Anche Aral scese, camminando al passo col tenente Koudelka. Entrambi erano tirati a lucido, impeccabilmente rasati e pettinati, molto vistosi nell’uniforme imperiale da parata rossa e blu. Piotr li raggiunse con l’abito da cerimonia che aveva indossato alla riunione del Consiglio, marrone e argento, anch’esso una specie di uniforme militaresca scintillante di gradi e di mostrine. I venti uomini in livrea che il Conte s’era portato dietro una settimana prima erano anch’essi più eleganti del solito. Droushnakovi, a fianco di Cordelia, aveva scelto un vestito verde per intonarsi al suo, ma più semplice, tagliato sia per consentire i movimenti rapidi che per nascondere un’arma e i microapparati di comunicazione.

Dopo essersi scambiati qualche complimento sui loro abiti uscirono dalla porta principale per prendere posto sulle due vetture da superficie in attesa. Aral condusse cavalierescamente Cordelia alla prima, poi fece un passo indietro. — Ci vediamo più tardi, amore.

— Cosa? — Il cuore di lei ebbe un balzo. — Oh, la seconda auto… non è solo perché siamo in tanti?

Aral contrasse la bocca. — No. Mi sembra… prudente che d’ora in poi tu e io viaggiamo su veicoli diversi.

— Sì, — mormorò appena Cordelia. — Se vuoi.

Lui annuì e andò all’altra vettura. Dannazione a questo posto. Pezzo per pezzo Barrayar la derubava della sua vita, del suo cuore. Avevano già così poco tempo per loro; ogni momento sottratto in più la feriva.

Il Conte Piotr era l’accompagnatore che sostituiva Aral, almeno per l’inizio della serata; il vecchio scivolò dentro al suo fianco. Droushnakovi sedette di fronte a loro e lo sportello si abbassò. La macchina girò sul vialetto e uscì in strada senza scosse. Cordelia girò la testa ma non riuscì a vedere l’auto di Aral; evidentemente era stata stabilita una distanza di sicurezza. Tornò a guardare avanti, con un sospiro.

Il sole stava tramontando oltre una spessa coltre di nuvole grigie, e le luci che si accendevano in quell’umido crepuscolo autunnale davano alla città un aspetto malinconico. Fare un po’ di festa in una sera così — videro diversi piccoli trattenimenti danzanti all’aperto — non era una cattiva idea. Ma l’allegria spontanea della gente ricordò a Cordelia certe antiche usanze terrestri, quando durante un’eclisse si gridava forte e si sparava in aria per scacciare il drago che stava mangiando la luna. Quella strana tristezza autunnale poteva consumare l’anima, se non si faceva uno sforzo per superarla. Il compleanno di Gregor cadeva al momento giusto.

Fra le mani di Piotr c’era una piccola borsa di seta marrone, chiusa da un laccio, con lo stemma dei Vorkosigan ricamato in argento. Cordelia la guardò, incuriosita. — Che cos’è?

Piotr sorrise e gliela porse. — Monete d’oro.

Altro folclore popolare; la borsa e il suo contenuto erano gradevoli al tatto. Lei accarezzò la seta, ammirò il ricamo e si versò sul palmo di una mano alcuni scintillanti dischetti intarsiati. — Belli. — Prima dell’Era dell’Isolamento, ricordò Cordelia, l’oro aveva avuto un gran valore su Barrayar. Nella sua mente betana «oro» corrispondeva a «metallo talvolta utile nell’industria elettronica», ma nell’antichità la sola parola aveva un fascino quasi mistico per la gente. — Ha un significato?

— Ah! Sicuro. È il regalo di compleanno per l’Imperatore.

Cordelia cercò d’immaginare cosa poteva farsene un bambino di cinque anni di quelle monete d’oro, salvo che usarle per costruire torri o imparare a far di conto. Sperava che Gregor avesse passato l’età in cui i bambini si mettevano tutto in bocca; quei dischetti avevano proprio la dimensione giusta per soffocarlo, se ne avesse inghiottito uno. — Sono certa che gli piacerà — disse, un po’ dubbiosamente.

Piotr ridacchiò. — Tu non capisci il motivo, è così?

Cordelia gli restituì la borsa. — Non lo capisco quasi mai. Mi illumini. — Si appoggiò allo schienale, con un sospiro. Piotr aveva scoperto che spiegarle Barrayar lo divertiva; era sempre compiaciuto nel trovare nuove tasche nel vestito della sua ignoranza, forse perché poteva riempirle non solo con informazioni ma soprattutto con le sue opinioni personali. Cordelia era sicura che avrebbe potuto farle conferenze per vent’anni senza restare mai a corto di aneddoti sorprendenti.

