(Chi è…)

"… e… un altro era… Bill."

(Cos’è quest’altro nome?) L’aveva sulla punta della lingua. La lingua è un pezzo di carne morbida che si trova nella bocca, che è…

Un momento fa lo sapeva, ma cos’è un momento?

Qualcosa che ha a che fare con la luce. Qualunque cosa questa sia.

Non c’era alcuna luce. Ma non era già stata lì? Ma sì, certo, ma non ci pensava, fermati un poco, non lasciare che i pensieri sfuggano. Non c’era luce, non c’era nient’altro. Già, ma cosa vuol dire nient’altro?

Nessun sapore. Nessun odore. Nessuna sensazione tattile. Nessuna percezione cinestesica del corpo. Nemmeno un senso di paralisi.

Cirocco! Si chiamava Cirocco.

Ringmaster. Saturno. Temi. Bill.

Le tornò tutto in mente all’improvviso come se lo rivivesse in un vivido secondo. Pensò che sarebbe impazzita a quel flusso di memorie e l’idea fece sorgere un altro ricordo, più lontano. Era già successo. Aveva già ricordato, e poi dimenticato. Era impazzita molte volte.

Sapeva che la presa che aveva sugli avvenimenti era flebile, ma era tutto quello che aveva. E adesso sapeva dov’era, conosceva la natura del suo problema.

Il fenomeno era stato studiato nel corso dell’ultimo secolo. Si chiude un uomo in una tuta di neoprene, gli si bendano gli occhi, gli si legano gambe e braccia in modo che non possa toccarsi, si elimina ogni rumore dall’ambiente, lo si lascia fluttuare nell’acqua calda, meglio ancora in caduta libera. Volendo, lo si nutre per via endovenosa e si eliminano tutti gli odori, ma non è indispensabile.

I risultati sono sorprendenti. Molti dei primi soggetti erano piloti collaudatori, uomini forti, decisi, sicuri. Ventiquattro ore di privazione sensoria li trasformavano in bambini docilissimi. Periodi più lunghi erano estremamente pericolosi: poco per volta la mente elimina tutte le distrazioni, il battito cardiaco, l’odore del neoprene, la pressione dell’acqua.

Cirocco conosceva quegli esperimenti, venti ore di privazione le aveva provate durante la preparazione per il viaggio. Cercò di respirare in fretta, di costringersi a tossire, ma non sentì niente. Allora decise di provare a muovere un muscolo, uno qualsiasi; bastava una smorfia della bocca. Doveva dimostrare a se stessa di non essere morta, come cominciava a temere.

Un’idea orribile. E se quella era la morte? Se la morte era una non-morte, una specie di vita eterna trascorsa in completa privazione sensoria? Era preferibile la pazzia. E se la gente non moriva, cosa succedeva allora?

Era inutile cercare di muoversi. Smise subito e cominciò a rovistare nei ricordi recenti, sperando che negli ultimi secondi di consapevolezza che aveva trascorso sul Ringmaster si nascondesse la chiave della sua situazione. Avrebbe voluto ridere, se solo fosse riuscita a trovare i muscoli per farlo. Se non era ancora morta, allora era intrappolata nel ventre di una bestia tanto grande da aver divorato la nave e tutto il suo equipaggio.

Dopo un po’, cominciò a sembrarle attraente. Se era vero, se era stata divorata ed era ancora viva, allora la morte stava arrivando. Qualsiasi cosa era migliore di quell’eternità da incubo la cui infinita futilità si stava stendendo su di lei.

Trovò che era possibile piangere senza un corpo. Senza lacrime né singhiozzi, senza sentirsi la gola irritata, Cirocco si sentiva disperata. Diventò come una bambina persa nel buio. Sentì che i ricordi stavano per svanire di nuovo, ne fu felice, e si morse la lingua.

Il sapore caldo del sangue le invase la bocca. Vi strisciò attraverso con paura disperata e con la fame di un pesciolino perso in uno strano mare salato. Adesso era un verme cieco, una bocca coi denti e con una lingua ferita. Il sapore del sangue era meraviglioso. Si morse di nuovo, furiosamente. Ancora quel sapore salato, e un dolore magnifico, esaltante. Puoi assaggiare un colore? si chiese. Ma non se ne preoccupò. Si ferì di nuovo, esaltandosi.

