«Allora, che hai deciso?»
«A quanto pare, avremo una compagna», disse Monk.
Gray non voleva saperne di cedere. Forse poteva spaventarla, ricordandole il rischio che aveva corso a Copenhagen. «E la tua ferita?»
«La mia ferita cosa? Sono come nuova. Quella benda liquida mi ha rattoppato per bene.»
«Può anche nuotarci», intervenne Monk. «È impermeabile.»
Gray lo fulminò con lo sguardo. «Non è questo il punto.»
«E allora qual è il punto?» lo incalzò Fiona.
Gray si voltò di nuovo verso di lei. Non voleva più essere responsabile di quella ragazzina e di certo non aveva il tempo di farle da babysitter.
«Ha paura che tu ti faccia male di nuovo», disse Monk con un’alzata di spalle.
Gray sospirò. «Fiona, dicci l’indirizzo e facciamola finita.»
«Quando saremo sull’auto», rispose lei. «Allora te lo dirò. Non ho intenzione di rimanere rinchiusa qui dentro.»
«Il tempo passa», disse Monk. «E a quanto pare rischiamo una bella doccia.»
Il cielo era blu e luminoso, ma a nord si stavano addensando le nuvole. Era in arrivo un temporale.
«E sia.» Gray fece cenno al compagno di uscire. Perlomeno avrebbe tenuto d’occhio Fiona.
Il trio scese la scaletta dell’aereo. Le formalità doganali erano già sistemate e c’era una BMW presa a noleggio che li aspettava. Monk aveva in spalla uno zaino nero, Gray ne aveva uno identico. Guardò Fiona. Ne aveva uno anche lei. Dove…
«Ce n’era uno in più», gli spiegò Monk. «Non ti preoccupare. Non ci sono pistole o granate nel suo. Almeno non credo.»
Gray scosse la testa e proseguì diretto al parcheggio. Oltre allo zaino nero, avevano anche vestiti simili: jeans neri, scarpe da ginnastica, maglioni. Alta moda da turisti. Perlomeno Fiona aveva personalizzato i suoi vestiti con qualche spilla. Una in particolare catturò la sua attenzione. Diceva: GLI SCONOSCIUTI HANNO LE CARAMELLE MIGLIORI.
Entrando nel parcheggio, Gray controllò per l’ennesima volta le sue armi. Tastò la Glock da 9mm nella fondina sotto il maglione e il manico di un pugnale al carbonio, che portava in un fodero al polso sinistro. Nello zaino aveva armamenti aggiuntivi: granate, pacchetti di esplosivo C4, munizioni extra. Non aveva intenzione di farsi trovare impreparato un’altra volta.
Finalmente raggiunsero il loro mezzo: una BMW 525i, color blu notte. Fiona si diresse decisa verso il lato del conducente.
Gray la bloccò. «Divertente.»
Monk fece il giro dall’altra parte e gridò: «Un fucile!»
Fiona si abbassò, guardandosi attorno.
Gray la tranquilizzò e la condusse alla portiera posteriore. «Stava solo prenotando il sedile davanti.»
Fiona guardò di traverso Monk. «Mezza sega.»
«Scusa. Non essere così nervosa, ragazza.»
Salirono tutti e tre sulla berlina. Gray accese il motore e guardò Fiona, alle sue spalle. «Be’? Dove si va?»
Monk aveva già pronta una cartina.
Fiona si sporse verso il sedile anteriore e con un dito tracciò un percorso sulla mappa. «Fuori città, venti chilometri a sud-ovest. Dobbiamo andare al villaggio di Büren, nella valle di Alme.»
«A quale indirizzo?»
Fiona si riappoggiò allo schienale. «Divertente», disse, facendo il verso a Gray.
Lui la guardò nello specchietto retrovisore. Fiona aveva un’espressione disgustata per l’ennesimo, goffo tentativo di estorcerle quell’informazione.
Be’, che c’era di male? Ci aveva provato.
Lei gli fece cenno di partire.
Non avendo altra scelta, Gray obbedì.
All’altra estremità del parcheggio, c’erano due persone sedute su un roadster Mercedes bianco. L’uomo abbassò il binocolo e indossò un paio di occhiali da sole italiani. Fece un cenno alla sorella gemella accanto a lui, che sussurrò qualcosa in un telefono satellitare.
Con l’altra mano teneva quella di lui, che le massaggiava il tatuaggio col pollice.
