Dopo averlo scrutato, l’uomo gli rivolse un cenno di saluto. «La Signora sia con te», borbottò.

«Vivete nelle vicinanze?» chiese Cazaril.

«Già», rispose l’uomo, un individuo di mezz’età, ben nutrito, il cui cappotto dotato di cappuccio, simile a quello più liso di Cazaril, appariva semplice ma pratico. A giudicare dal suo atteggiamento, doveva essere il proprietario della terra su cui si trovava, anche se senza dubbio le sue ricchezze si fermavano lì.

«Io… ecco…» cominciò Cazaril, indicando il sentiero. «Mi sono allontanato dalla strada, per ripararmi in quel mulino lassù e ho trovato un cadavere», spiegò. Non fece tuttavia cenno al perché avesse cercato un riparo.

«Già», ripeté il contadino.

Lui rimpianse di essersi liberato del sasso raccolto in precedenza. «Sapete di lui?» chiese, cauto.

«Ho visto il suo cavallo legato lassù, stamattina.»

«Ah», commentò. Poteva proseguire per la sua strada con la coscienza tranquilla, dunque. «Sapete per caso chi fosse quel poveretto?»

«So soltanto che non è di queste parti», ribatté il contadino, scrollando le spalle e sputando per terra. «Non appena mi sono reso conto del genere di cose malvagie successe qui la scorsa notte, ho mandato a chiamare la Divina del nostro Tempio, che ha portato via tutti i beni di quel tizio, per trattenerli finché non verranno richiesti. Il suo cavallo sta nel mio granaio, ed è uno scambio equo, considerata la legna e l’olio che dovrò consumare a causa sua. La Divina però ha detto che non possiamo lasciarlo così fino al tramonto.» Indicando le fascine legate sul dorso dell’asino, assestò uno strattone alla cavezza e riprese a risalire il sentiero.

«Avete idea di cosa stesse facendo quel tizio?» chiese Cazaril, affiancandosi al contadino.

«Quello che stava facendo è evidente», sbuffò l’uomo. «E ha avuto quello che si meritava.»

«Hmm… Sapete anche a chi lo stesse facendo?»

«Non ne ho idea e lascerò che se ne occupino al Tempio. Vorrei soltanto che non lo avesse fatto sulla mia terra, spargendo la malasorte… È probabile che torni a infestare questo posto, quindi lo purificherò col fuoco e brucerò anche quel rudere fatiscente di un mulino. È inutile lasciarlo così vicino alla strada. Serve soltanto ad attirare… guai.» E gli scoccò un’occhiata.

L’altro avanzò in silenzio per qualche istante, poi, con una certa esitazione, chiese: «Intendete bruciarlo con gli abiti indosso?»

Prima di rispondere, il contadino gli scoccò un’altra occhiata, notando la povertà del suo aspetto. «Io non intendo toccare nulla di suo. Non avrei preso neppure il cavallo, ma non sarebbe stato un atto di carità lasciar morire di fame quella povera bestia.»

«In tal caso, vi dispiacerebbe se prendessi io quei vestiti?» domandò Cazaril, ancor più esitante.

«Non è a me che lo devi chiedere, giusto? Veditela con lui, se ne hai il coraggio. Io di certo non ti fermerò.»

«Se volete… vi aiuterò a prepararlo per il rito funebre.»

«Questa sarebbe una cosa gradita», replicò il contadino, fissandolo con aria un po’ sorpresa.

Cazaril ebbe l’impressione che l’uomo fosse più che contento di affidare a lui il compito di occuparsi del cadavere. A causa delle sue condizioni fisiche, fu però costretto a lasciare al contadino il compito di ammucchiare i ceppi più grossi per il rogo, preparato all’interno del mulino, anche se diede una mano a trasportare le fascine più leggere. Avanzò anche qualche pacato suggerimento su come posizionare il tutto per garantire una migliore circolazione dell’aria e avere la certezza di distruggere l’edificio.

