— Alec. — Era Jameson, che lo aveva raggiunto.
— Il perimetro è stato completato, e il materiale pesante scaricato.
— Bene. — Alec controllò l'ora: erano trascorsi cinque minuti dall'atterraggio. — Molto bene. Una ventina di uomini possono sorvegliare il campo muniti solo di armi a mano.
— Osservazione sensata — commentò Jameson, e si allontanò per impartire ordini.
Un acuto stridio lacerò il cielo. Alec guardò in alto e vide la seconda navetta che stava arrivando seguita da una piumosa scia di vapore. Sorvolò una volta il campo, poi scese sul lato opposto della pista, stridendo e rombando, ed emettendo lingue di gas bluastro dai retrorazzi; nel toccare terra sollevò pietre e zolle d'erba.
Appena ebbe finito di rullare Alec si avviò di corsa, ma ancora prima di raggiungerla il portello fu aperto, la scaletta sistemata e gli uomini cominciarono a scendere e a portarsi nelle posizioni assegnate. L'ultima a comparire fu la figura alta e magra di Martin Kobol. Kobol, a causa della maggiore forza di gravità, zoppicava più che sulla Luna.
— Benvenuto sulla Terra! — gli gridò Alec.
Una raffica di mitra sottolineò il suo saluto.
9
Furetto stava controllando le trappole quando il cielo si spaccò con un frastuono assordante. Lasciò cadere il coniglio morto che aveva in mano e s'infilò istintivamente nei cespugli. Troppo impaurito perfino per aprire gli occhi, s'addentrò più che poté, e poi s'immobilizzò, trattenendo il fiato e cercando di vincere il tremito che lo scuoteva.
Qualche minuto dopo un altro suono lacerante scosse il mondo. Gli uccelli si zittirono. Tutta la foresta rimase paralizzata dalla paura. Furetto affondò la faccia nella terra umida e cercò di scomparire, di annullarsi completamente perché il mostro che scuoteva il mondo non riuscisse a trovarlo.
Rimase là per molto tempo. O così almeno gli parve. Poco per volta la vita nei boschi tornò alla normalità. Gli uccelli ricominciarono a cinguettare. La brezza faceva sospirare le foglie degli alberi. Qualcosa gli sfiorò scivolando la gamba nuda. Lentamente, con estrema cautela. Furetto sollevò la testa e guardò. Non vide niente di insolito, niente di cui avere paura. Evidentemente il mostro se n'era andato. Però forse non era lontano. Strisciando sul ventre, Furetto si portò verso il margine del bosco, dove si trovavano i vecchi edifici di cemento e i lunghi sentieri pure di cemento. Se un mostro gigantesco si avventurava nei boschi, forse poteva vederlo da là.
Decise di rischiare. Si mise carponi e attraversò così il tratto che divideva il cespuglio dove stava nascosto dal tronco di un grosso albero sul bordo della radura. Quando trovò il coraggio di sbirciare da dietro all'albero, rimase stupito da quello che vide. Due strani oggetti d'argento, enormi, di una forma che ricordava quella delle cartucce, stavano posati sulle piste di cemento, dove quella stessa mattina non c'era niente. Non parevano mostri.
Poi spalancò ancora di più gli occhi. Intorno a quei cosi d'argento c'erano molti uomini! Uomini come lui. Erano vestiti meglio e avevano strane pentole di metallo in testa, ma erano indubbiamente uomini. Armati. E poi c'erano diversi veicoli che trasportavano avanti e indietro gli uomini, muovendosi su ruote grosse e cedevoli.
Una banda di razziatori invade il nostro territorio, pensò Furetto. Devo avvertire Billy-Joe. Ma lui vorrà sapere quanti sono gli uomini e che genere di armi portano.
Tutte le fibre del corpo minuscolo e nervoso di Furetto lo spingevano a scappare, nascondersi nei boschi, lontano da quei minacciosi stranieri. Ma gli pareva di vedere la faccia di Billy-Joe se il suo rapporto non fosse stato esauriente. E quando Billy-Joe cominciava ad arroventare il coltello sul fuoco, tutte le altre paure svanivano dalla mente di Furetto, anche se non aveva mai subito personalmente la punizione.