Lei gli strinse le dita.
Guardando in basso, l’uomo vide che la sorella aveva un’unghia mangiucchiata, ridotta a una scheggia frastagliata. Era un’imperfezione evidente quanto un naso rotto.
Lei notò il suo sguardo e cercò di nascondere l’unghia, imbarazzata.
Non c’era morivo di vergognarsi. Lui capiva la costernazione e la sofferenza che l’avevano indotta a farlo: avevano perso Hans, uno dei loro fratelli maggiori, la notte prima.
Ucciso dal conducente dell’automobile che era appena partita.
La rabbia gli obnubilava la vista, mentre guardava la BMW uscire dal parcheggio. Il trasmettitore satellitare che avevano piazzato gli avrebbe permesso di seguire quel veicolo.
«Capito», disse sua sorella al telefono. «Come previsto, hanno seguito la traccia del libro fin qui. Indubbiamente sono diretti alla tenuta Hirszfeld, a Büren. Lasceremo il jet sotto sorveglianza. È tutto pronto.»
Mentre ascoltava, guardò suo fratello.
«Certo», disse, rivolta sia alla persona al telefono sia al fratello. «Non falliremo. La Bibbia di Darwin sarà nostra.»
L’uomo annuì convinto. Sfilò la mano da quella della sorella, girò la chiave e accese il motore.
«Ciao, nonno», concluse lei. Mentre riponeva il telefono, allungò una mano e scostò un’unica ciocca dei capelli biondi di lui che era finita fuori posto. La riaggiustò con le dita, poi la lisciò.
Perfetto.
Sempre perfetto.
Lui le baciò la punta delle dita mentre lei ritraeva la mano.
Amore e una promessa.
Avrebbero avuto la loro vendetta.
Il lutto poteva attendere.
La Mercedes bianco polare si mise in movimento. La caccia era aperta.
Himalaya,
ore 11.08
La punta della saldatrice s’infiammò di rosso cremisi. Painter stabilizzò l’attrezzo: gli tremava la mano, ma non era la paura. Il dolore martellante dietro l’occhio destro non cessava. Aveva preso una manciata di Tylenol, oltre a due pastiglie di fenobarbital, un anticonvulsivo. Nessuno di quei farmaci poteva scongiurare la debilitazione e la follia incombenti, ma, secondo Anna, gli avrebbero consentito qualche ora di funzionalità in più.
Quanto tempo gli rimaneva? Meno di tre giorni, a essere ottimisti.
Si sforzò di reprimere quella preoccupazione. Angoscia e disperazione potevano risultare invalidanti quanto la malattia. Come diceva suo nonno, con quei suoi modi da saggio indiano Pequot, torcersi le mani serve solo a impedire di rimboccarsi le maniche.
Prendendolo in parola, Painter si concentrò sul connettore che stava saldando a un filo di messa a terra scoperto. C’erano cavi che percorrevano tutto il sotterraneo del castello, collegati alle varie antenne esterne, compresa quella parabolica per la trasmissione al satellite, nascosta da qualche parte, vicino alla sommità della montagna.
Quando ebbe finito, Painter si tirò indietro e attese che la nuova saldatura si raffreddasse. Era seduto a un banco di lavoro, con una gamma di attrezzi e componenti ben allineati, come un chirurgo. La sua area di lavoro era fiancheggiata da due laptop aperti, entrambi forniti da Gunther. L’uomo che aveva massacrato i monaci e assassinato Ang Gelu. Painter sentiva ancora montargli dentro una furia infinita ogni volta che era vicino a lui.
Come in quel momento.
Il bestione era di guardia accanto a lui e sorvegliava ogni sua mossa. Erano soli in un locale per la manutenzione. Painter prese in considerazione la possibilità di ficcargli la saldatrice in un occhio. E poi? Erano a chilometri di distanza dalla civiltà e sulla sua testa pendeva una sentenza di morte. La cooperazione era l’unico mezzo di cui disponevano per sopravvivere. A quello scopo, Lisa era rimasta con Anna, nel suo studio, continuando le indagini su una possibile cura.
Painter e Gunther seguivano un altro approccio: scoprire il sabotatore.
Secondo Gunther, la bomba che aveva distrutto la Campana era stata innescata a mano. E, poiché nessuno se n’era andato dopo l’esplosione, probabilmente il sabotatore era ancora nel castello. Catturandolo, forse sarebbero riusciti ad avere altre informazioni.