— Il compleanno dell’Imperatore costituisce per tradizione la fine dell’anno fiscale, nei rapporti economici fra i distretti e il Ministero del Tesoro Imperiale. In altre parole, è il giorno delle tasse… anche se i Vor non vengono tassati. Questo implicherebbe una sottomissione eccessiva al governo. Così quello che facciamo all’Imperatore è un regalo.

— Ah… — disse Cordelia. — Ma nessuno governerebbe un anno questo pianeta per sessanta borse d’oro, signore!

— Naturalmente. L’effettivo prelievo fiscale viene trasferito sotto forma di dati a Vorbarr Sultana. È un’operazione computerizzata che la banca del mio distretto, ad Hassadar, ha effettuato stamane. L’oro è puramente simbolico.

Cordelia si accigliò. — Un momento. Non avete già fatto la stessa cosa una volta, quest’anno?

— Sì, in primavera, prima che Ezar si ammalasse. Ora la scadenza dell’anno fiscale è stata cambiata,

— E questo non getta nel caos il vostro sistema bancario?

Lui scrollò le spalle. — È solo un po’ di lavoro in più per i contabili. — D’un tratto ebbe un sogghigno. — Da dove pensi che derivi, del resto, la parola «Conte»?

— È un termine che risale all’epoca pre-atomica… latino del tardo Impero Romano o medievale, suppongo, per indicare un nobile che governa una contea.

— Su Barrayar, invece, è nato come una contrazione dell’inglese «accountant». Anche se in realtà chi si occupava del conteggio del denaro lo faceva dopo averlo prelevato d’autorità dalle tasche altrui. Il capostipite di questi «conteggiatori» fu Varadar Tau, un autentico ladrone da strada, a cui va comunque attribuito il merito di aver istituito il primo sistema di tassazione vero e proprio. I suoi «conteggiatori» non tardarono ad assumere un’autorità amministrativa nelle varie zone.

— E io che pensavo che fosse un rango militare!

— Lo divenne subito, infatti, non appena quei furfanti ebbero la necessità di sottomettere chi opponeva la spada fra essi e le loro tasche. Fu solo più tardi, quando la carica diventò ereditaria, che rinacquero il termine «Conte» e il rango nobiliare.

— Non l’avrei mai immaginato. — Cordelia lo guardò con improvviso sospetto. — Non è che lei si stia prendendo gioco di me, vero?

Piotr alzò le mani. — Questo mai!

Pesa bene quello che ti dicono, consigliò Cordelia a se stessa, divertita. In specie quando con la notizia ti forniscono fra le righe anche l’opinione.

La vettura arrivò al grande cancello della Residenza Imperiale. L’atmosfera di palazzo era molto cambiata dal tempo delle prime visite di Cordelia al capezzale di Ezar e durante le cerimonie funebri. Luci multicolori mettevano in rilievo i particolari architettonici della facciata; il giardino era colmo di fiori, le fontane scintillavano. Gente elegantissima vivacizzava con la sua presenza lo spazio di fronte ai porticati dell’ala ovest e sulle terrazze. I controlli delle guardie, tuttavia, non furono meno meticolosi, e il loro numero era molto maggiore del solito. Cordelia ebbe la sensazione che sarebbe stata una festa assai meno spontanea e divertente di quelle che si svolgevano nelle strade della città.

La vettura di Aral si accodò alla loro solo quando si fermarono al portico dell’ala ovest, e Cordelia poté finalmente prendere il marito a braccetto. Lui le sorrise con orgoglio, e approfittò di un attimo in cui erano meno in vista per baciarle il collo e rubarle un respiro del profumo che s’era messa sui capelli. Attraversato l’atrio passarono nel corridoio che conduceva al salone del pianterreno. Un maggiordomo con la livrea di Casa Vorbarra annunciò il loro ingresso ad alta voce, e per un momento Cordelia si sentì addosso mille paia d’occhi barrayarani di classe Vor occupati soltanto a criticare il suo aspetto. In realtà in sala c’erano solo un paio di centinaia di persone. Meglio questo, cercò di dirsi, che guardare nella bocca di un distruttore neuronico puntato su di lei. Molto meglio.


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