Il contadino rimase a guardare, a distanza di sicurezza, mentre Cazaril procedeva a spogliare il cadavere, sfilando a fatica i diversi strati d’indumenti dal corpo irrigidito, che appariva ancora più gonfio di quanto non fosse sembrato a prima vista. Quando riuscì a rimuovere l’elegante camiciola di cotone ricamato, l’addome risultò sporgente in modo quasi osceno. In effetti, il cadavere costituiva uno spettacolo spaventoso, ma qualsiasi cosa avesse prodotto quel gonfiore non poteva essere contagiosa, considerata l’assenza di qualunque odore di morte. Cazaril si chiese cosa sarebbe successo se il cadavere non fosse stato bruciato prima del tramonto: forse sarebbe esploso o magari si sarebbe aperto e, in quel caso, chissà cosa ne sarebbe uscito… o vi sarebbe entrato. Ripiegò i vestiti, quasi privi di macchie, più in fretta che poté, tralasciando le scarpe, troppo piccole per lui. Poi aiutò il contadino a issare il corpo sul rogo.

Quando tutto fu pronto, si lasciò cadere in ginocchio, chiuse gli occhi e recitò la preghiera per i morti. Non sapendo quale Dio avesse preso con sé l’anima del defunto — benché lui ne avesse un’idea piuttosto precisa — si rivolse a tutti e cinque i membri della Sacra Famiglia, parlando in termini semplici e chiari: dopotutto, le offerte dovevano consistere in ciò che si aveva di meglio, anche se l’unica cosa da offrire erano le parole. «Misericordia dal Padre e dalla Madre, misericordia dalla Sorella e dal Fratello, misericordia dal Bastardo, cinque volte misericordia, o Altìssimi, noi vi imploriamo», recitò. Quell’infelice aveva comunque già pagato per i peccati commessi, per cui la cosa più giusta era chiedere la misericordia degli Altissimi. Non la laro giustìzia… Oh, no, nessuna giustizia. Sarebbe da stolti pregare per avere giustizia.

Quando terminò, si rialzò con mosse rigide e si guardò intorno, procedendo quindi a raccogliere le carcasse del ratto e dei corvo e deponendole sul rogo, accanto alla testa e ai piedi dell’uomo.

A quanto pareva, quel giorno gli Dei avevano deciso di elargirgli un po’ di fortuna, ma lui non poté fare a meno di chiedersi sotto quale forma essa si sarebbe presentata, la volta seguente.

Mentre dal mulino in fiamme cominciava a levarsi una colonna di fumo oleoso, Cazaril tornò a incamminarsi sulla strada di Valenda, coi vestiti del morto legati in un fagotto. Sebbene fossero meno sporchi di quelli che aveva indosso, era comunque intenzionato a trovare una lavandaia per farli pulire. I vaida di rame di cui disponeva parevano ridursi sempre più a ogni conto mentale delle spese da affrontare, però a quello non avrebbe rinunciato.

La notte precedente aveva dormito in un granaio, tremando in mezzo alla paglia, dopo aver cenato con mezza pagnotta di pane stantio, usando poi l’altra metà per la colazione. La distanza che separava Zagosur, sulla mite costa di Ibra, dal cuore della Baocia, la provincia più centrale di Chalion, era di quasi trecento miglia, e lui non era riuscito a percorrerla abbastanza in fretta. Gli Accoliti del Tempio Ospedale della Madre Misericordiosa, un’istituzione di Zagosur votata al soccorso di tutti gli sciagurati restituiti dal mare, gli avevano dato a titolo di elemosina una piccola somma, che però si era esaurita quando, secondo i suoi calcoli, ormai gli rimaneva soltanto un giorno di viaggio, forse anche meno. Se fosse riuscito a camminare ancora per un po’, forse avrebbe potuto raggiungere il suo rifugio e strisciare infine al riparo.

Quand’era partito da Ibra, si era arrovellato sul modo in cui chiedere alla Provincara un posto presso di lei, nella sua casa, in nome dei tempi passati… Qualcosa, qualsiasi cosa — anche sedere ai piedi della sua tavola — purché non comportasse un lavoro troppo faticoso. Le sue ambizioni erano però andate scemando a mano a mano che procedeva verso est, valicando i passi montani per addentrarsi nel più freddo pianoro centrale. Forse il siniscalco o il capo stalliere gli avrebbero concesso un posto nelle scuderie, o magari in cucina, evitandogli così d’infastidire la grande dama. Se fosse riuscito a ottenere un incarico come sguattero, infatti, non sarebbe neppure stato obbligato a dare il suo vero nome… Del resto dubitava che, nella dimora della Provincara, ci fosse ancora qualcuno che si ricordasse di lui, all’epoca in cui aveva servito il defunto Provincar della Baocia in veste di paggio.


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