— So che era al pianterreno, signore, con il tenente Koudelka, quando c’è stato l’attacco. Entrambi sono usciti dalla porta posteriore.

— Dannazione — borbottò Vorkosigan. — Non è lavoro neanche per Koudelka. — Di nuovo il suo sforzo nel parlare fu punito da un accesso di tosse. — Hanno preso qualcuno?

— Credo di sì, signore. Ci sono stati dei rumori e delle grida in fondo al giardino posteriore, presso il muro di cinta.

Rimasero sotto la doccia per altri cinque o sei minuti, finché la guardia fece ritorno. — Signore, è arrivato il medico dalla Residenza Imperiale.

La cameriera aiutò Cordelia a indossare un accappatoio. Vorkosigan si avvolse un asciugamano intorno ai fianchi e bofonchiò all’altra guardia: — Cercami qualcosa da mettere addosso, ragazzo. — La sua voce era rauca come se avesse la bocca piena di spine.

Nella più vicina camera degli ospiti un uomo di mezz’età, spettinato e in pantofole, con una veste da camera allacciata sopra il pigiama, stava estraendo strumenti da un paio di grosse borse. Mentre attaccava una maschera al tubo collegato a una bombola guardò l’addome di Cordelia, poi si volse a Vorkosigan.

— Mio Lord, è sicuro di aver identificato il gas?

— Sfortunatamente sì. Era soltossina.

Il medico strinse i denti. — Mi spiace, milady.

— Può fare del male al mio… — Il muco soffocò il resto della domanda di Cordelia.

— Lasci perdere questo, e si occupi di lei — sbottò Vorkosigan.

Il medico affibbiò la maschera sul naso e sulla bocca di Cordelia. — Respiri profondamente. Aspiri… mandi fuori l’aria. Un’altra volta. Ora aspiri e trattenga l’aria nei polmoni.

L’antidoto era un gas di colore verdastro, gelido, nauseabondo quasi quanto il veleno. Lei si sentì contrarre lo stomaco, ma non aveva nulla da vomitare. Al di sopra della maschera guardò Vorkosigan, che la fissava, e lo vide tentare un sorriso rassicurante. Doveva essere una reazione nervosa; il volto del marito le sembrava ogni secondo più grigio e più disperato. Cordelia era sicura che lui avesse respirato una dose di soltossina maggiore della sua, e ad un tratto scostò la maschera per dire: — Adesso tocca a te…

Il medico gliela premette di nuovo sulla bocca. — Un altro respiro, milady, tanto per essere sicuri. — Lei inalò ancora, profondamente, e solo allora le fu permesso di togliersi la maschera. Vorkosigan se la infilò senza bisogno di istruzioni sulla procedura.

— Quanti minuti sono trascorsi dal momento dell’esposizione al gas? — domandò il medico, ansiosamente.

— Non ne sono sicura. Qualcuno ha preso l’ora? Lei, uh… — Cordelia aveva dimenticato il nome della giovane guardia.

— Circa quindici, massimo venti minuti, credo, milady.

Il medico si rilassò visibilmente. — Dovreste essere fuori pericolo, allora. Ma i prossimi giorni li trascorrerete in ospedale. Adesso farò arrivare un’ambulanza. — Si volse alla guardia. — Qualcun altro è rimasto esposto?

Uno degli uomini fuori dalla porta riferì che uno di loro diceva di aver sentito l’odore del gas, mentre isolavano il piano. Il medico rimise la maschera e la bombola nella borsa.

— Dottore, aspetti — lo fermò lei, mentre usciva. — Cosa può fare la soltossina a… al mio bambino?

Lui evitò il suo sguardo. — Nessuno lo sa, milady. Posso solo dire che nessuno è mai sopravvissuto alla soltossina senza il tempestivo trattamento con l’antidoto.

Cordelia sentiva il cuore in petto come un tamburo. — Ma, dato che il trattamento è stato… — Il suo sguardo impietosito non le piacque, e si girò verso Vorkosigan. — Forse, il… — Ma fu raggelata dall’espressione del volto di lui, cupo, abbattuto, su cui già cominciava a emergere il furore. Gli occhi che amava, nel volto di uno sconosciuto, e che infine si decisero a incontrare i suoi.

— Glielo dica — sussurrò Vorkosigan al medico. — Io non posso.

— Bisognerà fare alcuni esami…

— Ora! Ha diritto di saperlo ora. — La sua voce era più rauca di prima, irriconoscibile.

