— Non sono sicuro di volerlo fare.

— Non sei sicuro? Cosa diavolo intendi dire con questo? Non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca. O stai con noi, o contro di noi. Qui non si può essere neutrali. Hai appena detto che sei dei nostri.

— Non l'ho detto!

— E allora vuol dire che sei contro di noi! — tuonò Douglas.

Will gli pose una mano sulla spalla. — Calmati, Doug… aspetta un…

Ma Douglas si liberò con uno strattone e si alzò imitato subito da Alec, che gli arrivava appena alle spalle.

— E adesso ascoltami bene, figliolo — disse Douglas con voce bassa e minacciosa. — Ti ho lasciato rimanere qui a fare niente, a riempirti la pancia, a stare al caldo e al riparo per tre mesi. Tu, dietro le mie spalle, hai fatto il tuo comodo con quella che per me è una figlia. Ho chiuso un occhio, e finora non ho detto niente. E adesso cosa ti chiedo in cambio? Niente, niente di niente, salvo un briciolo di lealtà. E tu rifiuti?

Fremendo di rabbia, Alec rispose con una voce tanto bassa e soffocata che lui stesso riusciva appena a sentirla: — Hai ragione. Rifiuto.

— E allora vattene! — gridò suo padre indicando la porta. — Prendi la tua roba e sparisci!

— È proprio quello che sto per fare.

Alec si avviò alla porta. Tutti lo guardavano ammutoliti, e Will aveva l'aria di stare peggio di quando gli avevano sparato.

— Un momento — lo richiamò Douglas. — Puoi prendere tutto quello che vuoi, meno Angela. Non sei degno di lei, anche se sei stato abbastanza abile da farle perdere la testa.

— Prenderò quello che mi pare — disse Alec.

— Provati a portare via Angela e ti farò inseguire e uccidere come un animale. Te lo prometto!

20

Cieco di rabbia, Alec uscì nella notte gelida. Passando davanti alla casa di Angela vide le luci accese e scorse nell'interno un gruppo di donne che ridevano e chiacchieravano preparando la colazione.

Proseguì. Dopo avere frettolosamente radunato le sue poche cose e sellato il cavallo, si avviò alle prime luci dell'alba sotto un cielo cupo come i suoi pensieri.

Cavalcò per tutto il giorno e si accampò sulle colline, sotto un folto di abeti. I loro rami facevano un fuoco che bruciava rapidamente ma che dava ben poco calore. All'alba del giorno dopo si svegliò intirizzito fino alle ossa. E affamato.

L'unica arma in suo possesso era il fucile automatico che aveva già con sé al suo arrivo alla base. Era pesante e di difficile impiego contro la selvaggina minuta. E Alec scoprì ben presto che la sua mira non era abbastanza precisa per colpire un coniglio o un piccolo roditore che correva sul terreno gelato. Si trovava di fronte a un angoscioso dilemma: per catturare un coniglio doveva scaricargli addosso tutto un caricatore, augurandosi inoltre di non ridurre l'animale in brandelli. Ma questo significava consumare in un paio di giorni tutta la scorta di munizioni.

Il terzo giorno cominciò a nevicare. Era una violenta bufera che ululava nei boschi e azzerava la visibilità. Alec ebbe la fortuna di trovare una caverna e legna secca sufficiente per accendere un fuoco che durò tutta la notte. Anche il cavallo aveva bisogno di calore. Non c'era foraggio, e l'animale andava rapidamente indebolendosi. Alec pensò di abbatterlo, per poi mangiarlo, ma così si sarebbe ritrovato solo, a piedi in quella landa desolata coperta di neve.

Restò due giorni bloccato nella caverna dalla bufera. Senza cibo, senza fuoco, senza niente oltre al puzzo del cavallo e all'ululato del vento. Quando la bufera cessò e tornò l'azzurro, il mondo era completamente coperto da una coltre di neve. La neve aderiva ai tronchi degli alberi e sui rami scintillava come un cristallo ai primi raggi del sole. Il vento ne aveva ammucchiata all'imbocco della caverna fino all'altezza del petto, e al di là, il terreno era una distesa ondulata, uniforme, tutta bianca.

Alec ne ammirò per qualche minuto la bellezza. Poi la fame e la paura di morire lo spinsero fuori nel freddo abbraccio della neve.

