— Certo — convenne Calvin. — Intanto io me ne vado in giro, a vedere se c’è ancora qualche sopravvissuto. Se i discendenti dei costruttori fossero in grado di fornirci una radio, ve lo faccio sapere subito e potreste tornare a casa.
— Non interessa anche a te? — gli chiese Cirocco. — Non vuoi andartene? Su, Calvin. Ci hai abbandonati, ma questo non significa che ti pianteremo qui.
Calvin fece una smorfia, e si rifiutò di proseguire la conversazione.
Prima che Finefischio ripartisse, Calvin fece lanciare col paracadute qualche sorrisone, per rifornirli di quel tessuto così prezioso. Gaby raccolse il paracadute e promise di vestire Cirocco come una regina. Cirocco accettò: bastava così poco per rendere felice Gaby.
E il Titanic riprese il suo viaggio, che ora aveva un senso d’urgenza. Dovevano trovare una razza abbastanza progredita da saper sterilizzare gli strumenti chirurgici, o comunque riuscire ad accendere il fuoco. Le cose che crescevano nei loro ventri non avrebbero aspettato.
Cirocco, nei giorni seguenti, continuò a chiedersi "cosa" si stesse formando dentro di lei. La sua ripulsa era simile a un pugno piantato nel suo stomaco. Molto del suo atteggiamento discendeva dall’ignota natura della bestia che aveva piantato in lei il suo seme.
In ogni caso, l’aborto sarebbe stato indispensabile. Già da tempo aveva deciso di avere figli solo dopo essere andata in pensione, a quaranta o quarantacinque anni. A O’Neil Uno aveva depositato una decina di cellule in sospensione criogenica. Quando si fosse sentita pronta, sarebbero state fecondate e trapiantate nel suo corpo. Era una precauzione ormai comune fra gli astronauti e i coloni lunari, per evitare che i tessuti riproduttivi venissero danneggiati dalle radiazioni.
La sua idea era di avere un figlio e una figlia più in là con gli anni.
Voleva essere lei a scegliere il momento. Che il padre fosse un umano che lei amava o una mostruosità senza forma degli oscuri meandri di Gea, era lei che voleva avere il controllo dei suoi organi riproduttivi. E ora, e per diversi anni, lei non era pronta. Senza aggiungere che Gea non era il posto per avere un figlio: aveva troppe cose da fare e un bambino sarebbe stato un problema gravoso. E lei, prima, voleva fare tutte quelle cose che s’era ripromessa di fare.
11
I cavi di supporto si presentavano a gruppi di quindici, uniti in file di cinque, o di tre.
Ogni zona notturna possedeva quindici cavi. C’era una fila di cinque cavi verticali che salivano fino all’imboccatura svasata di uno dei raggi di Gea. Due di questi cavi raggiungevano il suolo nella zona montuosa e praticamente facevano parte delle pareti del mondo artificiale, uno a nord e l’altro a sud. Un terzo spuntava a metà strada fra questi due, e gli ultimi due occupavano le zone di spazio intermedie.
Inoltre, le zone notturne possedevano altre due file, di cinque cavi ciascuna, che uscivano dai raggi ma toccavano terra nelle zone diurne: la prima inclinata di venti gradi a est, la seconda di venti gradi a nord rispetto ai cavi centrali. Dal raggio posto al di sopra di Oceano, ad esempio, scendevano cavi su Mnemosine e Iperione. Il gruppo di quindici cavi delimitava il terreno sotto uno spazio equivalente a quaranta gradi della circonferenza di Gea.
I cavi che partivano da una zona diurna, attraversavano la linea di confine e arrivavano in una zona notturna, avevano una certa angolazione rispetto al terreno. L’angolazione era di sessanta gradi circa nel punto in cui andavano a congiungersi con la volta.
Poi c’erano le file composte di tre cavi, che si trovavano esclusivamente nelle zone diurne. Erano cavi verticali; partivano dal suolo e scomparivano al di sopra delle loro teste. In quel momento il Titanic si stava avvicinando al cavo di mezzo della fila di tre.
Il cavo diventava sempre più impressionante di giorno in giorno. Non sembrava più inclinato, ma le sue dimensioni erano aumentate. Un conto è sapere che una colonna verticale ha un diametro di cinque chilometri e un’altezza di centoventi, un altro è vedersela sotto gli occhi.
