L'ordine del sole nero pic_3.jpg

Una svastica.

Ancora prima che potessero reagire, un’esplosione fece tremare l’edificio.

Ore 09.55

Si svegliò in preda al panico. Il rombo del tuono lo liberò dall’oscurità febbricitante che lo attanagliava. Anzi non era un tuono. Era un’esplosione. Dal soffitto basso colava una scia di polvere d’intonaco. Si mise a sedere, spaesato, cercando di orientarsi nel tempo e nello spazio. La stanza gli girava leggermente attorno. Guardò giù, levandosi di dosso la coperta di lana macchiata. Era disteso su una strana branda, non aveva addosso nient’altro che un perizoma di lino. Sollevò un braccio. Tremava. Aveva la bocca impastata e, anche se le persiane riparavano la stanza dalla luce, gli facevano male gli occhi. Un attacco di brividi lo fece tremare tutto.

Non aveva idea né del dove né del quando.

Facendo scivolare le gambe giù dalla branda, tentò di alzarsi. Una pessima idea. Il mondo si oscurò di nuovo. Si accasciò, e sarebbe ripiombato nell’oblio, ma una raffica di colpi d’arma da fuoco lo ridestò. Era un’arma automatica. Vicina. La breve raffica scemò.

Provò di nuovo, con maggiore determinazione. Cominciò a ritornargli la memoria, mentre barcollava verso l’unica porta, ci andava a sbattere, si sosteneva con le braccia e cercava di usare la maniglia. Era chiusa a chiave.

ore 09.57

«Era l’elicottero», disse Ang Gelu. «È stato distrutto.»

Lisa era accanto alla finestra. Qualche attimo prima, mentre l’eco dell’esplosione si disperdeva, avevano sganciato i fermi e spalancato le persiane. Pensando di aver visto del movimento nel cortile sottostante, il soldato aveva sparato una raffica a casaccio.

Nessuno aveva risposto al fuoco.

«Può essere che sia stato il pilota?» chiese Lisa. «Forse c’era un problema al motore.»

Il soldato mantenne la sua postazione accanto alla finestra, col calcio del fucile poggiato sul davanzale e con un occhio nel mirino, scrutando il cortile.

Ang Gelu indicò la scia di fumo oleoso che si sollevava dai campi di patate, nel punto esatto in cui si era posato l’elicottero. «Non credo che sia stato un incidente.»

«E adesso che cosa facciamo?» chiese Lisa. Forse un altro dei monaci folli aveva fatto saltare l’elicottero? In tal caso, quanti altri maniaci in libertà c’erano nel monastero? Rivide nella mente l’immagine del folle che brandiva la falce, l’automutilazione del monaco… che diavolo stava succedendo?

«Dobbiamo andarcene», sentenziò Ang Gelu.

«E dove?»

«Ci sono piccoli villaggi e fattorie sparse a una giornata di cammino. Qualunque cosa sia accaduta qui, ci vorranno più di tre persone per capirlo.»

«E che ne sarà degli altri? Alcuni forse non sono irrecuperabili come il cugino di suo cognato. Non dovremmo cercare di aiutarli?»

«La mia prima preoccupazione deve essere la sua sicurezza, dottoressa Cummings. Inoltre bisogna che le autorità siano informate.»

«E se l’agente che ha colpito queste persone fosse contagioso? Viaggiando potremmo diffonderlo.»

Il monaco si tastò la guancia ferita. «Ora che l’elicottero è distrutto, non abbiamo mezzi di comunicazione. Se rimaniamo qui, moriremo anche noi… e il resto del mondo non saprà nulla.» Era una osservazione giusta. «Possiamo ridurre al minimo i contatti con altre persone finché non ne sapremo di più. Chiedere aiuto, ma mantenere una distanza di sicurezza.»

«Nessun contatto fisico», mormorò lei.

Il monaco annuì. «Le informazioni che abbiamo giustificano il rischio.»

Lisa espresse il suo assenso con un lento cenno del capo. Fissò la colonna di fumo nero che si stagliava contro il cielo blu. Forse uno del loro gruppo era già morto ed era impossibile dire quale fosse il numero effettivo delle vittime nel monastero. L’esplosione aveva sicuramente messo in allarme anche qualcun altro. Se volevano fuggire, dovevano sbrigarsi.

