— Allora cosa propone il tuo genio militare? — Quando Kobol era irritato la sua voce nasale diventava stridula.
Alec lo guardò. — Noi abbiamo il vantaggio del numero. Approfittiamone. Attaccheremo su un fronte largo, costringendo le forze di Douglas ad assottigliarsi per difendersi su un'area così vasta. Aggireremo gli avamposti e le postazioni fortificate, e…
— E ci faremo ridurre a pezzetti! — objettò Kobol.
— No. È impossibile. So di quali armamenti dispongono. Non più di dieci caricatori per le mitragliatrici pesanti. Spareranno finché avranno munizioni, poi o si arrenderanno o usciranno allo scoperto attaccandoci in piccoli gruppi, o resteranno dove sono in attesa che noi andiamo a snidarli.
Kobol non disse niente, ma continuava a scrollare la testa.
— Gli avamposti sono in grado di avere la meglio contro attacchi di pochi uomini — proseguì Alec, — o contro attacchi così concentrati che basterebbero pochi colpi ben centrati per avere la meglio sugli assalitori. Ma un attacco condotto su un fronte ampio, da parte di uomini che si tengono distanziati e lontani il più possibile dagli avamposti, avrà sicuramente successo.
— Mi pare che sia un'idea sensata — mormorò uno degli aiutanti di Kobol.
— Se ha detto la verità sulla quantità di munizioni di cui dispongono.
— Sono sicuro di quello che ho detto — dichiarò brusco Alec. — Se vuoi assicurartene puoi attaccare un paio degli avamposti più vicini la notte prima della battaglia decisiva. Quanto agli altri, quelli situati nel cuore del territorio di Douglas, dovremo aggirarli.
Kobol tornò a scrollare la testa. — Non mi va di lasciarmi alle spalle sacche di truppe nemiche, armate e in grado di…
Alec batté il pugno sul tavolo. — Maledizione, qual è il tuo obiettivo? Catturare gli avamposti in cima alle colline o la base di Douglas? Noi siamo qui per questo! — Puntò un dito sulla base indicata sulla mappa. — Se perdiamo tempo a conquistare una collina per volta, lui potrà dissanguarci e tenerci in scacco per tutta l'estate mentre raccoglie rinforzi nelle campagne. E con l'arrivo dell'autunno saremmo circondati e a corto di viveri. Dobbiamo colpire presto e una volta per tutte. Qui — concluse tornando a indicare la base.
— E gli uomini degli avamposti se ne staranno con le mani in mano a guardarci passare?
— Sì — insisté Alec. — Non sono più di una decina per ogni postazione. Venti al massimo. Ma armati fino ai denti. Se ci proviamo ad attaccarli possono trattenerci finché Douglas non manda rinforzi sul posto. Se invece li aggiriamo cosa possono fare una ventina di uomini contro un esercito? Se lasciano la postazione per attaccarci saranno ridotti in brandelli.
— Ma hanno l'artiglieria.
— Dopo mezz'ora di combattimento, avranno finito le munizioni.
— Basterebbe per mettere fuori combattimento un bel po' di mezzi e di uomini.
— No, se ci muoviamo rapidamente e stiamo sparpagliati.
— Non so… — Kobol era incerto.
— Lo so io — dichiarò con fermezza Alec. — Faremo come ho detto. Possiamo vincere in fretta e con poche perdite — e fra sé aggiunse: e io posso raggiungere Angela prima di chiunque altro.
— Non sta a te decidere — asserì Kobol fissandolo.
— Sì, invece.
Allargando le mani sulla mappa come a sottolineare la sua supremazia, Kobol dichiarò: — Non vorrai ancora presumere di essere…
— Sono io il comandante — ribatté Alec. — Nessuno mi ha tolto il comando. Tu devi prendere gli ordini da me, Martin.
Kobol cercò di ridere, ma la risata gli morì in gola. Torse la bocca e guardò gli uomini che gli sedevano a lato.
Alec non disse niente. Per un lungo minuto rimasero a fissarsi in silenzio.
— Credo che il piano di Alec funzionerà — disse Jameson dalla soglia. Stava girato di tre quarti, con una mano sulla fondina della pistola appesa al cinturone.
— I miei uomini non ti conoscono — disse Kobol ad Alec. — Si rifiuteranno di prendere ordini da te.
