— Dovrei scappare o nascondermi? Senti, cose del genere sono già successe. Il primo inverno io e Douglas…
— Non avete mai avuto a che fare con un esercito così numeroso — lo interruppe Alec. — E sarà meglio armato di qualsiasi banda si sia raccolta da quando è bruciato il cielo.
— Uhm… Bene. È questo che volevi dirmi?
— Voglio che tu te ne vada prima che inizi la battaglia. Porta con te Angela. Non voglio che voi due vi troviate nel mezzo.
— Lasciare Douglas? Né io né lei lo faremmo mai.
— Devi! — insisté Alec. — Non sei più in grado di aiutarlo. È lui il motivo della battaglia, è lui che vogliono. Se potessimo catturarlo senza mettere a repentaglio le vostre vite…
Ma Will scrollò la testa. — Non capisci, Alec. Io non posso lasciare Douglas. Piuttosto mi taglierei un braccio. Siamo amici, anzi più che amici, fratelli.
Alec non fece commenti.
— È per Angela che ti preoccupi, vero?
— Sì.
— Anche lei è preoccupata per te. È rimasta molto male quando te ne sei andato senza dirle una parola. Se avesse saputo che partivi sono certo che sarebbe venuta con te.
— Proprio per questo non gliel'ho detto.
— Be', ormai quello che è stato è stato. Adesso puoi stare certo che non vorrà muoversi. Non lascerebbe mai Douglas, e meno che mai in un momento come questo… A meno che …
— A meno che cosa?
Will rispose sorridendo: — Be', forse se tu tornassi alla base e ci aiutassi a sbaragliare la banda di Kobol, e le cose si mettessero male, allora forse si lascerebbe persuadere a rifugiarsi in un posto sicuro.
Alec lo guardò. Questo è un ricatto sentimentale, pensò, e lui è convinto di quello che dice.
— Will — disse senza acredine, — ti rendi conto che io non posso combattere al fianco di Douglas?
— Oh, non saprei. Ci sono molte cose di cui tu non ti rendi ancora conto. Lui ha fatto l'impossibile, per anni, per indurre quelli della colonia lunare a essere ragionevoli. Non è vero che di punto in bianco ha deciso di andarsene per crearsi un regno qui sulla Terra. È stato spinto a farlo. Da Kobol e dagli altri.
— Quali altri?
— Gli altri membri del Consiglio. Douglas fu esautorato proprio da quelli di cui più si fidava. E che amava di più.
— E cioè mia madre.
Will annuì, serio. — Alec, probabilmente tu non mi crederai, e forse finirai persino per odiarmi, ma… be', perdio, tua madre ha spinto Douglas a fare quello che ha fatto. Lei sapeva che non aveva scelta. Non gli ha lasciato niente per cui valesse la pena di tornare, e lo sapevano benissimo tutti e due quando lui è partito. Tua madre non voleva che tornasse.
Un duro senso di gelo s'impossessò di Alec. — Hai ragione — disse con una calma mortale. — Non ti credo.
Will abbozzò un gesto d'impotenza con le grosse mani. — Eppure è la verità.
— Sarà quello che ti ha raccontato lui, ma non la verità. Non ci credo e non ci crederò mai.
— È… è ingiusto!
— C'è una cosa che devi sapere, Will. Io non mi limito a unirmi a Kobol. Sarò io a comandare.
— Lo temevo.
— Perché?
— Perché verrà il momento che cercheremo di ucciderci a vicenda. E siamo amici.
— Proprio per questo vorrei che tu te ne andassi, e portassi con te Angela.
— No, non lo posso fare. Anche Douglas è mio amico. Ed è tuo padre.
— Sono in procinto di combattere contro di lui. Non mettermi i bastoni fra le ruote. Non cercare di proteggerlo.
Tristemente, a voce talmente bassa che Alec poté a malapena sentire, Will disse: — Non costringermi a scegliere fra te e lui. Perderesti.
— Abbiamo già fatto le nostre scelte — dichiarò Alec. — Vent'anni fa, per la precisione.
23
Sebbene il raduno fosse stato accelerato al massimo, ci vollero alcune settimane perché l'esercito di Kobol riunisse tutte le sue diverse componenti in una valle al limitare del territorio di Douglas.
