Lisa rivide nella mente la minuta dottoressa canadese. Avevano diviso assieme una serata, una confezione di Carlsberg da sei e qualche tazza di tè zuccherato con latte. «Come posso esservi utile?»

«Sarebbe disposta ad accompagnarci lassù? Per quanto sia isolato, il monastero è raggiungibile in elicottero.»

«Quanto tempo…?» chiese, lanciando uno sguardo a Josh, che li aveva appena raggiunti.

Il monaco scosse la testa, con lo sguardo preoccupato e un leggero imbarazzo per l’imposizione nei confronti della donna. «Ci vogliono circa tre ore per arrivarci. Non so che cosa ci aspetti là.» Scosse nuovamente il capo con preoccupazione.

Intervenne Josh. «Noi non ci muoveremo per tutta la giornata, in ogni caso.» Le toccò un gomito e, avvicinandosi, aggiunse: «Ma è meglio che io venga con te».

Lisa era perplessa. Sapeva cavarsela da sola, ma d’altra parte era informata sulle tensioni politiche in atto in Nepal dal 1996. I ribelli maoisti conducevano azioni di guerriglia sulle montagne, nel tentativo di rovesciare la monarchia costituzionale e rimpiazzarla con una repubblica socialista. Si sapeva che tranciavano gli arti alle loro vittime, a uno a uno, con falci da contadini. Anche se al momento c’era un cessate il fuoco, occasionalmente venivano ancora commesse atrocità.

Lisa diede uno sguardo al fucile automatico ben oliato che il soldato aveva in mano. Se anche un sant’uomo aveva bisogno di una scorta armata, forse era il caso che lei riconsiderasse l’offerta del fratello.

«Io ho ben poco a disposizione, tranne un kit di pronto soccorso e qualche attrezzatura di monitoraggio», disse in tono esitante al monaco. «Non sono equipaggiata per un’emergenza medica con un gran numero di pazienti.»

Il monaco annuì e indicò con un cenno l’elicottero, che li aspettava coi rotori ancora in movimento. «La dottoressa Sorenson ci ha dotato di tutto ciò che ci dovrebbe servire, nel breve termine. Non prevediamo di approfittare dei suoi servigi per più di una giornata. Il pilota ha un telefono satellitare per riferire quanto lei accerterà. Forse il problema è già stato risolto e potremo far ritorno addirittura entro mezzogiorno.»

Mentre pronunciava l’ultima frase, gli si adombrò il viso. Non ci credeva nemmeno lui. Le sue parole erano intrise di preoccupazione. E forse c’era anche una punta di paura.

Lisa inspirò a fondo l’aria rarefatta. Riuscì a malapena a riempire i polmoni. Aveva fatto un giuramento. E poi aveva già scattato abbastanza fotografie. Voleva ritornare a lavorare sul serio.

Il monaco notò che qualcosa era cambiato nella sua espressione. «Dunque verrà?»

«Sì.»

«Lisa…» Josh l’ammonì.

«Me la caverò.» Gli strizzò il braccio. «Tu hai una squadra da tenere a bada, per evitare un ammutinamento.»

Josh lanciò un’occhiata rapida a Boston Bob e sospirò.

«Perciò difendi il forte sino al mio ritorno.»

Il fratello si voltò di nuovo verso di lei, non convinto, ma non si mise a discutere. Aveva un’espressione tesa. «Fai attenzione.»

«Ho il meglio dell’esercito reale del Nepal come scorta.»

Josh guardò l’arma oliata del militare solitario. «È proprio questo che mi preoccupa.» Sbuffò, per alleggerire la battuta, ma la fece suonare ancora più aspra.

Lisa sapeva che non avrebbe ottenuto di meglio dal fratello. Gli diede un rapido abbraccio, prese dalla tenda lo zaino con le attrezzature mediche e, dopo pochi istanti, china sotto la minaccia affilata dei rotori, si accingeva a prendere posto sul sedile posteriore dell’elicottero di soccorso.

Il pilota non le fece neanche un cenno. Il soldato prese il posto di copilota e il monaco, che si presentò come Ang Gelu, la raggiunse sul sedile posteriore.