— Conoscono me — disse Jameson con voce atona. — Mi seguiranno ovunque li porterò.
Kobol lo incenerì con lo sguardo ed emise un sospiro di rabbia repressa. — Dunque, le cose stanno così — sibilò.
— Sì, stanno proprio così — rispose Jameson, calmo come un falco che si prepara a calare sulla preda.
— Per evitare malintesi — intervenne Alec, — penso sia meglio che tu resti con me, Martin, finché l'esercito non arriverà qui. Ron, tu tornerai col battello e assumerai il comando delle truppe.
Il lampo di un sorriso illuminò la faccia di Jameson. — Alec, tu conferisci a quegli uomini più dignità di quanta non ne meritino. Non sono truppe ma solo una grossa banda, restìa a ogni tipo di disciplina. Vengono con noi solo perché sono attirati dall'idea del bottino. Combatteranno secondo i tuoi ordini, Alec, ma poi non sperare che mantengano la disciplina.
— Chiamali pure come vuoi — disse Alec, — basta che tu li porti qui. E appena il terreno sarà abbastanza asciutto sferreremo l'attacco.
— E quando tornerai sulla Luna sarai condannato a morte! — sibilò Kobol. — Penserò io a far firmare a tua madre la condanna!
Alec gli sorrise. — Sempre che tu ci torni sulla Luna, Martin.
22
La pioggia cadeva fitta, senza soste, portata da un vento freddo che faceva intirizzire. Il terreno sotto gli zoccoli del cavallo era una distesa di melma che ostacolava il cammino. Il cavallo era grosso, robusto, resistente, ma Alec sapeva che non sarebbe riuscito ad andare avanti ancora per molto senza riposarsi, e tuttavia continuava a spronarlo. Pur essendo protetto da un giaccone di cuoio col cappuccio, l'umidità gli era penetrata fin nelle ossa.
Sbirciando attraverso la pioggia e la foschia, vide che il torrentello che stava seguendo si era trasformato in un impetuoso corso d'acqua torbida che trascinava con sé rami, sterpi e altri detriti.
Non potremo guardarlo, pensò.
— Ehilà! — gridò una voce nota.
Alec si voltò sulla sella viscida, e vide uscire lentamente dalla foschia la sagoma massiccia di Will Russo che guidava passo passo un cavallo sul terreno scivoloso.
— Come hai fatto a guadare il torrente? — fu la prima cosa che gli chiese.
— Oh, più a monte. Là non è così grosso.
Alec smontò di sella e gli andò incontro.
— È guarita la tua ferita? — chiese.
Will annuì, e una ciocca di capelli rossi imperlati di pioggia gli scese sulla fronte. — Oh, certo, sono guarito da mesi, ormai. Sono andato a Utica e ho trovato intatto il deposito di whisky. E tu?
— Sto bene anch'io.
— Senti. Un po' più a monte c'è una caverna. Togliamoci da questa umidità.
Camminarono per qualche minuto tirandosi appresso i cavalli, fino alla caverna che, come poté notare Alec vedendo che le pareti erano ben levigate, non era un anfratto naturale ma una cavità artificiale. Prese mentalmente nota della posizione e delle dimensioni.
— Ho ricevuto con piacere il messaggio che mi ha portato il tuo esploratore — disse Will quando si furono messi al riparo. — Ero preoccupato per te, sai.
— Non c'è niente qui per accendere il fuoco — disse Alec sbottonandosi la giacca.
— Non importa. — Will frugò nelle tasche del suo voluminoso giubbotto. — Ho portato un po'… ah, eccolo! — e tirò fuori una bottiglietta verde. — Ti ho portato un po' di whisky.
Bevvero alcune sorsate e subito Alec si sentì meglio.
— Bene — disse poi Will come se stessero facendo conversazione in salotto. — Di cosa vuoi che parliamo? Non del tempo, credo.
— Oh, no! — rispose Alec ridendo. Poi, più serio: — Sai cosa succederà quando il fango si sarà asciugato, vero?
Will cercò di non sorridere più, ma ci riuscì solo in parte. — Sì. Kobol sta raccogliendo una masnada di banditi e di vagabondi per portarli qui e attaccarci. Non è la prima volta che succede!
— Non devi prenderla così alla leggera! — lo rimproverò Alec.