Alec non aveva mai visto tanti uomini insieme. Stava sulla sommità di una collina, la più alta della zona, sotto un acero che stava rivestendosi del fogliame e osservava l'imponente distesa di camion, jeep, cavalli, carri e uomini.
— Dovrebbero bastare per conquistare tutto il mondo — disse Ron Jameson che gli stava accanto.
— Non mi piace che siano tutti radunati nello stesso posto — osservò Alec. — Se gli esploratori di Douglas li vedono, e se dispongono di armi atomiche o aerei…
— Abbiamo intercettato tutte le sue pattuglie, finora — rispose con calma Jameson. — E non credo che al mondo esistano ancora aeroplani e testate nucleari.
— Ne basterebbe una.
— Fra due giorni saremo in grado di muoverci — disse Jameson stringendosi nelle spalle. — Credo che ce la faremo a evitare che gli uomini di Douglas ci scoprano.
— Fra due giorni?
— Sì. Gli uomini hanno fatto una faticata per arrivare qui. Adesso hanno bisogno di riprendere fiato, di approntare le armi, e di imparare gli ordini di combattimento.
Così mi restano due giorni per trattare con Kobol, pensò Alec.
— Se ci fermassimo qui per più di due giorni — continuò Jameson, — le varie bande che compongono questo valoroso esercito comincerebbero a combattersi fra loro. Non corre buon sangue, giù nella valle.
Alec annuì. — Mettiamoci al lavoro.
Era ormai notte avanzata quando Alec poté finalmente andare da Kobol, che si trovava virtualmente agli arresti in una delle numerose caverne che si aprivano sui fianchi delle colline.
La caverna in questione aveva le pareti inclinate e il tetto a volta da cui pendevano stalattiti di tutte le misure. L'unico ingresso era un angusto tunnel che consentiva il passaggio di una sola persona per volta. Alec aveva posto una sentinella alle due estremità del budello.
Kobol era seduto su una vecchia branda cigolante con la gamba sana ripiegata sotto di sé e la testa china, intento a scrivere su un foglio che teneva in grembo. Alec vide che la branda era cosparsa di altri fogli coperti dalla sua scrittura.
— Buonasera — disse.
Kobol si limitò ad alzare un attimo la testa inarcando un sopracciglio, e si rimise a scrivere.
— Non ti ho ancora detto una cosa — riprese Alec.
— Oh — disse lui senza alzare la testa.
— So dove Douglas tiene i materiali fissili.
Kobol smise di colpo di scrivere.
— Voglio che tu ti metta a capo di una squadra speciale per andarli a prendere prima che Douglas abbia la possibilità di distruggerli.
Kobol si rizzò a sedere, respinse il foglio e allungò le gambe, e Alec ebbe l'impressione di vedere un serpente che snoda le spire.
— Credi che potrebbe sabotarli? — chiese Kobol.
— Può darsi. Potrebbe anche innescarli con esplosivo o sistemarli in modo da provocare una deflagrazione nucleare che distrugga tutto.
Kobol aggrottò la fronte passandosi un dito sui baffi. Alec avvicinò l'unica sedia alla branda, e vi si sedette a cavalcioni.
— Tu conosci quei materiali meglio di chiunque altro di noi. È un lavoro rischioso ma necessario. Sei disposto a farlo?
— Se accetto — rispose Kobol con un mezzo sorriso, — sarò a capo di una piccola squadra suicida e niente più, mentre tu guiderai il grosso dell'esercito. Se avrò successo, sarò vittorioso ai tuoi ordini. In caso contrario tu ti sbarazzerai di un nemico.
— Se fallirai ci sbarazzeremo l'un dell'altro e di tutti.
— E la colonia morirà per mancanza di materiali fissili.
— Già.
— Sappi che non ho cambiato idea: quando tornerò sulla Luna ti accuserò comunque di tradimento.
Alec si permise di sorridere.
— Non credi che sarebbe piuttosto difficile dimostrarlo, se porterai i materiali?
— Lo dimostrerò.
— E allora provaci.
Kobol rimase per un attimo interdetto, poi si contrasse come se fosse pronto a scattare. — Se accetto e riesco a impadronirmi dei materiali, mi prometti che tornerò sano e salvo sulla Luna?