Davidson si alzò in piedi. — L’avevo, signore.
— Eravate autorizzato a toccare terra e appiccare incendi alla foresta nei pressi del campo?
— No, signore.
— Voi, però, avete effettivamente appiccato incendi?
— Sì, signore. Intendevo snidare col fumo i creechie che avevano ucciso i miei uomini.
— Benissimo. Signor Lepennon?
L’alto Hainita si schiarì la gola. — Capitano Davidson — disse — voi ritenete che le persone sotto il vostro comando a Campo Smith fossero soddisfatte?
— Sì, ritengo di sì.
Il comportamento di Davidson era fermo e franco; pareva indifferente al fatto di essere nei pasticci. Naturalmente, quegli ufficiali della Marina e quegli stranieri non avevano alcuna autorità su di lui; solo al suo colonnello lui doveva rispondere del fatto di avere perduto duecento uomini e di avere effettuato una spedizione punitiva non autorizzata. Ma il suo colonnello era davanti a lui, ad ascoltare.
— Erano ben nutriti, ben alloggiati, non sottoposti a carichi di lavoro eccessivi, dunque, nei limiti di ciò che si può ottenere in un accampamento di frontiera?
— Sì.
— La disciplina che veniva mantenuta era troppo severa?
— No, non lo era.
— Che cosa, allora, secondo voi, ha motivato la rivolta?
— Non comprendo.
— Se nessuno era scontento, perché alcuni di loro hanno massacrato gli altri e hanno distrutto il campo?
Cadde un silenzio preoccupato.
— Se posso intervenire con una parola — disse Lyubov — sono stati gli indigeni locali, gli Athshiani impiegati nel campo, a unirsi all’attacco eseguito dal popolo della foresta contro gli umani terrestri. Nel suo rapporto, il capitano Davidson si è riferito agli Athshiani come ai "creechie".
Lepennon parve imbarazzato e preoccupato.
— Grazie, dottor Lyubov. Avevo del tutto frainteso. Anzi pensavo che la parola "creechie" si riferisse a una casta terrestre che eseguiva lavori di tipo servile nei campi dei taglialegna. Poiché credevo, come del resto noi tutti, che gli Athshiani fossero non aggressivi intraspecificamente, non immaginavo che potessero essere il gruppo così indicato.
"Anzi, non avevo compreso che cooperassero con voi nei vostri campi… Comunque, riesco ancora meno di prima a comprendere che cosa abbia provocato l’attacco e l’ammutinamento."
— Non saprei, signore.
— Quando avete detto che le persone sotto il vostro comando erano soddisfatte, capitano, comprendevate fra di esse anche i nativi? — chiese il Cetiano, Or, con un secco brontolio.
L’Hainita raccolse subito la domanda, e chiese a Davidson, nel suo tono di cortese partecipazione: — Gli Athshiani che vivevano nel campo erano soddisfatti, voi pensate?
— Per quanto ne posso sapere.
— Non c’era nulla di inconsueto nella loro posizione laggiù, o nel lavoro che dovevano compiere?
Lyubov percepì l’appesantirsi della tensione, come un giro del torchio, nel colonnello Dongh e nei suoi ufficiali, e anche nel comandante della nave. Ma Davidson rimase calmo e tranquillo. — Nulla d’inconsueto.
In quel momento Lyubov ebbe la certezza che solamente i suoi studi scientifici fossero stati inviati alla Shackleton; le sue proteste, perfino le sue annuali valutazioni dell’Accomodamento dei nativi alla presenza coloniale, richieste dall’Amministrazione, erano rimaste in qualche cassetto, insabbiate nel Quartier Generale. Quei due umani non terrestri non sapevano nulla dello sfruttamento a cui erano sottoposti gli Athshiani.
Il comandante Yung doveva esserne al corrente, certo; era già sceso a terra in precedenza, e aveva probabilmente visto i recinti dei creechie. In ogni caso, un comandante della Marina che faceva le rotte coloniali non poteva ignorare la realtà delle relazioni fra terrestri e Athshiani. Approvasse o no il modo in cui l’Amministrazione Coloniale conduceva i propri affari, ben poco gli sarebbe giunto come una novità.
Ma un Cetiano e un Hainita, fino a che punto potevano conoscere la situazione delle colonie terrestri, a meno che il caso non li portasse a scendere su una di esse, mentre erano in viaggio per qualche altro pianeta?
Lepennon é Or non avevano avuto la minima intenzione di scendere sul pianeta. O forse non ne avevano avuto l’intenzione, ma poi, avuta la notizia della rivolta, avevano chiesto di scendere. E perché il comandante li aveva fatti scendere? Per desiderio suo, o dei due extraterrestri? Chiunque essi fossero, davano un’impressione di autorità, si poteva fiutare in loro un soffio dell’asciutto, inebriante aroma del potere. Il mal di testa di Lyubov era sparito; si sentiva attento ed emozionato, le sue guance erano roventi.
— Capitano Davidson — disse — ho un paio di domande che riguardano il vostro incontro con i nativi due giorni fa. Voi siete certo che uno di essi fosse Sam, ossia Selver Thele?
— Così credo.
— Voi vi rendete conto che Selver ha rancori personali verso di voi?
— Non so.
— Voi non sapete? Poiché la moglie di Selver è morta nelle vostre stanze, capitano, immediatamente dopo un rapporto sessuale con voi, Selver vi ritiene responsabile della sua morte; voi non lo sapevate? Selver vi ha aggredito una volta, capitano, qui a Centralville; ve ne siete dimenticato? Ebbene, il punto è questo: l’odio personale di Selver nei riguardi del capitano Davidson può servire come parziale spiegazione o motivazione di questo attacco che non trova precedenti.
"Gli Athshiani non sono affatto incapaci di violenza personale: questo non è mai stato affermato in nessuno dei miei studi su di loro. Gli adolescenti che non hanno ancora padroneggiato la tecnica del sogno controllato o del canto competitivo lottano e fanno a pugni tra loro molto spesso, e non sempre per gioco.
"Ma Selver è un adulto e un adepto; e il suo primo attacco personale contro il capitano Davidson, attacco cui ho potuto casualmente assistere in parte, era chiaramente un tentativo di uccisione. Così come lo era, detto per inciso, anche il contrattacco del capitano. A quell’epoca io pensai che quell’attacco fosse un incidente isolato, psicotico, causato dal dolore e dalla tensione, e che una sua ripetizione fosse improbabile. Mi sbagliavo. Capitano, quando i quattro Athshiani vi sono saltati addosso in un’imboscata, così come dite nel rapporto, voi siete caduto a terra disteso?"
— Sì.
— In che posizione?
Il viso calmo di Davidson si tese e si irrigidì, e Lyubov provò una punta di rimorso. Desiderava mettere alle corde Davidson per mezzo delle sue stesse bugie, costringerlo a dire almeno una volta la verità, ma non voleva umiliarlo davanti agli altri. Accuse di violenza carnale e di omicidio contribuivano a tenere alta l’immagine che Davidson aveva di se stesso come un uomo totalmente virile, ma ora quell’immagine veniva messa in pericolo: Lyubov aveva richiamato un ritratto di lui, del soldato, del lottatore, dell’uomo freddo e duro, che veniva messo a terra da nemici alti come bambini di sei anni… Quanto costava a Davidson ricordare il momento in cui era steso a terra, e fissava dal disotto i piccoli omini verdi, quella volta, invece di guardarli dall’alto della sua statura?
— Ero sulla schiena.
— La vostra testa era tirata indietro, o voltata di lato?
— Non lo so.
— Sto cercando di appurare un fatto importante, capitano, che potrebbe spiegare perché Selver non vi abbia ucciso, sebbene avesse dei rancori verso di voi e avesse partecipato all’uccisione di duecento uomini poche ore prima. Mi chiedo se voi per caso non siate finito in una delle posizioni che, quando sono assunte da un Athshiano, bloccano nel suo antagonista ogni ulteriore aggressione fisica.
— Non lo so.
Lyubov si guardò intorno, lungo il perimetro del tavolo delle conferenze; ciascuno dei volti mostrava curiosità e un po’ di tensione.
— Queste posizioni che bloccano l’aggressione, questi gesti, possono avere un fondamento innato, possono forse nascere da un meccanismo istintivo di stimolo-risposta che ancora sopravvive, ma si sviluppano e si espandono con la vita sociale, e sono, com’è ovvio, comportamenti appresi.