— Non eccitarti — disse Bill. — Io sono con te.

— E tu,Gaby?

— Io vado dove vai tu. Lo sai.

— Bene. Ecco il mio piano. A ovest, in direzione di Oceano, c’è un cavo inclinato. Però il fiume scorre nell’altro senso, e potremmo usarlo come via di comunicazione. Forse arriveremo anche prima all’altro gruppo di cavi senza dover attraversare la giungla. Quindi penso che dovremmo andare a est, verso Rea.

— Calvin ha detto di stare alla larga da Rea — osservò Bill.

— Non ho detto che sia necessario arrivarci. E poi la notte perenne è senz’altro peggio del giorno perenne, per cui non ho nessuna voglia di sperimentarla. Ma da qui a Rea c’è di mezzo un bel po’ di spazio. Potremmo dare un’occhiata.

— Ammettilo, Rocky. In cuor tuo hai l’animo del turista.

Cirocco sorrise. — Touchée. Ma pensaci un po’. Ci troviamo in questo posto incredibile, sappiamo che esistono una decina di razze intelligenti, e cosa facciamo? Ce ne stiamo qui a far niente. Be’, non è da me. A me piace esplorare. Amo l’avventura. Ci pagavano per questo, no?

— Dio mio — mormorò di nuovo Gaby con un inizio di risata. — Cos’altro ci chiederai ancora? Non ci è già successo abbastanza?

— Il mio piano è: partiamo e seguiamo il corso del fiume. Dopo il prossimo periodo di sonno, magari. Mi sembra di essere quasi drogata.

Bill rifletté un attimo. — Credi che sia possibile? Che ci sia qualcosa nei frutti?

— Eh? Bill, tu hai letto troppa fantascienza.

— Senti, tu lasci stare i miei gusti di lettore e io non dirò niente delle tue preferenze per i vecchi film in bianco e nero.

— Ma quella è arte… Comunque, forse abbiamo mangiato qualcosa che fa da tranquillante, ma secondo me è solo pigrizia bella e buona.

Bill cercò con le mani una pipa che non esisteva. Se n’era dimenticato di nuovo.

— Ci vorrà un po’ per costruire una zattera — disse.

— E a cosa serve una zattera? Non ricordi quei baccelli che vediamo sempre passare sul fiume? Sono grandi abbastanza da contenere tutt’e tre.

Bill fece una smorfia. — Già, sono grandi, ma credi che possano resistere a una corrente forte? Vorrei esaminare per bene il fondo, prima di partire…

— E tu credi che una zattera sarebbe meglio?

Bill parve sorpreso, poi depresso.

— Sai, forse il drogato sono io. All’arrembaggio, capitano.

10

I baccelli crescevano sulla cima degli alberi più alti. Ogni albero ne produceva uno solo per volta, e quando arrivava a maturazione esplodeva col rumore d’una cannonata. Li avevano sentiti scoppiare a lunghi intervalli. Dopo l’esplosione restava qualcosa che sembrava un enorme guscio di noce, diviso in diverse sezioni.

Ne videro passare uno sul fiume, si gettarono a nuoto e lo portarono a riva. Vuoto, galleggiava benissimo. Pieno, teneva ancora egregiamente l’acqua.

Impiegarono due giorni a caricarlo e a costruire un timone rudimentale, ricavato da un lungo palo con una grossa lamina attaccata sul fondo. Intagliarono anche tre rozzi remi, uno per ognuno di loro, per i casi d’emergenza.

Spinta l’imbarcazione in acqua, Cirocco si sistemò a poppa e prese il comando del timone. Si alzò una brezza leggera, e lei desiderò intensamente di avere ancora i suoi capelli, per poterli sentire carezzarle la faccia.

Gaby e Bill, eccitati, dimenticarono la loro animosità. Seduti ai due lati dell’imbarcazione lanciavano richiami a Cirocco.

— Facci sentire un canto di mare, capitano! — urlò Gaby.

— Eh no — disse lei ridendo. — Il capitano non si abbassa a cantare. È l’equipaggio sempliciotto che canta. Mai visto La strega del mare?

— Mai sentito. L’hanno già dato alla Tre-D?

— Si tratte di un vecchio film con John Wayne. La sua nave si chiamava così.

— Pensavo che fosse il nome del capitano. In questo caso ti saresti già trovata il soprannome.

— Statti accorto, o ti farò fare una passeggiata fuori bordo.