Ofione formava una grande ansa attorno alla base del cavo, un’ansa che partiva da sud e andava verso nord; poi il fiume riprendeva a scorrere in direzione est. La cosa più noiosa di Gea era che anche da lontano si vedevano tutti i particolari del paesaggio. Avvicinandosi, il terreno sembrava appiattirsi fino all’incredibile, e la visuale diminuiva; però, guardando avanti, si scorgevano i segni della curvatura.
— Vuoi ricordarmi perché ci stiamo sobbarcando tutta questa fatica? — urlò Gaby a Cirocco, che la precedeva. — Non me ne ricordo più.
Il viaggio si stava rivelando molto più difficile del previsto. Prima avevano seguito il fiume, che formava una specie di autostrada naturale in mezzo alla vegetazione. Adesso si trovavano davanti una foresta davvero impenetrabile, e per tagliare la vegetazione avevano solo pochi attrezzi a disposizione. Per rendere il tutto ancora peggiore, il terreno diventava sempre più ripido.
— Nemmeno io mi diverto troppo — le gridò in risposta. — Ma sai che dobbiamo farlo. Tra un po’ dovremmo trovarci meglio.
Avevano già ottenuto informazioni utili. In primo luogo sapevano che si trattava davvero di un cavo, composto di trefoli intrecciati. I trefoli erano più di cento, e ognuno aveva un diametro di almeno duecento metri. Intrecciati fittamente, si dividevano l’uno dall’altro a mezzo chilometro di altezza dal suolo, e arrivavano a terra separatamente. La base del cavo era una foresta di torri enormi, moltiplicate all’infinito.
La cosa più interessante era che diversi trefoli erano spezzati. Sulle loro teste pendevano le estremità rotte di due trefoli.
Uscita dalla giungla più fitta, Cirocco vide che la sostanza gommosa posta sottoterra, la sostanza che teneva i cavi incollati al suolo, era uscita alla superficie. Formava un cono alla base di ogni trefolo, e i coni erano coperti di sabbia. C’era tutta una foresta di quei coni che svaniva fra le tenebre.
Il terreno che si frapponeva tra loro e il cavo era sabbioso, con macigni enormi disseminati tutt’attorno. La sabbia era di un rosso giallastro, e i macigni avevano contorni molto netti, senza tracce di erosione. Sembrava che fossero stati strappati dal suolo a viva forza.
Bill piegò la testa all’indietro per seguire il trefolo fino al soffitto traslucido.
— Che spettacolo — disse.
— Mio Dio — disse Gaby, riparandosi gli occhi con le mani. — Che spettacolo. Agli occhi dei nativi può sembrare proprio la corda che regge il cielo.
Cirocco si schermò gli occhi. — È ovvio che pensino che lassù vive Dio. Se esistesse un burattinaio che manovra questi fili…
Cominciarono a salire. All’inizio il suolo era compatto, ma più si arrampicavano più diventava cedevole. Era solo sabbia, asciutta in superficie e umida sotto. Impossibile camminarci sopra. Cirocco tentò di fare strada ma, a duecento metri dalla cima, cominciò a scivolare all’indietro. Perse la presa, e si ritrovò ai piedi della collinetta. Il cavo sembrava tanto vicino, eppure era impossibile raggiungerlo.
Imprecando, Cirocco batté il pugno sulla sabbia. — D’accordo — disse. — Arrampicarsi è impossibile. Però voglio dare un’occhiata. C’è qualcuno che se la sente?
Nessuno era particolarmente entusiasta, ma la seguirono nella foresta di trefoli. Ogni trefolo aveva alla base una montagnola di sabbia. Tra un collina e l’altra crescevano erbacce non troppo rigogliose. Mano a mano che si addentravano in quella foresta, l’oscurità aumentava. Il silenzio si fece quasi assoluto; si sentiva soltanto il gemito del vento, e un tintinnio come di campane invisibili. Sentivano il suono dei loro passi, il ritmo affannoso del respiro.
La sensazione comune era quella di essere in una cattedrale. Cirocco aveva già visto un posto simile quando si era trovata fra le gigantesche sequoie della California. Là tutto era verde ma non così silenzioso, ma la calma e la sensazione di solitudine che aveva provato era la stessa. Se si fosse imbattuta in una ragnatela, sapeva che sarebbe corsa a perdifiato fino a che non avesse raggiunto di nuovo la luce naturale.