Deglutendo a fatica, fin quasi a soffocare, uscì dal riparo del tronco, strisciando lentamente verso uno degli edifici di cemento, più vicino al posto dove si trovavano gli invasori. Gli pareva che fossero passate ore, ma le ombre gettate dal sole non si erano quasi mosse quando arrivò all'angolo della costruzione.
I membri della banda di invasori si erano sparpagliati in modo da formare uno scudo protettivo intorno agli strani oggetti d'argento. I veicoli continuavano ad andare avanti e indietro. Gli uomini avevano armi pesanti, grosse, a canna lunga. Furetto moriva dalla voglia di averne una anche lui. Forse Billy-Joe gliene avrebbe lasciata prendere una come premio per avere attirato gli invasori nell'imboscata.
Furetto si passò la lingua sulle labbra e ricordò che la sua unica arma era un coltello da caccia; per di più con l'impugnatura svitata e traballante. Decise quindi di aver visto abbastanza. Era ora di tornare a riferire.
Mentre si voltava strisciando per allontanarsi una sventagliata di mitra crepitò dietro di lui. Dall'angolo del muro si staccarono frammenti di cemento e Furetto si appiattì sull'erba.
Kobol rimase sorpreso quanto Alec. Anche tutti gli altri s'immobilizzarono, stupiti.
— Cos'è stato? — chiese Kobol facendo inconsciamente un passo verso la navetta.
Alec si portò il microfono alla bocca. — Qui Morgan. Chi ha sparato, e perché?
— Kurowsky — gli rispose una voce nell'auricolare. — Ho visto qualcosa muoversi accanto alle costruzioni sulla sinistra.
— Un uomo? L'hai colpito?
— Non lo so. Era qualcosa… Adesso non lo vedo più.
Anche Kobol aveva ascoltato. — Forse era un animale — disse a Alec. — Ce ne sono di tutte le specie da queste parti.
— Kurowsky, dove ti trovi? — chiese Alec.
— Nella posizione assegnata. Cento metri dalla navetta, sul lato sinistro. Non c'è molta copertura, qui, sono sdraiato bocconi in una specie di fossatello coi bordi di cemento.
— È un canale di scolo per la pioggia — spiegò Kobol.
— Va bene. Resta dove sei — ordinò Alec. — Gli altri arriveranno fra poco con le armi più pesanti. Se vedi ancora qualcosa spara solo se ti sembra ostile. Non sprecare munizioni. Ma avvertimi immediatamente.
— Sissignore.
— Voglio che quegli edifici vengano perquisiti — disse Alec a Kobol.
— Provvederò perché lo facciano tutti gli uomini disponibili.
— Dopo aver disposto i camion lungo il perimetro, possiamo fare a meno di metà degli uomini dotati di armi pesanti.
— Ma sono solo sei.
— Sono gli unici disponibili. Guiderò io la perquisizione non appena saranno sistemate le armi lungo il perimetro.
Alec si avviò verso la postazione di Kurowsky lasciando a Kobol la sorveglianza della sistemazione delle armi. Gli edifici erano bassi, grigi e con fori per finestre. Da quello principale svettava una torretta smozzicata e bruciacchiata. Lì dentro potrebbero nascondersi un centinaio di uomini, pensò Alec. E un altro migliaio tra quelle colline.
Kurowsky, sdraiato nel canale di scolo, stringeva fra le mani il fucile automatico. Alec scese strisciando e si portò vicino a lui.
— Visto altro?
— Non ne sono sicuro. Qualcosa si è mosso laggiù per qualche istante. Ma si allontanava e non camminava come un uomo.
— Va bene. Fra poco sarà pronta una squadra che perquisirà quegli edifici. Intanto noi due staremo qui a sorvegliare la zona.
Non era sgradevole starsene lì sdraiati, e Alec cominciò a provare dell'affetto per quel mondo enorme che si chiamava Terra. La brezza sussurrava e sospirava. Ricordi di vecchie poesie imparate a scuola cominciarono ad avere per la prima volta un senso. E oltre ai sospiri e ai sussurri della brezza c'erano anche altri rumori. Alec sapeva che gli uccelli cinguettano e gli insetti ronzano, ma non li aveva mai sentiti.
— Ecco… Là!
Kurowsky indicava un punto vicinissimo al suo naso. Un insetto camminava frettolosamente in mezzo all'erba.