— E a questa che nome diamo, Rocky? — chiese Bill.

— Ehi, dovremmo darle un nome, vero? Ho perso tanto tempo a cercare lo champagne per il varo che me ne sono scordata.

— Non parlarmi di champagne — brontolò Gaby.

— C’è qualche suggerimento? C’è in ballo una promozione.

— Io so che nome le avrebbe dato Calvin — disse Bill.

— Non parlarmi di Calvin.

— A parte lui, finora abbiamo usato sempre la mitologia greca. Questa barca dovrebbe chiamarsi Argo.

Cirocco era dubbiosa. — Era in quella storia del vello d’oro, no? Mi ricordo il film.

— Ma noi non cerchiamo niente — disse Gaby. — Sappiamo benissimo dove vogliamo arrivare.

— E allora… — Bill si mise a riflettere. — Pensavo a Ulisse. La sua nave aveva un nome?

— E chi lo sa? Il nostro esperto di mitologia se n’è andato con quel pallone gonfiato. Comunque l’idea non mi va. Ulisse ha avuto solo un sacco di guai.

Bill ghignò: — Superstiziosa, Comandante? Non l’avrei mai creduto.

— E allora io voto per chiamare Titanic la nostra barca. Mi pare che sia un nome più che adatto a te.

— Già, una nave che è colata a picco subito.

— Titanic mi piace — disse Gaby. — Anche se questo è solo un enorme guscio di noce.

Cirocco alzò gli occhi, pensosa. — Così sia, dunque. Vada per Titanic. E che il viaggio sia lungo e fortunato.

L’equipaggio lanciò tre urrà, e Cirocco s’inchinò con un sorriso.

— Lunga vita al capitano — urlò Gaby.

— Ehi — disse Cirocco — non dovremmo dipingere il nome sul parabordo o quello che è?

— Sul cosa? — Gaby aveva un’aria terrorizzata.

— Tanto vale che ve lo dica. Di imbarcazioni non so proprio niente. C’è qualcuno che è pratico di navigazione?

— Io, un po’ — rispose Gaby.

— Allora ti nomino pilota. Vieni a prendere il mio posto.

Cirocco lasciò il timone, si stese sul fondo del baccello, mise le mani sotto la testa e chiuse gli occhi. — Devo prendere decisioni importantissime — disse, con uno sbadiglio. — Nessuno mi disturbi, a meno che non scoppi un uragano. — Si addormentò tra un coro di strepiti.

Il Clio era lungo, serpeggiante, lento. Al centro del fiume, i loro remi lunghi quattro metri non toccavano il fondo. Se li mettevano in acqua, sentivano cose che andavano a sbatterci contro. Non seppero mai di cosa si trattasse. Tennero il Titanic a metà strada fra il centro del fiume e la riva.

Cirocco aveva deciso che era meglio rimanere a bordo e sbarcare solo per procurarsi il cibo, un progetto che visse non più di dieci minuti.

Spesso l’imbarcazione si incagliava, e tutti e tre dovevano mettersi al lavoro per districarla dai fondali bassi. Impararono presto che il Titanic non era molto manovrabile. Occorrevano due persone ai remi per tenerla lontana dalle secche, mentre dovevano intervenire tutt’e tre, svegliando chi stava eventualmente dormendo, per disincagliarla dai fondali fangosi.

Decisero di accamparsi a riva più o meno ogni venti ore. Cirocco studiò i turni in modo che due di loro fossero sempre svegli mentre navigavano, e uno quando erano a terra.

Date le continue anse del fiume, a volte percorrevano pochissima distanza, magari solo mezzo chilometro in linea d’aria in un giorno. Avrebbero anche perso l’orientamento, se non ci fosse stato il cavo di sostegno che partiva da terra al centro di Iperione. Cirocco sapeva, dall’esplorazione aerea, che era molto lontano dal fiume Ofione.

Rappresentava il loro est, ed era sempre lì, immobile come un grattacielo mostruoso, ingoiato alla fine dalla volta ricurva. Cirocco sperava di potergli dare un’occhiata da vicino.

Dopo un po’, impararono a governare l’imbarcazione senza nemmeno avere bisogno di parlarsi. L’unica cosa importante era stare attenti alle secche. Gaby e Bill passavano quasi tutto il tempo ad abbellire i vestiti, lavorando con aghi di spine vegetali. Bill, inoltre, cercava di rendere sempre più confortevole l’interno del baccello.


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