— Il problema è l’antidoto, milady — disse il medico, dopo una lunga esitazione. — È un violento teratogeno. Distruggerà l’accrescimento osseo del feto in via di sviluppo. Le ossa dell’adulto non corrono questo pericolo, anche se lei avrà una maggiore tendenza all’artrite… cosa questa a cui si porrà rimedio quando si presenterà… — Tacque, nel vedere che lei chiudeva gli occhi come se volesse isolare la mente da quelle parole.

— Ora devo visitare quella guardia — aggiunse.

— Sì. Controlli anche gli altri, per favore — annuì Vorkosigan. Il medico uscì con le sue borse, scostandosi sulla porta per far passare il giovanotto che arrivava coi vestiti di Vorkosigan.

Cordelia riaprì gli occhi quando lui le poggiò una mano su una spalla, ma non riuscì a muoversi.

— Lo sguardo che hai… — mormorò lui. — Ti prego, non… almeno piangi. Arrabbiati! Fai qualcosa! — Deglutì saliva. — Insultami, odiami! Ne hai il diritto!

— Non posso — rispose lei in un sussurro. — Non sento niente. Domani, forse. — Ogni respiro era una fitta rovente.

Imprecando fra i denti lui s’infilò il vestito, un’anonima uniforme verde della Sorveglianza. — Una cosa io posso farla.

Era ancora l’espressione dello sconosciuto, quella che s’era impadronita della faccia di Aral. E una frase che lei aveva letto chissà dove riecheggiò nel vuoto della sua mente: Se la morte avesse indossato l’uniforme, avrebbe marciato con quello sguardo sul volto.

— Dove stai andando?

— A vedere se Koudelka ha preso qualcuno. — Sulla porta vide che Cordelia gli teneva dietro. — Tu resta qui — le ordinò.

— No.

Vorkosigan la fissò, e lei gli restituì lo stesso sguardo selvaggio bruciante come un colpo di frusta. — Io vengo con te.

— Vieni, allora. — Lui si girò di scatto e si avviò verso le scale, rigido di rabbia.

— Ascoltami bene — mormorò duramente Cordelia, sottovoce perché udisse lui solo. — Tu non ucciderai nessuno, davanti a me.

— Non lo farò? — sibilò lui di rimando. — Dici che non lo farò? - I suoi piedi scalzi risuonavano duri come suole sugli scalini di pietra.

Nel vasto atrio, pieno di guardie del corpo, gente con la livrea del Conte e medici, c’era il caos. Un uomo, o un cadavere — Cordelia non riuscì a capirlo, con la divisa nera del loro turno di notte, giaceva sulle mattonelle bianche e nere, seminascosto da un medico chino su di lui. Erano entrambi bagnati di pioggia, e nell’aria c’era l’odore del fango. Al suolo c’erano delle chiazze di sangue e d’acqua, su cui ciancicavano le scarpe del dottore.

Il capitano Illyan, anche lui inzuppato da capo a piedi, entrò in quel momento seguito da uno dei suoi uomini, dicendo: — Informami appena i tecnici hanno finito col detector kiriliano, là fuori. Avverti tutti che stiano alla larga dal muro e dalla strada esterna. Mio Lord! — gridò, quando vide Vorkosigan. — Grazie a Dio non siete feriti!

Vorkosigan grugnì una risposta, senza parole. S’era accorto che c’era un prigioniero, attorniato da un gruppetto di guardie. L’uomo era stato spinto con la faccia contro il muro e teneva una mano sopra la testa; l’altro braccio gli penzolava lungo il fianco, piegato in modo strano. Droushnakovi era in piedi lì accanto, bagnata e sporca di melma. In una mano teneva un oggetto metallico, una specie di balestra, evidentemente l’arma usata per scagliare la granata a gas attraverso la finestra della stanza da letto. La ragazza aveva un’escoriazione su una guancia e con l’altra mano si palpeggiava il naso, da cui stava perdendo sangue. Sul petto del suo vestito c’erano macchie rosse. Anche Koudelka era lì, zoppicante, e si appoggiava alla sua spada priva del fodero. Indossava un paio di pantofole, un’uniforme infangata, e stava fissando Drou con aria cupa.

— Ti dico che avrei potuto ammazzarlo — sbottò, evidentemente continuando una discussione iniziata fuori. — Se solo tu non fossi arrivata lì gridando come…


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