— Milady. — La guardia più giovane la prese per un braccio. — Per favore, torni dentro. — Il suo volto era teso, gli occhi dilatati. Il collega si premeva una mano su un orecchio, in ascolto sul microricevitore collegato a quelli dei colleghi. Lei non aveva nessun terminale portatile con sé.

— Cosa sta succedendo? — chiese.

— Milady, per favore, rientri! — La guardia la indusse a muoversi verso la botola da cui una ripida scala metallica scendeva nel corridoio principale dell’attico. — Sono certo che non è niente d’importante, forse una fuga di gas — disse, mentre se la tirava dietro.

— Era un attentato: una granata sonica di classe quattro — lo informò lei, stupita dalla sua ignoranza. — Lasciata là con un timer o sparata con un lanciarazzi, salvo che l’autore del gesto non abbia voluto suicidarsi. Non ne ha mai sentito scoppiare una?

Droushnakovi sbucò dalla botola con due maschere antigas in una mano e lo storditore nell’altra. — Milady! — chiamò. La guardia fu sollevata di poterle consegnare Cordelia e tornò subito verso il collega. Lei si tolse di mezzo, lasciando che gli altri smettessero di preoccuparsi doverosamente di lei, e scese lungo la scala metallica.

— Cos’è successo? — domandò a Droushnakovi.

— Ancora non lo so. Ero nella mensa del seminterrato quando è suonato l’allarme rosso, e tutti sono corsi fuori — ansimò la ragazza. Doveva essere volata su per quei cinque, anzi sei piani.

— Mmh. — Cordelia stava ormai correndo quando arrivò in fondo al corridoio. Avrebbe voluto avere un pozzo antigravità. Alla console di comunicazioni in biblioteca doveva esserci qualcuno; scese in fretta per lo scalone a spirale, gettò un’occhiata all’esterno e girò a destra attraverso l’atrio.

Il capoguardia era alla radio e stava ascoltando qualcosa in cuffia. Accanto a lui c’era uno degli attendenti del Conte Piotr. — Stanno venendo qui — disse il capoguardia, voltandosi a mezzo. — Avverti immediatamente il medico. — L’uomo in livrea marrone si precipitò fuori.

— Chi sta venendo qui? — domandò Cordelia. Il cuore le batteva forte ora, e non per la corsa lungo le scale.

L’uomo alzò gli occhi a guardarla, parve sul punto di dire qualcosa di vago e tranquillizzante, poi capì che non era il caso. — Qualcuno ha cercato di colpire con una bomba l’auto del Reggente. L’attentato è fallito. L’auto sta venendo qui, adesso.

— A che distanza è esplosa la bomba?

— Non lo so, milady.

Probabilmente non lo sapeva davvero. Comunque, se l’auto funzionava ancora… Con un gesto secco gli accennò di continuare il suo lavoro, e corse di nuovo nell’atrio. La porta era stata chiusa da due uomini del Conte Piotr, che malgrado la sua insistenza rifiutarono di lasciarla uscire. Frustrata Cordelia tornò alle scale, ma dopo tre gradini si fermò, con una mano sulla ringhiera, mordendosi le labbra.

— Crede che il tenente Koudelka sia con lui? — domandò Droushnakovi con un fil di voce.

— È probabile. Rientrano quasi sempre insieme — rispose distrattamente Cordelia, con gli occhi sulla porta d’ingresso. Non restava che attendere…

Pochi secondi dopo sentì arrivare l’auto. Uno degli uomini di Piotr aprì la porta. Molti uomini della Sicurezza stavano correndo intorno alla vettura argentea ferma davanti al portico. Dio del cielo, da dov’erano venute tutte quelle guardie armate? La carrozzeria dell’auto era in parte annerita e fumava ancora, ma non sembrava ammaccata profondamente. Il tettuccio dello scomparto posteriore era intatto. Lo sportello si aprì, e Cordelia si sporse di lato per vedere Vorkosigan, nascosto dalle uniformi verdi che s’erano affollate lì davanti. Gli uomini si scostarono. Oltre lo sportello spalancato sedeva il tenente Koudelka, rigido e stordito, con la bocca e il mento sporchi di sangue. Il giovane fu aiutato a uscire da una guardia. Vorkosigan venne fuori per ultimo, allontanando con un gesto le mani che si protendevano per sostenerlo. Neppure le guardie più preoccupate osarono toccarlo senza permesso. Vorkosigan entrò in casa a passi lunghi, pallido e coi denti stretti. Koudelka insisté per avere il suo bastone e lo seguì dentro, tallonato da un caporale della Sicurezza anch’egli piuttosto scosso. Stava ancora perdendo sangue dal naso. Gli uomini di Piotr chiusero subito la porta, lasciando fuori tre quarti di quel caos.