«Andiamo», disse infine.

Ang Gelu si rivolse al soldato, in tono asciutto. Il militare si drizzò in piedi con un cenno d’assenso e abbandonò la sua postazione alla finestra, tenendo sempre pronto il fucile.

Lisa diede un ultimo sguardo preoccupato alla stanza e al monaco, riflettendo sulle possibilità di contagio. Erano già contaminati? Mentre seguiva gli altri fuori dalla stanza e giù per la scala, valutò le proprie condizioni. Aveva la bocca asciutta, le facevano male le mascelle e sentiva il cuore pulsare in gola. Ma era soltanto la paura, giusto? Era una situazione del tipo «fuggi o combatti», quelle reazioni involontarie erano normali. Si toccò la fronte: era umida, ma non febbricitante. Poi fece un respiro profondo per riprendere il controllo e riconoscere quanto era stata sciocca. Anche se si fosse trattato di un agente contagioso, di sicuro il periodo di incubazione sarebbe stato superiore a un’ora.

Attraversarono la sala principale del tempio, col Budda in teak e con le altre divinità al suo cospetto. Dalla porta penetrava una luce abbagliante. Il militare che faceva loro da scorta controllò il cortile per un intero minuto, poi diede un cenno di via libera. Lisa e Ang Gelu lo seguirono. Uscendo nel cortile, Lisa sondò gli angoli bui, alla ricerca di movimenti improvvisi. Sembrava che tutto fosse di nuovo tranquillo.

Ma non per molto…

Alle sue spalle, una seconda detonazione devastò l’edificio. L’onda d’urto la gettò a terra, carponi. Si chinò e rotolò su una spalla, per guardare indietro.

Le tegole erano decollate verso il cielo, tra le fiamme. Dalle finestre distrutte scaturirono un paio di meteore infuocate, mentre la porta d’ingresso esplodeva in una catastrofe di schegge, eruttando altro fumo e fuoco. Lisa fu investita da un calore paragonabile alle esalazioni di un altoforno.

Qualche passo più avanti, il soldato era finito a terra in seguito all’esplosione. Era riuscito a tenere il fucile soltanto perché aveva intrecciato le dita nella cinghia di pelle. Si rialzò in fretta, mentre dal cielo cadeva una pioggia di tegole infrante.

Ang Gelu si alzò in piedi e porse la mano a Lisa.

Fu la sua rovina.

Dallo strepitio delle fiamme emerse un’altra detonazione, più secca. Un colpo di fucile. La parte superiore del viso del monaco scoppiò in una nuvola di sangue.

Ma questa volta non era opera della sua scorta.

Il soldato aveva ancora il fucile appeso in spalla, mentre fuggiva dalla pioggia di detriti. Sembrava che non avesse sentito il colpo, ma spalancò gli occhi quando Ang Gelu si rovesciò al suolo. Reagendo puramente d’istinto, scartò a destra, lanciandosi nell’ombra dell’edificio vicino. Gridò a Lisa qualcosa di incomprensibile, in preda al panico.

Lisa batté in ritirata a mo’ di granchio, verso l’entrata del tempio. Un altro colpo rimbalzò sulla pietra del cortile, a un soffio dai suoi piedi. La dottoressa si lanciò attraverso la soglia, nell’oscurità dell’interno.

Nascosta dietro un angolo, guardò il soldato camminare rasente il muro, attento a ripararsi dalla posizione in cui riteneva che fosse appostato il cecchino.

Lisa si dimenticò come respirare, lo sguardo fisso e gli occhi spalancati. Scrutò i tetti e le finestre. Chi aveva sparato ad Ang Gelu?

Poi lo vide.

Un’ombra corse veloce attraverso il fumo che scaturiva dall’edificio più lontano. Lisa intravide un riflesso di fiamme su una superficie di metallo, mentre l’uomo correva. Un’arma. Il cecchino aveva abbandonato la sua postazione originaria e cercava di guadagnare una posizione di vantaggio.

Lisa ritornò all’aperto, pregando che l’ombra la nascondesse bene. Gridò e fece cenno al soldato. Questi si muoveva verso di lei, verso il tempio principale, con le spalle al muro, lo sguardo e l’arma puntati sui tetti sovrastanti. Non aveva visto il cecchino fuggire.


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