Il cavallo morì quella mattina. Cadde sotto di lui con un fremito e un lamento e si accasciò nella neve. Alec sentì il calore della vita spegnersi nel corpo della bestia. Adesso era completamente solo. Non c'era anima viva in vista. Non esistevano punti di riferimento per indicargli una direzione. Non aveva più speranza. Rimase fermo nella neve che gli arrivava alle cosce, fradicio e tremante di freddo, disperazione e paura.

Guardò la carcassa del cavallo, gingillandosi con l'idea di tagliare qualche pezzo di carne per mangiarlo crudo, ma non riuscì a farlo. Dormire, pensò. È di questo che ho bisogno. Sonno e riposo.

E poi il vento sospirò, e gli alben gli cantarono in coro: Dormi… sì, dormi.

Ma poi, da un recesso della sua memoria emerse un frammento di poesia che ignorava di sapere. Gli si presentò spontanea alla mente, e lui si drizzò e la mormorò fra sé. Quindi gettò la testa all'indietro, allargò le braccia e la gridò agli alberi e al vento: — Dormire! Sognare, forse sì, questo è il problema. Perché nel sonno della morte quali sogni possono giungere…

Il sonno della morte. Alec ripeté fra sé. E chinandosi in avanti si fece strada in mezzo alla neve. Fu una battaglia dura, estenuante, tanto contro se stesso quanto contro gli elementi. Freddo, fame, stanchezza. Con ferrea volontà ignorò i muscoli che protestavano e lo stomaco vuoto, e continuò ad andare avanti. Ci sono alcuni villaggi da queste parti. Guarda se scorgi del fumo, o magari una strada.

Trovò prima una strada. Riuscì a intravvederla a malapena, perché non c'era niente che la distinguesse dal resto del paesaggio fatta eccezione per due solchi appena visibili dove erano passate alcune slitte. Alec continuò a trascinarsi, cercando di avanzare in discesa, lontano dalla base e verso il fondovalle dove c'erano cascine e villaggi.

Era quasi buio quando finalmente raggiunse un villaggio. Se non era quello che avevano occupato qualche mese prima, era il suo gemello. Poi vide il vecchio seduto davanti al cancello, riconoscibile anche nel pesante giaccone e col berretto calato fino agli occhi. Con lo stesso fucile posato in grembo.

Non scambiarono una sola parola. Alec stava fermo vicino al cancello, con le ginocchia tremanti e le mani che faticavano a reggere il fucile, ansimando, intorpidito dal freddo. Il vecchio gli stava davanti, col fucile in mano, incerto sul da farsi, col viso arrossato sotto gli ultimi raggi del sole.

Infine si strinse nelle spalle, si voltò ed entrò nel villaggio facendo segno ad Alec di seguirlo. Alec gli tenne dietro barcollando lungo le viuzze gelide e deserte dove i passi degli abitanti avevano trasformato la neve in un gelido strato uniforme.

Il vecchio lo accompagnò fino a una capanna. — Lì — disse con una voce roca, arrugginita dagli anni.

Alec spalancò la porta. La prima cosa che percepì fu il calore del fuoco che gli bruciò la faccia. Poi vide due uomini seduti al tavolo che lo guardavano stupiti, e una zuppiera fumante.

Alec ebbe il tempo di accorgersi che quelli erano due dei suoi uomini, prima di crollare svenuto sul pavimento di terra battuta.

Per due giorni lo rimpinzarono di cibo caldo e lo lasciarono riposare sul loro giaciglio. Per miracolo Alec non si era buscato una polmonite. Se l'era cavata con un leggero congelamento, per cui bastarono nutrimento, caldo e riposo per rimetterlo in sesto.

Gli uomini, Zimmermann e Peters, avevano deciso di rimanere nel villaggio quando le forze di Alec si erano disperse. Il grosso si era unito alla banda di Will Russo, dopo avere saputo che Alec era prigioniero di Douglas. Jameson e pochi altri si erano diretti verso sud. Nessuno sapeva cosa ne fosse stato di Furetto. Era semplicemente scomparso. Poco a poco Alec si rese conto che Zimmermann e Peters vivevano insieme come amanti. Dapprima ne rimase sorpreso, sebbene l'omosessualità fosse diffusa nella colonia lunare, ma dopo qualche giorno fu più che altro imbarazzato. Avrebbe voluto andare a starsene per conto suo in un'altra capanna.


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