Il dolore la trasportò nel passato.

Sollevò il viso dai quadranti spezzati e dai vetri infranti del suo aereo privato e sentì il vento freddo entrarle nella bocca aperta. Si era morsicata la lingua. Si portò la mano alla bocca e due denti sporchi di sangue vennero via. Li guardò, senza capire da dove venivano. Settimane dopo, mentre lasciava l’ospedale li ritrovò in una tasca della sua giacca a vento. Li tenne in una scatoletta sul comodino, per i momenti in cui si svegliava di colpo sentendo il vento mortale che le bisbigliava all’orecchio. "Il secondo motore è partito, e qui sotto non ci sono altro che alberi e neve." Allora afferrava la scatoletta e la scuoteva. "Ce l’ho fatta, sono viva."

Ma, come ricordò a se stessa, era avvenuto anni prima.

… il viso pulsava. Le stavano togliendo le bende. Sembrava un film. È proprio un peccato che non posso vedere la scena. Visi ansiosi che si affollavano attorno — una veloce panoramica su tutti loro — garze sporche che cadevano di fianco al letto, bende su bende che si srotolavano… e poi… ma… ma dottore… è bellissima.

Ma non era vero. Avevano detto quello che lei voleva sentirsi dire. Due mostruosi occhi gonfi, pelle rossa e raggrinzita. I lineamenti erano intatti, non c’erano cicatrici, ma non era certo più bella di quanto era stata. Il naso aveva sempre quell’aria aquilina, e che altro? Be’, almeno non era rotto, e lei era orgogliosa del fatto che non aveva permesso che gliel’operassero per motivi puramente estetici.

(Nell’intimo, lei odiava quel naso anche se pensava che proprio per quel naso e per la sua statura le avessero affidato il comando del Ringmaster).

Sapeva che erano state fatte pressioni perché fosse selezionata una donna, ma quelli che decidevano non avrebbero certo affidato un’astronave così costosa a una cosina graziosa di un metro e mezzo…

Un’astronave così costosa…

Stai divagando. Morsicati la lingua.

Si morsicò, sentì il sangue…

… e rivide la finestra panoramica fracassata, sentì l’urto contro il pannello dei comandi, si trovò proiettata sull’abisso di vuoto, cercò di afferrare le gambe di un corpo avvolto nella tuta…

Si morse di nuovo, forte, e sentì qualcosa in mano. Passarono secoli, e sentì qualcosa che le toccava il ginocchio. Unì le due sensazioni e capì di essersi toccata.

Fu presa dal delirio per il proprio corpo. Si spostò, leccò e morse tutto ciò che riusciva a raggiungere con la bocca, mentre le sue mani carezzavano e pizzicavano. La sua pelle era liscia, morbida, perfettamente depilata.

Un liquido denso, quasi gelatinoso, si muoveva nelle sue narici quando tentava di respirare. Non era spiacevole, e nemmeno preoccupante.

E poi c’era un rumore, un battito sordo che doveva essere il suo cuore.

Riusciva a toccare solo il proprio corpo. Per un po’ provò anche a nuotare, ma non capiva se si spostasse o meno.

Poi si addormentò.

Il risveglio fu un processo incerto, lento. Per un certo tempo non capì se dormiva ancora o se era cosciente. Mordersi non serviva. Si può sognare un morso, non è vero?

Ma aveva davvero dormito? Com’era possibile addormentarsi in una situazione del genere? Le differenze fra uno stato di coscienza e l’altro diventavano esilissime, in quell’assenza quasi totale di sensazioni. Le porte della follia erano pericolosamente vicine.

Avvertiva il terrore aumentare col battito del proprio cuore. Stava per impazzire, e lo sapeva. Mentre la combatteva s’aggrappava con tenacia alla personalità che aveva faticosamente ricostruito strappandola ai turbini della follia.

Nome: Cirocco Jones. Età: trentaquattro anni. Razza: non nera, ma nemmeno bianca.

Legalmente era americana, ma in effetti era figlia di quella cultura di sradicati della Terza Cultura creata dalle multinazionali. Aveva vissuto qua e là, in ghetti di lusso tutti uguali, tutti deprimenti.


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