Gli occhi di Aral cercarono quelli di Cordelia sopra le teste degli uomini, e il suo sguardo fosco si raddolcì un poco. Le rivolse un cenno col capo. Sto bene, non temere. Lei annuì in risposta, Potresti stare meglio, Santo cielo…

Kou stava dicendo, con voce rauca: — … buco dannatamente profondo sulla strada! Potrebbe entrarci dentro un autobus. Il guidatore ha avuto una prontezza di riflessi sorprendente… Cosa? — Scosse il capo, verso uno che gli aveva fatto una domanda. — Scusa, ma i miei orecchi sembrano fuori uso, a meno che… — Alzò una mano a toccarsi la faccia e quando la ritrasse sporca di sangue sbatté le palpebre. Poi si tastò un lato del cranio come per controllare se c’era ancora tutto.

— Hai solo i timpani assordati, Kou — disse Vorkosigan con calma, ma a voce alta. — Domani mattina ci sentirai di nuovo. — Soltanto Cordelia capì che non parlava forte solo a beneficio di Koudelka: anche lui aveva l’udito fuori uso. I suoi occhi saettavano qua e là rapidamente, unico indizio del fatto che invece di ascoltare stava leggendo le labbra.

Simon Illyan e il medico arrivarono quasi contemporaneamente. I due scortarono Vorkosigan e Koudelka in salotto, lasciando fuori le inutili — almeno agli occhi di Cordelia — guardie del corpo. Lei e Droushnakovi li seguirono e chiusero la porta. Il medico esaminò subito le loro condizioni fisiche, cominciando, su richiesta di Vorkosigan, da Koudelka.

— Una granata sola? — domandò Illyan.

— Una sola — confermò Vorkosigan. — Se ne avesse sparato un’altra ci avrebbe presi in pieno.

— Se fosse rimasto lì per un secondo colpo avremmo preso lui. Una squadra scientifica è sul posto, adesso. L’assassino è riuscito a dileguarsi in tempo. Un luogo adatto, non c’è che dire, con una dozzina di vie di fuga fra cui scegliere.

— Ma noi cambiamo strada ogni giorno — disse Koudelka con voce spessa, attraverso il fazzoletto che si stava premendo sul naso. — Come ha saputo dove poteva aspettarci in agguato?

— Un informatore fra i nostri? — Illyan si strinse nelle spalle, ma dalla sua faccia era chiaro che quel dubbio sembrava fondato.

— Non necessariamente — disse Vorkosigan. — Così vicino a casa ci sono solo poche strade. Può aver aspettato lì per giorni.

— Giusto oltre il limite sorvegliato dalle nostre squadre? — gli fece notare Illyan. — Questo particolare non mi piace.

— Il fatto che ci abbia mancato mi dà da pensare — disse Vorkosigan. — Perché, mi chiedete? C’è il caso che sia stato una specie di avvertimento. Un attentato non alla mia vita ma alle mie intenzioni politiche. O al mio equilibrio.

— No, io propendo per un lanciagranate di vecchio tipo — disse Illyan. — Quelli col mirino meccanico. Gli strumenti della vettura non hanno registrato nessun sistema di puntamento laser centrato su di essa. Ha sbagliato mira. — Fece una pausa, accorgendosi che Cordelia era pallida. — Sono sicuro che è stato soltanto l’atto individuale di un fanatico, milady. Almeno, sembra certo che ci fosse un solo uomo.

— Com’è possibile che un fanatico, un solitario, disponesse di un’arma da guerra? — replicò seccamente lei.

Illyan parve a disagio. — Su questo indagheremo, milady. Era un’arma di vecchio tipo, comunque.

— Voi non distruggete gli armamenti andati in disuso?

— C’è tanto di quel materiale…

Cordelia continuò a fissarlo negli occhi. — Anche se la vettura è corazzata gli sarebbe bastato mandare a segno un solo colpo. Nessuno avrebbe potuto sopravvivere. Bastava che la granata esplodesse a un paio di metri dall’auto, e ora la sua squadra scientifica avrebbe delle difficoltà per identificare i corpi.


Перейти на страницу:
Изменить размер шрифта: