramente il copilota. — Rientro fra dieci minuti.
— E la nave di Kobol? — chiese Alec.
— Ci hanno comunicato che tutto fila alla perfezione.
— Possiamo vederli?
— Non visivamente. — Il copilota indicò uno schermo circolare inserito nel pannello fra i due sedili, percorso da un luminoso raggio giallo. In basso a destra c'era un grosso punto, e altri punti più piccoli spiccavano verso il bordo.
— Sono loro, dritto dietro di noi — spiegò il copilota. — Gli altri puntini sono la stazione spaziale e i satelliti più piccoli che attraversano questa zona.
— Capisco.
— Spiacenti di non avere posto per voi qui — disse il pilota senza distogliere lo sguardo dagli strumenti.
Alec afferrò al volo. Comandante o no, a bordo era il pilota a comandare e Alec gli stava fra i piedi. — Quando atterreremo — disse con un sorriso — avrò troppo da fare per ringraziarvi. Così ho voluto farlo adesso.
— Grazie a voi! — disse il pilota con un largo sorriso.
Mentre tornava al suo posto, Alec pensava fra sé: Velocità. Velocità e sorpresa. Se laggiù ci sono dei nemici non dobbiamo dare loro il tempo di pensare.
Tuttavia aveva dei dubbi. E se mi prende il panico? Se al momento di scendere non ho il coraggio di farlo?
Guardò Jameson che sedeva dall'altro lato della corsia, così rilassato da sembrare che stesse dormendo.
Alec si alzò di scatto, e staccò lo zaino dal gancio. Spingendo l'equipaggiamento privo di peso si portò fino all'ultimo sedile, quello più vicino al portello.
— Vuoi andarti a sedere nel primo sedile? — chiese allo stupefatto giovanotto che vi stava seduto. — Porta con te la tua roba.
L'altro obbedì palesemente perplesso, e Alec prese il suo posto.
— Il rientro inizierà fra un minuto. Legatevi stretti — disse l'altoparlante.
Alec scoprì di dovere lottare anche con altre paure. Sentì la navetta forare la pesante e turbolenta atmosfera terrestre e l'impatto con la forza di gravità che gli affondò le cinghie nel corpo diventato improvvisamente pesante. Le mani si erano fatte troppo massicce per afferrare i braccioli. I muscoli del collo e delle spalle furono contratti dai crampi nello sforzo di tenere sollevata da testa. Gli sudavano le mani. La temperatura all'interno della navetta era diventata insopportabilmente calda.
Tutte sciocchezze!, si disse Alec. È colpa della mia immaginazione. Ma tutti, a bordo, sapevano che la superficie esterna della navetta era diventata rovente per l'attrito con l'atmosfera che stava attraversando a grandissima velocità.
È un perfetto bersaglio per il radar, pensò Alec. Chissà se ci sono ancora radar in funzione laggiù?
La navetta sobbalzò e traballò. Alec si sentì sprofondare nel sedile, poi ebbe la sensazione di cadere e gli si contrasse lo stomaco.
— Scusate — disse la voce del copilota, non più allegra. — Stiamo volando negli strati più bassi dell'atmosfera, non è facile filare lisci, ma un po' di sobbalzi non fanno troppo male. Tutto a posto.
Tremando, sudando, sussultando, soffrendo, gli uomini a bordo trascorsero in un atterrito silenzio cinque minuti lunghi come l'eternità.
— Ecco l'aeroporto! Atterraggio fra un paio di minuti. Forse sarà un po' brusco.
Gli sportelli del carrello si aprirono sotto di loro con un rombo terrificante. Nonostante l'addestramento molti furono colti di sorpresa.
— Preparatevi a scendere — gridò Alec per farsi sentire al di sopra del sibilo del vento. — Non appena il pilota darà il via, apriremo il portello e scenderemo.
Si accorsero tutti quando le ruote toccarono terra. La navetta traballò, si sollevò, tornò a toccare la pista, e infine avanzò rullando con un assordande stridio di freni accompagnato dal rombo dei retrorazzi. Poi, d'improvviso, cessarono rumori e movimento.
— O.K. Ci siamo — disse il pilota.
Alec sentì alle sue spalle il cigolìo del portello che si apriva. Aspirò a fondo, quindi afferrò la fibbia dell'imbracatura. Si alzò e afferrando elmetto, zaino e mitra, ordinò agli altri: — Muoviamoci!
L'uomo che gli sedeva di fronte si alzò e spalancò il portello. Alec gli impose con un gesto di stare indietro.
— La scaletta è incastrata — borbottò l'uomo.
Alec annuì, e senza pensarci due volte si portò sull'orlo del portello e saltò giù. Ebbe appena il tempo di rendersi conto di quanto fosse rapida la caduta prima di toccare il terreno con un tonfo che gli fece piegare le ginocchia. Allargò le braccia per tenersi in equilibrio e non cadere. Poi sfilò dalla spalla il mitra e si spostò. Gli altri lo seguirono con una successione regolare di tonfi ed esclamazioni soffocate.
— Bene, sapete dove mettervi — disse. — Sparpagliatevi per formare un perimetro.
Gli uomini si allontanarono di corsa. Qualcuno zoppicava visibilmente. Finalmente la scaletta si aprì e gli ultimi dieci poterono scendere agevolmente. L'ultimo fu Jameson, lindo e azzimato come se uscisse di chiesa dopo un matrimonio… se non fosse stato per l'arma che teneva puntata in avanti, pronta a sparare.
Alec si portò a prua per sorvegliare gli uomini che stavano aprendo il portello della stiva. Notò che il muso e la parte inferiore della navetta erano bruciacchiati e segnati da lunghe striature, a causa del passaggio attraverso l'atmosfera.
E poi, d'improvviso, lo colpì una constatazione: Sono sulla Terra. Mi muovo, sto in piedi, respiro sulla Terra!
Si voltò. Il cielo era grigio, non azzurro, e le nuvole nascondevano il sole. L'aria non era così luminosa come aveva pensato, e quindi non abbassò il visore antiabbagliante dell'elmetto. Non faceva nemmeno tanto caldo, pressappoco la stessa temperatura della base lunare. Ma c'era dell'altro, una cosa strana: l'aria si muoveva attorno a lui e contro il suo corpo come se ci fosse un ventilatore. Qui però era più lieve, più dolce, e a tratti cessava per poi ricominciare, come se giocasse.
La navetta non era atterrata sulla pista sconnessa, ma sull'erba verde che la fianchegiava. Il cemento era spezzato e bucherellato, l'erba corta e irregolare. Il carrello di atterraggio della navetta non aveva riportato danni. Potevano ripartire.
L'area intorno all'aeroporto era completamente libera e sgombra. Si aveva l'impressione che la terra continuasse all'infinito. L'orizzonte era molto più lontano di quanto Alec avesse immaginato. In distanza si scorgeva una linea di verdi colline ondulate.