Lisa indossò un paio di cuffie insonorizzanti, ma il rombo dei motori crebbe comunque, mentre le pale giravano sempre più veloci. Il velivolo sobbalzò, senza sollevarsi, mentre i rotori cercavano di aggrapparsi all’aria rarefatta. Il lamento dei motori raggiunse frequenze subsoniche e finalmente l’elicottero si staccò dall’eliporto roccioso, sollevandosi rapidamente.

Quando il velivolo volteggiò sopra una vicina gola, Lisa si sentì lo stomaco piombare sotto l’ombelico. Guardò giù dal finestrino, verso l’accozzaglia di tende e yak. Individuò suo fratello, che aveva alzato un braccio per salutarla… o forse soltanto per ripararsi dalla luce del sole? Accanto a lui c’era Taski Sherpa, facilmente identificabile grazie al cappello da cowboy.

La valutazione espressa poco prima dallo sherpa la seguì su nel cielo, ghiacciando i suoi pensieri e le sue preoccupazioni.

La morte cavalca il vento.

Non era un pensiero gradevole in quel momento.

Accanto a lei, le labbra del monaco si muovevano in una preghiera silenziosa. L’uomo era ancora teso: per il loro mezzo di trasporto o per paura di ciò che avrebbero potuto scoprire al monastero?

Lisa si appoggiò allo schienale, nella mente l’eco delle parole dello sherpa. Davvero una brutta giornata.

Altitudine: 6775 m,

ore 09.13

Si muoveva agevolmente sul fondo dell’abisso, a grandi passi, affondando i ramponi d’acciaio nella neve e nel ghiaccio. Su entrambi i lati si levavano pareti di roccia nuda, con pittogrammi di licheni marroni. La gola risaliva verso l’alto. Verso il suo obiettivo.

L’uomo indossava una tuta di piumino d’oca, con un disegno mimetico composto di sfumature di bianco e nero. Aveva la testa coperta da un passamontagna di pile e il viso nascosto da grossi occhiali da neve. Portava uno zaino da alpinista del peso di ventun chili, compresa la piccozza da ghiaccio affrancata da un lato e il rotolo di corda di poliestere dall’altro.

Aveva anche un fucile d’assalto Heckler Koch, un caricatore extra da venti colpi e una sacca con nove granate incendiarie.

Non aveva bisogno di ossigeno aggiuntivo, nemmeno a quell’altitudine. Le montagne erano la sua casa da quarantaquattro anni. Era ben ambientato in quegli altipiani, come gli sherpa, ma non parlava la loro lingua e nei suoi occhi brillavano altre origini: l’uno era di un blu glaciale, l’altro bianco puro. Quella disparità lo contraddistingueva senza ombra di dubbio, come il tatuaggio che recava sulla spalla. Persino tra i Sonnenkönige, i Cavalieri del Sole.

Sentì un ronzio nell’orecchio. Era la radio.

«Sei arrivato al monastero?»

Si toccò la gola. «Quattordici minuti.»

«Non dovrà trapelare nulla dell’incidente.»

«La questione sarà risolta.» Manteneva un tono uniforme, respirando dal naso. Nella voce all’altro capo della radio non sentiva soltanto un tono di comando, ma anche paura. Una debolezza. Era uno dei motivi per cui visitava così raramente il Granitschloß, il Castello di Granito, preferendo vivere ai margini, come era suo diritto.

Nessuno gli imponeva di avvicinarsi.

Gli chiedevano soltanto di usare la sua abilità quando era necessaria.

L’auricolare crepitò. «Raggiungeranno il monastero fra poco.»

Non si prese nemmeno la briga di rispondere. Sentiva il tonfo sordo dei rotori in lontananza. Fece qualche calcolo. Non c’era fretta. Le montagne insegnavano la pazienza.

Regolarizzò il respiro e proseguì in discesa, verso il gruppetto di costruzioni in pietra coi tetti di tegole rosse. Il monastero di Temp Och era abbarbicato sul bordo di una parete rocciosa, raggiungibile soltanto da un unico sentiero, proveniente dal basso. I monaci e gli studenti raramente dovevano preoccuparsi del resto del mondo.

Fino a tre giorni prima.

L’incidente.

Il suo compito era fare pulizia.

Il battito dell’elicottero divenne sempre più intenso. Risaliva dal basso. L’uomo mantenne un passo regolare. C’era tutto il tempo. Era importante che i nuovi arrivati entrassero nel monastero.

Sarebbe stato molto più facile uccidere tutti quanti.


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